La profezia dei guerrieri dell’arcobaleno. Intervista a Lance Henson #1

Lance Henson

Il Grande Spirito aveva predetto che sarebbe giunto un tempo di grande dolore per il popolo dei nativi americani, di cattività e di carestia, ma che sarebbe arrivato anche il tempo di una grande riscossa”, racconta Lance Henson, poeta lakota.

Risalendo il fiume Missouri, arriviamo in South Dakota, la patria di Toro Seduto e di Nuvola Rossa e di tante popolazioni di cui abbiamo spesso sentito parlare: Lakota, Dakota, Nakota, denominati “Sioux” e “Cheyenne” dagli yankees.
Sono loro che, dall’epoca di Black Buffalo, rimpiangono la clemenza con cui questo capo tribù lasciò andare la spedizione di Lewis e Clark, gli avventurieri che aprirono il varco a nord ovest agli invasori bianchi.
E, a tutt’oggi, lo spirito indomito delle tribù indiane fa ancora notizia, resistendo al colonialismo, nella battaglia per bloccare l’oleodotto che attraversa il North Dakota.

Ma anche più a settentrione, nel cuore della grande mela, la famosa isola gremita di grattacieli, serba ancora il nome che gli era stato imposto dalla tribù nativa dei Lanape. Mannahatta (il nome originale di Manhattan) venne venduta agli olandesi nel 1626 in cambio di mercanzia del valore di 24 dollari.
Per gli indiani il concetto di proprietà privata del suolo era inconcepibile e questo rese possibili veri e propri furti.

Oggi i Nativi Americani sono cinque milioni in tutto e rappresentano l’1,7 per cento dell’intera popolazione statunitense, una percentuale esigua, ma ancora animata dal Grande Spirito delle Praterie, che non dimentica.
Dopo l’espropriazione delle Black Hills (le colline sacre ai nativi), il vilipendio del territorio e della fauna, si intensifica la minaccia al bene più prezioso del futuro, ossia l’acqua dei bacini, laghi e fiumi, con la costruzione del grande oleodotto che attraverserà quattro stati.
Se la società petrolifera persisterà nel suo scopo, verrà inferta una gravissima ferita al territorio, denunciata anche dagli ambientalisti.
Quello cui assistiamo, tramite i media, sono i tafferugli quotidiani delle forze dell’ordine e degli sceriffi, contrapposti a popolazioni estenuate dalle vessazioni; però si parla anche di oppositori passati dalla parte dei nativi.
Ma cosa sta accadendo realmente?

Sopratutto vogliamo analizzare come si profili la situazione in quei luoghi, farlo attraverso le domande poste ad un capo carismatico, interrogativi anche scomodi (quelli relativi al dilagare del gioco d’azzardo, ad esempio).

Quest’intervista a Lance Henson, apprezzato poeta cheyenne del nostro tempo ed ex marine, si propone come un viaggio attraverso le riserve indiane, una cultura di cui molto si è parlato, spesso a sproposito.
Tra leggenda, mito, spiritualità e rivendicazioni di una legittimità oltraggiata, saremo anche testimoni di una coesione spirituale genuina, i cui valori potrebbero ancora animare la gente del futuro.

Lance Henson è uno tsitsistas (ovvero appartenente al “popolo magnifico” dei Cheyenne), profeta e performer con il talento del narratore; vi consiglio di accorrere ai suoi reading, quando vi sarà possibile: vi sembrerà di sedere accanto al fuoco, nelle grandi praterie, mentre, fra gesti e canti, i guerrieri e le loro famiglie rievocavano le memorie sacre.

Così ho ottenuto questa intervista, attraverso molti mesi di dialogo, pause e ritmi sospesi, rivelazioni.
Scriverne non rappresenterà la soluzione, ma alimenterà la consapevolezza, il rispetto e la dignità, sostenendo la speranza di questo glorioso popolo.

