Tempo di Libri #18. Il Cosmo di Witold Gombrowicz tra desiderio e nostalgia

La missione di un festival letterario nei confronti del proprio pubblico può dirsi compiuta come in pochi altri momenti quando un relatore accurato riesce ad appassionare il proprio pubblico ad un autore. Obiettivo che si rivela ancora più arduo quando questi non è frequentatissimo, ha scritto alcuni decenni or sono e viene da un Paese di cui, sul piano letterario, l’uditorio tende a conoscere poco. Witold Gombrowicz risponde a tutte queste caratteristiche. Nato in Polonia, pubblica i suoi tre romanzi più noti fra il 1939 e il 1965, dopo aver lasciato la Polonia agli albori della guerra per trasferirsi prima in Argentina e poi a Berlino.

In uno degli incontri più squisitamente letterari e meglio condotti di Tempo di Libri, Nicola Ingenito modera le riflessioni di due dei maggiori conoscitori dell’autore polacco: l’editore Francesco Cataluccio e Wlodek Goldkorn. L’occasione è la ripubblicazione, per i tipi del Saggiatore, di quella che è probabilmente la sua opera più celebre, Cosmo.

Tra le sue pagine, la traccia del ricordo di una vacanza sui monti Tatra, a Zakopane, diventa un mezzo per sintetizzare i temi e le peculiarità dell’autore.

In primo luogo la lingua: il suo polacco, che la traduzione di Vera Verdiani cerca di rendere appieno, è infatti ricco di neologismi e parole da lui costruite, recuperate, o ancora infantilismi riadattati, con un metodo che lo avvicina allo stile di Gadda; una peculiarità, questa, che lo faceva essere molto amato dal nostrano Gruppo 63.
Non solo, ma sulla lingua si regge anche l’architettura del romanzo, che il suo autore definiva «giallo psicologico»: tutte le sue pagine sono percorse da una parola, berg declinata in composti, verbi, e numerose varianti. Un termine di cui però è lasciato al lettore (e, nei decenni, agli esegeti, dedurre il significato).
Accanto a quello linguistico si sviluppa poi il tema del desiderio carnale; non è un caso che un’altra delle sue opere più celebri porti il provocatorio titolo Pornografia. L’erotismo è visto però come «lingua impossibile», che sfocia inevitabilmente nell’onanismo.
Sullo sfondo, perché “non c’è desiderio senza memoria”, una Polonia immaginifica ricostruita con gli occhi dell’esule che aveva scelto – anche in Argentina – la via della solitudine da un contesto intellettuale (popolato da personalità come Borges) nel quale non poteva sentirsi integrato.

Così come non lo era nella patria comunista, che lo interpretava (e così l’establishment polacco in parte lo interpreta ancora) come una voce provocatoria e antipatriottica.

A garantirgli la collocazione fra i maggiori scrittori polacchi del Novecento è l’amore tributatogli soprattutto da i giovani, che ne fanno un simbolo della letteratura contro corrente e ne apprezzano in particolare la vena salace e ironica, fortemente debitrice di un particolare genere cabarettistico vicino allo stile di Brecht,  sviluppatosi in seno alla comunità ebraica e di cui Gombrowicz, che pure ebreo non era, ha fatto la propria cifra stilistica.

In questa memoria reinventata di una Polonia perduta, che si rispecchia anche nella lingua – e in cui Gombrowicz sa che ritorno è sinonimo di morte, di compiutezza del percorso – l’autore situa  qualcosa di più complesso della nostalgia.
Il suo intento è infatti, attraverso la riflessione psicologica che si serve del meccanismo del giallo «riscrivere il mondo, per arrivare ad una verità ontologica che sa di non poter raggiungere, perchè le parole non bastano», spiegano i relatori.
È questa feconda tensione ad animare il libro e a trasparire compiutamente nelle parole di chi lo racconta, trasmettendo la curiosità di una scoperta tanto profonda e articolata e il desiderio di farsi condurre da un autore tanto «fuori dai canoni» a «guardare il mondo con altri occhi».

 

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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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