Tempo di Libri #31. Anime, acciughe e identità secondo Achille Mauri

A tutti è capitato di scoprirsi a pensare a cosa ci può essere subito dopo la morte, spesso con timore. Le raffigurazioni offerte da religioni e filosofie lungo i secoli sono, quasi sempre, impalpabili ed eteree, in luoghi a cui accediamo in base al nostro retto agire.
Non è comune che riflettere sul dopo di noi porti a sorridere: Achille Mauri riesce a farlo. Il come lo spiegano a Tempo di Libri, insieme a lui, due moderatori di eccezione: Giovanna Zucconi e Ferruccio de Bortoli,
L’editore, al suo primo romanzo, sceglie un personaggio che gli somiglia molto: suo il nome, i rapporti famigliari, gli affascinanti ricordi che coinvolgono alcune delle personalità più affascinanti del ventesimo secolo, da Roland Barthes a Umberto Eco passando per Elio Fiorucci. Tutte personalità che l’Achille del romanzo incontra in un momento del tutto particolare, le ore immediatamente successive alla sua scomparsa, che precedono il funerale.

In questo momento Achille si ritrova immerso in un aldilà totalmente diverso da quello che siamo abituati a immaginare. Non è altro, infatti, che lo stesso mondo nel quale si è vissuto fino a pochi istanti prima; perdendo corporeità, le anime acquisiscono però capacità inedite. Possono, in primo luogo, dove trascorrere il proprio soggiorno eterno: in quelle prime ore, Achille sceglie la Porsche rossa di amici di famiglia in un garage del centro di Milano, dove potrà ritrovare un vecchio amato gatto, Eli. La stessa Porsche è però abitata da due persone a lui ignote: una ragazza, Lucrezia, e un giovane pastorello, Marco. O almeno, questo dicono di sé. Non è detto però che ciò sia vero, così come non è detto che l’Achille e in carta e inchiostro coincida con l’uomo reale, suggerisce Zucconi. Per dissipare i dubbi, sarebbe necessario avere il potere che caratterizza le anime dell’aldilà secondo Mauri: la possibilità di entrare in comunione, condividere le proprie esperienze fino al punto di vivere all’interno nei ricordi dell’altro.
È qui che si riscontra il lato più interessante di Anime e Acciughe. A renderlo una gradevolissima lettura stile lo fresco e divertito, che sfrutta l’originale espediente di una forma della sceneggiatura teatrale,  e parole che appaiono pensate per essere messe in scena. Attraverso cui il pensiero più cupo della vita di ciascuno si trasforma nel più vitale. È indubbiamente necessaria un notevole equilibrio interiore, per scrivere un romanzo simile.

Acquisirla – anche grazie allo studio delle pratiche animistiche dell’antico Dahomey con le quali Achille Mauri è venuto in contatto negli anni Settanta – gli concede tuttavia di compiere un passaggio ulteriore. Il suo romanzo non è infatti solo leggerezza, o una interessante biografia romanzata, ma concede spazio a pillole di densa riflessione.

In primo luogo sul concetto di anima, comune, secondo Mauri, a tutti gli esseri viventi e persino alle piante. Soprattutto, tuttavia, ad essere messo in discussione è il concetto di identità: nell’incontro che giunge alla reciproca compenetrazione, anche i confini delle identità sfumano, per evidenziare ciò che tra le persone è mezzo di unione, anziché di divisione.

Una efficace resa scenica di tale idea è affidata alle letture del romanzo curate da Filippo Timi, Marina Rocco e Luca Santagostino, fasciati in costumi colorati e vistosi: le voci e i volti si scambiano e si confondono, sfumando i confini tra le persone.

Un esempio  vivido delle possibilità offerte dalla molteplicità, che sarebbe riduttivo confinare nella categoria dell’allegro divertissement.

Non saremmo ciò che siamo, in sintesi, senza l’altro, e la possibilità di viverne le esperienze è ciò che ci mantiene vivi; e che, se fosse concretamente possibile, ci offrirebbe davvero una possibilità di vita eterna, inesauribile, sempre nuova e volta a progredire, crescere e imparare sempre – persino dopo la morte – pur senza rinunciare alla nostra personalità, perchè «siamo cannibali di anime, ci nutriamo delle vite degli altri».

 

 

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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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