Benvenuto Lance Henson, grazie di aver accettato di rispondere alle mie domande per art a part of cult(ure), remove background noise. Quando ti conobbi ad Urbino, nel 2005, durante un tuo reading di poesia, ti chiesi di autografare una copia del tuo libro di canti tribali a più voci “Words from the edge”, tu apponesti la dedica :“in Poetry and Peace; che valore ha oggi la Poesia e quale la Pace?

Sono un guerriero tsitsistas e un poeta, conservo nel mio spirito una voce interiore che induce a resistere alla limitazione, alla prigionia e che brama giustizia. La mia poesia ha lo stesso intento che ha condotto la mia vita, non c’è differenza.
Alla mia gente, alla gente Cheyenne, a tutti i popoli nativi, sono state sempre imposte severe limitazioni alla possibilità di vivere come persone libere e degne. Questa consapevolezza fu per me causa di anni di dolore e confusione.
Oggi la mia cultura, i rituali e le cerimonie che teniamo, l’amore, il supporto della mia famiglia e la poesia, sono le ragioni che mi hanno spinto a un attivismo positivo per la difesa del mio popolo.
Ritengo che farlo attraverso la poesia sia un modo di usare un linguaggio primario, con messaggi sacri e canzoni sacre. Un linguaggio che sorprende e suscita timore, sorpresa. Un linguaggio di cui essere testimoni.
A causa di questa riscoperta, tutta la realtà si manifesta attraverso luce e tenebre, di cui il poeta è testimone: il mio compito è creare immagini che evochino empatia.
D’altra parte tutto il mondo, ma specialmente i popoli indigeni, stanno patendo l’effetto di programmi di ecocidio ed etnocidio. E sono convinto che, perché ci sia Pace, debba esserci Giustizia.
Invece troppe tragedie si compiono ancora ai nostri giorni; come l’assassinio, lo scorso anno, dell’attivista per la protezione dell’acqua in Honduras, Berta Caceres, che ha di fatto rappresentato un pericolosissimo precedente. Io sostengo che, finché passeranno inosservati gli assassini e i soprusi perpetrati ai danni degli indigeni attivisti, il mondo dominato dalle corporazioni e dal non regolamentato capitalismo, cannibalizzeranno tutte le risorse, umani compresi.

Attualmente sei considerato il più grande poeta nord americano contemporaneo, assieme a Walt Whitman. Nei tuoi scritti fai spesso riferimento alla sorte del tuo popolo oppresso, ma sei anche capo di un clan della Chiesa Nativo Americana (Dog Soldier Clan), oltre a essere stato un Marine durante la guerra del Vietnam: come giudichi le proteste della tua gente nei confronti del governo americano?
Puoi illustrarci il tuo punto di vista?

