Viaggio burrascoso nel nostro controverso presente. Nuova mostra della Fondazione Prada a Venezia

The Boat is Leaking. The Captain Lied. 13 Mag – 26 Nov 2017 Fondazione Prada

La curiosità che spinse Alice a bere da un’invitante bottiglietta con l’esplicita etichetta “bevimi”, per riuscire così a passare attraverso una misteriosa porticina nel Mondo delle Meraviglie, è la stessa curiosità che piano piano si sviluppa in noi, visitatori a Palazzo Ca’Corner della Regina, sede della veneziana Fondazione Prada, mentre varchiamo la soglia per scoprire una delle mostre più insolite e complesse qui realizzate.

The Boat is Leaking. The Captain Lied. Fondazione Prada

La Fondazione, parallelamente alla 57° Biennale d’Arte, presenta The boat is leaking. The captain lied, progetto a cura di Uddo Kittelmann, direttore della Nationalgalerie di Berlino che nella città lagunare lasciò già il suo segno nel 2001, come curatore del Padiglione tedesco (vincitore anche quell’anno del Leone d’oro).

La mostra è costruita intorno alla ricerca di tre artisti tedeschi, differenti per formazione e linguaggi: Alexander Kluge, scrittore, poeta e regista, Anna Viebrock, scenografa costumista e Thomas Demand, tra i fotografi contemporanei più conosciuti.

Sviluppato negli ampi spazi del palazzo tardo barocco, dal piano terra e nei due successivi piani nobili, questo progetto espositivo si mostra da subito estremamente sperimentale, nella costruzione di un racconto che –anche se non subito in maniera evidente- mantiene un suo fil rouge che scorre dietro le opere dei tre artisti, molto diverse tra loro.

Punto di partenza che innesca questo progetto a più voci, sviluppato lungo varie dimensioni che s’intrecciano l’una con l’altra, è un olio su tela di Angelo Morbelli, Giorni…belli!, del 1882-83, opera che ha visto anche un fraintendimento, da parte del curatore tedesco e degli artisti, nella lettura dei soggetti rappresentati e che, di conseguenza, ha spostato il tema della mostra di Kittelmann lungo una metafora di marinai, tempeste, naufragi. Gli anziani ritratti nella tela, seduti su panche desolate e cupe in un centro di accoglienza, non sono infatti marinai alla fine dei loro giorni, ma anziani ospiti del Pio Albergo Trivulzio, soggetto al quale Morbelli dedicò altri 6 dipinti qui esposti e punti di riferimento per gli artisti tedeschi ora coinvolti.

Da questa prima falsa lettura dell’opera deriva il titolo della nostra mostra (citazione da una canzone di Leonard Cohen, Everybody knows) che riesce tuttavia ad introdurci al meglio in un’atmosfera perennemente oscillante tra contraddizioni e chiare evocazioni, perdita di fiducia e slanci di ottimismo, profonda angoscia e intraprendente iniziativa. Tutte sensazioni che i visitatori ritrovano, compiendo un viaggio metaforico nel tempo presente, passando dal mondo di ieri a quello di oggi.

Al centro di tutto il percorso espositivo, risalta subito un’inedita relazione con lo spazio, instaurata dagli artisti con le loro opere, ma anche dal visitatore con gli ambienti da lui attraversati. Gli alti soffitti decorati in stile barocco, le ampie scalinate o alcuni affreschi di Ca’ Corner della Regina, non spariscono del tutto dietro gli spazi allestiti temporaneamente: seppur avvolti in un flusso fatto di memoria remota e attualità contraddittoria, le antiche mura innescano un dialogo controverso ma stimolante che obbliga il visitatore a confrontarsi con una “situazione globale”, sia rispetto all’architettura che ai messaggi che la mostra trasmette.

Gli ambienti ricostruiti secondo i disegni e i progetti scenografici di Anna Viebrock si susseguono in modo quasi labirintico, porta dopo porta, con passo sempre più sicuro incontro ad un racconto che è per ognuno di noi diverso, rintracciando ogni volta, nell’interpretazione dei moltissimi oggetti, delle immagini e degli stessi volumi e forme che incontriamo, alcuni riferimenti personali.

Ci dice lo stesso Kittelmann,

“Le composizioni spaziali di quest’artista sono nate per il teatro, ma sono molto più di semplici scenografie: sono spazi esistenziali, vitali, vissuti.”

Anche le opere filmiche di Alexander Kluge si inseriscono in questi spazi non come oggetti espositivi, ma come narrazioni da attraversare in modo emozionale, tralasciandone il valore estetico (comunque molto potente) e coinvolgendo il visitatore in maniera più personale. Puntualmente in ogni sala, le fotografie di Thomas Demand – un maestro nel restituire “immagini in bilico tra il visibile e il pensabile” – si accostano alle linee narrative degli altri due artisti, assecondando un già chiaro cortocircuito tra mondo reale e di finzione.

Affiancare in un unico progetto le ricerche di questi tre artisti –che pur si conoscevano e stimavano reciprocamente, ma mai avevano avuto occasione di lavorare insieme- è un altro aspetto originale di questa mostra che riesce a restituire un ritratto del nostro tempo presente sfruttando esperienza estetiche e mezzi espressivi solitamente non in connessione, ma qui, invece, in grado di realizzare una saggia e stimolante visione d’insieme che va molto al di là di un approccio estetico per puntare ad un’indagine storico-politica inaspettata.

Info mostra

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Francesca Campli ha una laurea in Storia e Conservazione del Patrimonio artistico e una specialistica in Arte Contemporanea con una tesi sul rapporto tra disegno e video. La sua predilizione per linguaggi artistici contemporanei abbatte i confini tra le diverse discipline, portando avanti ricerche che si legano ogni volta a precisi territori e situazioni. La passione per la comunicazione e per il continuo confronto si traducono nelle eterogenee attività che pratica, spaziando dal ruolo di critica e curatrice e quello di educatrice e mediatrice d'arte, spinta dal desiderio di avviare sinergie e confrontarsi con pubblici sempre diversi.

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