Tempo di Libri #48. Jane Austen contro Virginia Woolf, vincono le donne e la letteratura

foto: Mariangela Berardi

Se si chiede alle donne chi sia la regina della letteratura al femminile avranno pochi dubbi. Alcune di loro risponderanno, senza tentennamenti, Virginia Woolf, altre, senza dubbi, Jane Austen. Due donne e due scrittrici molto diverse, che nel gusto delle lettrici – e dei lettori – si spartiscono la palma del nume tutelare e sanno generare amore viscerale nelle generazioni che si accostano alle loro opere. Due autrici, due donne e due epoche diverse quanto più è possibile. La Woolf di Jane Austen scriveva che era «la più perfetta delle scrittrici», ma oggi si tende spesso a contrapporle.

Così ha fatto anche Il Corriere della Sera, che nelle ore finali di Tempo di Libri ha ospitato nel suo spazio un vero e proprio match pugilistico tra le due signore. Nell’angolo di Jane c’è Maria Rosa Pantè, scrittrice dalle numerose esperienze teatrali. In quello di Virginia, invece, Valeria Palumbo, giornalista e storica.

Le due (o le quattro) si rispondono colpo su colpo, argomento per argomento, citando a piene mani brani delle opere.
E se la prima domanda è quella che si può aspettare, ovvero perchè leggerle, la risposta è sorprendentemente simile: fanno ridere. Ma dove la Austen lo fa utilizzando una sottile crudeltà, la Woolf «usa la risata per distruggere il predominio maschile», arrivando a scrivere che «l’intelligenza degli uomini è tutta opera nostra». Anche Jane, ribatte la Pantè, si schiera dalla parte delle donne, e lo fa anticipando i tempi, nel Settecento.

Se si passa poi ad analizzare la scrittura si scopre che Virginia è anticipatrice non di un tema ma di un autore, Joyce. È lei, infatti, ad applicare il flusso di coscienza a tutti i viventi, incluse le piante, mentre per Jane le piante sono sempre funzionali alla vicenda e alla mescolanza dei generi per giungere a un ordine. L’ampio uso dello stream of consciousness rende la  Woolf un’autrice amata dalle scuole anche in Italia, mentre la rivale deve essere cercata autonomamente.

A proposito di lingua, la parte della Woolf ha di che rispondere a tono: a colpire, nella sua opera, è l’originalità della lingua, fiorita di neologismi. Una lingua ricreata, che la scrittrice londinese voleva «riformata per le donne e la pace» in una società guerrafondaia e maschilista.

Nel vivacissimo, acceso e divertente confronto che le scrittrici portavoce regalano, come non parlare d’amore. Si scopre così l’inaspettato: entrambe sono molto meno romantiche di come le si dipinga: laddove Jane scrive di donne che desiderano il matrimonio ridicolizzandone le pene, e scegliendo di non sposarsi mai, Virginia scrive con «castità mentale» che diventa schiettezza quando parla in famiglia dell’amore per Vita Sackville-West. In sintesi, su questo punto entrambe concordano: il matrimonio è un contratto, che può essere una prigione oppure rendere complici, anche laddove non esista amore.

Il lavoro di entrambe in ogni caso ruota intorno al fatto di essere donne, benchè Virginia dicesse di non sentirsi «nè uomo né donna». Non si trattava però di una confusione sul proprio genere, bensì di una società che spingeva chi desiderasse pubblicare la propria opera a pensarsi al maschile, perchè un simile desiderio, a una donna, non era dato. Il punto in comune si ritrova anche nell’onestà di entrambe, e nell’impegno parallelo di cancellare la figura dell’eroe. Non esistono uomini salvatori, e anche le donne sanno essere feroci.
In comune poi hanno anche la resistenza. Nella Woolf è anche quella al fascismo, non disgiunta dal suo genere. Annota infatti che «c’è un legame strettissimo tra controllo del sesso, patriarcato e totalitarismi» nella loro virilità esibita. La Austen invece trasforma la resistenza in resilienza, capacità di adattarsi al cambiamento.

Ne viene uno scontro che è un tributo a due nomi immortali della letteratura, capaci, «da un microcosmo di raccontare il mondo», senza perdere mai la limpidezza e l’indipendenza dello sguardo.

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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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