Desidero ringraziarti per il meraviglioso complimento che avvicina la mia poesia a quella di Walt Whitman. Fu un grande innovatore umanitario, la sua poesia introdusse la forma aperta dei versi liberi nel panorama americano.
La mia generazione, d’altro canto, quella dei poeti tribali degli anni ’50 e ’60, fu capace di creare una forma lirica che coniugò le cerimonie e i riti tribali con l’espressione poetica. Un genere letterario mai esistito prima d’allora nel paese che hanno chiamato “America”. Ispirati dai nostri mondi tribali, realizzammo quello che Whitman aveva perseguito quando si era spinto alla ricerca della sincronia e dell’equilibrio, utilizzando l’immaginario e la metafora poetica.
Riguardo la mia militanza nel Dog Soldier Clan e l’esperienza della nostra teologia, direi che sono fuse attorno a un’energia malleabile, che richiede un costante ritorno alla realtà indigena. E, come parte dei popoli indigeni, ho sempre combattuto contro la tirannia del colonialismo.
Ritengo, a proposito dei fatti recenti che vedono impegnato il mio popolo nella protesta contro le autorità americane, che le nostre opposizioni vadano comprese risalendo alla radice.
Si tratta di un discorso relativo alla Sovranità, che dovrebbe essere uno dei punti salienti garantiti dai trattati internazionali.
Infatti la Costituzione degli Stati Uniti d’America afferma che quei trattati con le tribù rappresentano una legge suprema.
Ma se poi un singolo stato è libero di rivedere questi accordi, allora il trattato originale diventa privo di consistenza, cioè diventa vuoto, e quindi le terre e le proprietà dovrebbero tornare al proprietario originale.
Gli Stati Uniti d’America hanno violato ogni trattato, non hanno tenuto fede alle loro promesse e ora le tribù native godono solo di parziale sovranità.
Di conseguenza, le nostre vite sono diventate miserabili. Molte tribù vivono ben al di sotto della soglia di benessere nazionale, il tasso di mortalità è di due o tre volte superiore alla media…
In risposta a questo mostro draconiano, la mia gente e tutte le popolazioni tribali hanno, come sempre, offerto i loro cuori, corpi, intelletti, in prima linea per resistere a questi soprusi. Proteggendo la nostra medicina e la nostra conoscenza, riteniamo anche di difendere dei valori comuni a tutti i popoli, come quello della difesa della terra.
È quello che abbiamo fatto nell’autunno dello scorso anno, quando un gruppo di giovani attivisti Dakota hanno eretto dei teepees in prossimità delle rive del fiume Missouri, con l’intento di fermare l’accesso all’oleodotto e per questo sono stati presi d’assalto.
In risposta hanno ricevuto il sostegno di quasi tutte le altre tribù e dei popoli indigeni del mondo, come pure di attivisti di gruppi non inerenti ai diritti dei nativi, ma anche da parte di star del cinema, musicisti, politici, veterani del Vietnam e persino dall’Iraq e dall’Afghanistan.
Di questa gente é stato composto il muro di resistenza incontrato dalle forze maggiori dell’esercito americano, della polizia e dei mercenari, inviati a sedare la protesta.
Il trattamento riservato ai nativi tratti in arresto, può essere paragonato agli abusi perpetrati a Guantanamo.
L’assembramento è stato sciolto, ma subito ristabilito a Standing Rock, luogo simbolo della resistenza indigena dal tempo del nostro leader Crazy Horse, al pari di Wounded Knee e Sand Creek (dove, alla fine dell’ottocento, furono massacrati centinaia di indiani inermi n.d.r.).
A questo punto molti poliziotti e alcuni tra le forze di opposizione, hanno rassegnato le dimissioni dall’incarico, unendosi ai manifestanti.
E non solo: le corti di giustizia del Nord Dakota stanno giudicando i casi di abusi sui nativi da parte delle forze dell’ordine e molti degli ottocento nativi arrestati, iniziano ad essere rilasciati.
Contemporaneamente, il campo di protesta a Standing Rock, è divenuto simbolo della resistenza per gli attivisti di tutto il mondo.

Il Grande Spirito potrebbe avere ancora ragione:

Arriverà un tempo in cui la terra sarà malata e animali e piante moriranno.
Allora gli Indiani riconquisteranno il loro spirito
e riuniranno gente di tutte le nazioni,
colori e credi, per combattere insieme per salvaguardare la Terra: i guerrieri dell’arcobaleno”.

Vi ricordiamo che la seconda parte dell’intervista a Lance Henson sarà on line nel prossimo appuntamento della rubrica Polvere di Stelle

 

 

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Fulminata sulla via della recitazione a 9 anni, volevo fare la filmmaker a 14 e sognavo la trasposizione cinematografica dei miei romanzi a 17. Solo a 18 anni ho iniziato a flirtare col cinema d'autore ed a scrivere per La Gazzetta di Casalpalocco e per il Messaggero, sotto lo sguardo attento del mio​ indimenticato​ maestro, il giornalista ​Fabrizio Schneide​r​. Alla fine degli anni 90, durante gli studi di Filosofia prima e di Psicologia poi, ho dato vita ad un progetto di ricettività ecologica: un rifugio d'autore, dove gli artisti potessero concentrare la loro vena creativa, premiato dalla Comunità Europea. Attualmente sono autrice della rubrica "Polvere di stelle" sul magazine art a part of cult(ure) e collaboro con altre testate giornalistiche; la mia passione è sempre la sceneggiatura, con due progetti nel cassetto, che spero di poter realizzare a breve.

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