Letterature Festival #7. Un reading speciale col paesologo Franco Arminio.

Sono andata a incontrare un poeta. Ma non un poeta qualunque: un paesologo. Troppo complicato, va bene.
Sono andata a incontrare Franco Arminio. Meglio? L’occasione l’ha offerta Letterature Festival di Roma e il giardino degli aranci della Casa delle Letterature non poteva essere più consono a questo evento. Lo confesso, la prima volta che l’ho visto e ascoltato a Libri Come mi ha conquistata. E non è certo facile conquistare con le poesie! Quel cliché romantico degli uomini che declamano versi e stendono letteralmente le donzelle sognanti ecco, è solo un cliché. La verità è che la poesia non è propriamente una lettura nazional popolare, a meno che il poeta non abbia il carisma e il fascino di Franco Arminio. Che parla come scrive (o scrive come parla) ed è tutta una serie di emozioni circolari, coinvolgenti, spesso esilaranti.

Arminio fa spettacolo, da bravo istrione del Sud, una sorta di Gigi Proietti della poesia, e non a caso si occupa anche di teatro. Ma veniamo al paesologo: poeta dei paesi potrebbe essere una buona traduzione. Ma di quali paesi? Quelli sperduti della sua Irpinia o del nostro Sud, quelli ormai abbandonati, disabitati, nei quali possiamo incontrare Giuseppe l’insegnante di inglese madrelingua che non ha insegnato mai e che attraversa il paese in verticale, e Giuseppe quello matto che lo attraversa in orizzontale, e così si forma il cruciverba del paese che è anche il cruciverba della vita. Oppure i paesini nei dintorni di Bisacce, quelli dove nei vicoli pieni di case vuote a un certo punto si incontra la vedova che dice “Qua non c’è più nessuno”. I paesi abbandonati sono quelli dove una volta l’unica attrattiva era il ristorante e lui, che è nato in un’osteria, ha col cibo un rapporto speciale. Il cibo che unisce, quello da fare insieme, quello delle ricette antiche della tradizione, quello che suo padre distribuiva agli avventori dell’Osteria del Grillo d’oro che poi restavano a cantare.

“Il canto fa sciogliere le distanze.” E Arminio sta cercando di organizzare un Festival che duri ventiquattro ore, dove la gente possa incontrarsi, mangiare, camminare, cantare insieme, ascoltare un poeta all’alba, parlare.

Franco Arminio non sta mai fermo durante un suo reading: avvolge il pubblico, lo circonda con la sua voce dall’accento irpino (la lingua irpina è spinosa, dice, punge.), lo coinvolge nella lettura dei suoi testi, in tante lingue diverse, dialetti diversi, perché così la poesia è viva.
Vi leggerò qualcosa da questo mio libro, ma non tutti i versi, che non serve. Non è che le poesie si devono leggere tutte di fila, come una lettera ministeriale. Vanno lette così, a pezzi, a brandelli, in orari diversi, quando serve. Ciò che non ci dice niente alle sei del pomeriggio può emozionarci alle quattro di notte.

Viene in mezzo a noi Arminio, ci chiede da dove veniamo. “È importante sapere chi c’è a questi incontri, così ci riconosciamo. Io per esempio ho sempre vissuto a Bisacce, tranne un periodo in cui mi sono trasferito al paese nuovo. Ed è strano che il paese senza abitanti, Bisacce, abbia un nome, mentre quello che gli abitanti ce li ha si chiami ancora Piano Regolatore.“

Arriva un soffio delle Città Invisibili di Calvino, e forse potremmo chiamare Paesi Invisibili i luoghi raccontati da Franco Arminio, che grazie a lui prendono vita e tutti noi possiamo di nuovo vederli.

 

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Cetta De Luca, scrittrice, editor e blogger vive a Roma. Ha al suo attivo sei pubblicazioni tra romanzi e raccolte poetiche. Lavora nel campo dell'editing come free lance per la narrativa e collabora alla revisione di pubblicazioni di didattica nell'ambito letterario. Cura un blog personale http://www.cettadeluca.wordpress.com e spesso è ospite dei blog Inoltre e Svolgimento.
Nel poco tempo libero che le rimane tra lavoro e figli si impegna nell'organizzazione di eventi per il mondo letterario e, nello specifico, per gli scrittori.

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