Tempo di Libri #8. I volti dei tentacoli di Mafia Caporale

Quanti mendicanti si incontrano agli angoli delle strade. Quanti ne incontrano i romani, strada per strada. Ma forse nessuno degli abitanti della Capitale sa che ciascuno di loro risponde allo stesso uomo. Il re del racket dei mendicanti di Roma è un bulgaro dalle mani grandi, che sorride mostrando denti «con più oro di una gioielleria».

Un uomo che gira per le vie di Roma su belle auto, che si racconta come un uomo «generoso con gli altri, e l’Italia è generosa con me».
Perchè lui, ai disperati cui indica dove andare, offre una occasione di lavoro e un tetto per la notte, nel campo rom di un amico.
È a lui che dobbiamo il soddisfacimento di quella esigenza che ci coglie talvolta: ripulire la nostra coscienza regalando una moneta a un paio di occhi imploranti.

Con il bulgaro e il suo sorriso, ma anche con molti altri, ha parlato Leonardo Palmisano, pugliese, che da anni si occupa del mondo parallelo e sommerso dei migranti in Italia. Dopo aver mappato, da sud a nord, i ghetti in cui i migranti sopravvivono, nel suo Ghetto Italia, ora sceglie, con il sostegno dei tipi Fandango, di immergersi nel buio del Caporalato, terreno ormai privilegiato per ripulire i guadagni, circa 220 miliardi l’anno, della criminalità organizzata, di Mafia Caporale.

Una piovra dai molti tentacoli, che attanaglia “gli amici” del bulgaro, ma anche Malik, arrivato dal Mali, di compratore in compratore, per essere venduto a un italiano che gestisce uno dei lidi della spiaggia di Mondello, a Palermo, ma anche le ragazze che si vendono sulla via del quartiere Brancaccio.
Per quest’uomo, Malik fa le pulizie di giorno e il guardiano di notte, dormendo quando capita e sperando che bande di giovani teppisti non lo sorprendano, lui, e gli ombrelloni, nei brevi momenti in cui il sonno ha avuto ragione di lui.
In Mali starebbe meglio, ma ormai non può più tornare indietro.  Come i bambini siriani incontrati una notte in autogrill, accatastati dentro a un furgone, che fanno il segno della vittoria e sorridono, senza sapere che sorte hanno vinto.

Nel Cafè Garamond di Tempo di Libri, accompagnato dalla chitarra di Giuseppe De Trizio e dai toni caldi della voce di Paola Fernandez Dell’Erba, Palmisano restituisce i nomi e i volti ad esseri umani che ci sono accanto.

Il Global Slavery Index 2016 della Walk Free Foundation stabilisce che sono 129.600 gli schiavi nel Belpaese, e che l’Italia è il paese europeo, dopo la Polonia, dove ce ne sono di più.
Sembra un altro mondo, ma nessuno può chiamarsene fuori. L’humus in cui la schiavitù che chiamiamo caporalato prospera è una economia che produce 120 miliardi di evasione, e 220 di economia criminale, i cui emissari diventano per tutti, senza eccezione di nazionalità, età, genere, un appiglio molto più efficace di qualsiasi ufficio di collocamento.
Numeri a cui Palmisano restituisce vita, storie e sentimenti, dando carne alla statistica, restituendo l’umanità che i numeri nascondono.
Ne mostra però tutte le facce. La drammaticità del bulgaro sornione che vuole una pagina di giornale e tace sul ruolo di commerciante di uomini dall’Est europeo e di auto di lusso verso gli stessi luoghi.
Ne mette in evidenza anche tutte le radici: quello che doveva sapere sulle auto da rivendere, il bulgaro lo ha imparato da meccanici italiani.
È molto vicino a noi che il sistema si è formato, non soltanto al sud. E molto vicino oggi torna, nella forma della più grande rete criminale che spadroneggia nel paese, per la quale «tutti, con poche eccezioni, siamo appetitosi bocconi»

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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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