Tempo di Libri #46. Grazia Deledda, specchio dei sardi per guardare al mondo.

Grazia Deledda è nota – e non a tutti – in quello che i sardi chiamano “continente”, per essere stata la sola donna italiana a vincere un Nobel per la letteratura. Non così in Sardegna, dove parlare di lei significa evocare un nume tutelare, una sorta di “dea madre”, non solo per chi nell’isola si occupi di letteratura. La definizione è di Michela Murgia che insieme a Marcello Fois, barbaricino e nuorese come la Deledda, ha dedicato uno degli appuntamenti dell’ultima giornata di Tempo di Libri per “evocarne lo spirito”, lo strumento è l’ultimo libro di Fois, Quasi Grazia, che ne ripercorre alcune delle tappe fondamentali della biografia in quadri immaginati ma tutt’altro che lontani dalla plausibilità biografica. SI tratta di quadri scritti per la scena e che avranno, dal settembre prossimo, proprio questa destinazione, il palcoscenico, sul quale i panni dell’autrice di Canne al Vento saranno vestiti proprio dalla Murgia.
I motivi di questa scelta li spiega proprio Fois, che si è detto conquistato dall’immagine di fare interpretare una scrittrice ad un altra scrittrice, ed in particolare a quella il cui nome è oggi sinonimo della letteratura sarda, non soltanto al femminile, così come fu per la Deledda nei suoi anni d’oro.

È con un assaggio di ciò che sarà Quasi Grazia a teatro che inizia l’evocazione. Se Murgia è la Deledda, Fois è sua madre, che anche nei minuti che precedono la consegna del Nobel, a Stoccolma, la rimprovera di non essere stata una donna per bene.
È sulla rabbia che si regge il rapporto fra le due donne. Nato per la troppa passione della piccola Grazia per la lettura, e continuato quando compie una scelta allora destinata solo agli uomini, comprare il biglietto per l’altra sponda del mare come poteva farlo una donna: sposando un continentale, Palmiro Madesani.
La scelta di raccontare uno scontro non è casuale, ed è Fois a spiegare che, «nella nostra terra, per significare qualcuno, bisogna partire facendo a pugni, perchè l’esistenza senza coscienza e la letteratura si sono uniti». Grazia Deledda, di questo strappo è l’incarnazione esatta, con la sua libertà in un tempo in cui è rivoluzionaria, e il suo rifiuto del silenzio.
Uno strappo che è anche quello nei confronti della propria terra, da cui scappa ma che lascia al centro della propria letteratura, se non come paesaggio come metro di pensiero. Lo sguardo che rivolge a Nuoro è quello «di un’esiliata», intenzionata tuttavia a non tornare mai.

E il motivo è anche quello di sfuggire al preteso “matriarcato” che viene attribuito ai sardi ma che non è altro, spiegano gli autori, che una leggenda. Nasconde infatti una forma sottile di maschilismo, che mette non la donna ma «la funzione della madre» al centro del sistema sociale. Una funzione e una posizione in cui, però, la donna è costretta a stare, volente o nolente che sia.

E a dimostrare il carattere posticcio di questa pretesa centralità femminile è proprio la Deledda, rifiutata «per sessismo» e odiata dai propri concittadini, che non si riconoscevano nell’immagine che tracciava di loro.

Dal suo scrivere denso di «umori neri», i suoi conterranei non possono però prescindere, per quanto oggi si siano ormai trasformati in cliché, si ritrovano in ogni pagina, da Salvatore Satta a Sergio Atzeni.

Quella della Deledda è una letteratura che spinge alle emozioni. Dall’odio che le portava Pirandello, che per sbeffeggiarla scrisse un intero libro, Suo marito, all’attività che chiede al suo lettore, stimolato in ogni momento dalle sue pagine e sfidato, soprattutto quando è sardo e in particolare barbaricino come lei, cioè fra coloro a cui non perdonava di essere, chiosa la Murgia «piccoli convinti di essere grandi».

L’orizzonte sardo della Deledda tuttavia non la limita, anzi il suo stile le conferisce respiro europeo, più che italiano. «Per capire Canne al vento» suggerisce ancora la Murgia, «bisogna leggere Cime Tempestose». Ecco il paradosso della Deledda, sarda ed europea insieme.

Una scrittrice così contraddittoria avrebbe diritto a far parte attiva del canone della grande letteratura italiana, ma vi si ritrova con molta fatica. Non è difficile immaginare che sia soltanto perché si tratta di una donna, che entrandovi, costringerebbe ad eliminare un uomo. Eppure, Grazia resiste, ancor oggi, anche a questo pregiudizio.

 

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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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