Tempo di Libri #14. Maria di Nazareth, una ragazza come le altre

Pensando a Maria – s’intende, la Madonna – è probabile che, con minime variazioni, sovvenga a tutti un immagine molto simile. Pelle diafana, occhi al cielo, veste e velo bianco – per i più profondi conoscitori dei simboli, potrebbe essere blu – mani giunte. L’immagine che le è stata cucita addosso dall’iconografia all’incirca dell’ultimo secolo e mezzo. Che sia quanto di più lontano dalla realtà è probabilmente ormai di dominio pubblico, trattandosi storicamente di una mediorientale che all’epoca dell’Annunciazione aveva forse meno di quattordici anni.

Una ragazzina, dicono le fonti storiche. In quelle religiose, invece, sono pochissime le informazioni, quasi tutte in veste di funzione. È in questo silenzio che si genera lo spazio per la creazione. Nel voto del racconto può essere proiettata ogni fascinazione. Lo hanno fatto artisti e pittori, per molti secoli. Con lo sguardo di un laico del Duemila lo fa anche Matteo B. Bianchi. In un incontro dedicato agli “amici immaginari”, nella seconda giornata di Tempo di Libri, presenta un libro che non è immaginario ma invisibile, dato che uscirà a maggio 2017, in cui tratteggia la sua personale Maria, quanto più vicina si può pensarla. Una “Maria accanto”
Liberata delle sue funzioni, lontana da qualsiasi maternità, sacra o profana che sia, Maria trova la vitalità di una adolescente. Che si accosta a una coetanea di oggi, Betty. Non per guidarla o schiuderle segreti oltremondani, ma soltanto per riprendere possesso di una adolescenza mai vissuta. Con il solo desiderio di avere un’amica.
Una suggestione curiosa e senza dubbio divertente, raccontata con l’intervento dell’ironia di Barbara Alberti.

Dietro all’aspetto ironico e simpaticamente blasfemo si suggerisce qualcosa di tutt’altro che superficiale. Per sviscerarlo, Michela Murgia ritrova le vesti della moderatrice, forte dei suoi approfonditi studi teologici.

Bianchi, come già la Alberti in precedenti lavori, sceglie di raccontare la trascendenza, l’intangibilità, non facendone sberleffo, ma muovendosi sul confine sottile tra lo spostamento di pensiero in un luogo altro e la ricerca degli strumenti per dire qualcosa che altrimenti, in quanto divino, non sarebbe possibile raccontare.
Il rapporto fra le due ragazze non può che essere sbilanciato, sulle prime, chiosa Bianchi. Eppure in questa «Madonna senza qualità» possiamo riconoscerci, e ritrovare anche una forma di religiosità andata persa, di cui portano tracce le forme di devozione di alcune generazioni or sono.
Si pensi alle donne – è la Murgia a rievocarlo – che nei piccoli paesi offrivano abiti, gioielli, talora persino i capelli, per adornare la statua della Vergine. Un gesto che, nella devozione, consentiva a ciascuna di sentirsi legata a Lei, autenticamente familiare.

Un espediente che al di là della fede le restituiva realtà e carnalità, fuori dalle interpretazioni spesso duramente giudicanti e umilianti verso le donne che le istituzioni ecclesiastiche le hanno cucito addosso.

L’immaginetta ieratica cui siamo abituati a ricondurre Maria è stata infatti foriera di limiti, timori, a volte persino sofferenze. Se ne faceva sentinella della morale, giudice dei peccati, immagine irraggiungibile – suggerisce la Murgia con un suggerimento ardito solo in apparenza –  di eterna bambina, associata all’idea di virtù, ciò cui davvero aspirano le donne che ricorrono al chirurgo per modificare la propria immagine.
Raccontarla come amica di una ragazza qualunque, anziché essere blasfemo, la restituisce a una sorta di religiosità praticabile anche dai laici, in cui c’è spazio anche per un riscatto femminile che si libera dalla visione maschilista delle Chiese. Una sintesi non impossibile, quella tra donna e religione, a patto che si ricordi che nel Vangelo «sta scritto anche».

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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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