Fischiare è arte, linguaggio, musica. A colloquio con Elena Somarè

Elena Somarè

Fischiare. Per molti un gesto semplice, quotidiano, che spesso si compie sovrappensiero. Può, però, essere molto di più. Elena Somarè che, circondata dall’arte è nata e cresciuta, ha capito che è innanzitutto uno strumento. Il fischio produce un suono che è parte di noi, del nostro corpo. Se si ha il talento di saperlo utilizzare, è capace di emozionare in modi che restano sconosciuti sia al canto che agli strumenti fabbricati. E può portare lontano. Quale guida migliore di lei, tra le prime a cogliere le potenzialità musicali di questo strumento insolito, alla scoperta dei segreti dell’arte del fischio?

Elena Somarè

Da dove è nata questa attenzione per il fischio? Come si educa una volta diventato mestiere?

Il fischio non è mai stato considerato uno strumento, solo una curiosità, un “colore”, le sue capacità interpretative peculiari non sono state sfruttate: sono un’apripista. Il fischio è il nostro terzo strumento, da sempre. Ho scoperto di fischiare intonata fin da bambina, e lo facevo con gli amici. Una di loro, la Jazzista Ada Montellanico, mi ha invitato a collaborare con lei, all’Alexanderplatz, tra i professionisti. Poi sono arrivate altre occasioni per singoli brani: al Teatro Sistina e all’Auditorium di Roma, al Piccolo Teatro di Milano. Il mio lavoro come fotografa e regista di documentari musicali poi mi ha permesso di incontrare molti musicisti. L’incontro decisivo è stato però con l’arpista sudamericano Lincoln Almada, un musicista di fama internazionale, rimasto affascinato da questo nuovo strumento. Lui mi ha spinto a studiare per fare di me una musicista, non una particolarità, utilizzando il fischio come strumento musicale a tutti gli effetti. Studio con lui da otto anni e oggi ho dimestichezza con l’armonia e la ritmica necessarie all’intonazione del fischio, oltre ai necessari studi di base di alcuni strumenti. Non saprei però definire una “tecnica del fischio”: per me è naturale come parlare, non potrei formulare una teoria che possa essere insegnata, è una parte di me.

Il fischio – spieghi – è sempre stato considerato maschile. La tua musica fischiata ha quindi anche un valore di rivendicazione femminile, di risignificazione?

Sicuramente è anche una forma di rivendicazione di parità fra i generi, mi è capitato di fare concerti incentrati sul fatto che alle donne fosse persino vietato fischiare, nel medioevo le donne che fischiavano erano considerate streghe, la sola opera cantata è il Mefistofele, dove è il diavolo che entra fischiando. Il fischio era considerato la voce di Satana. Nella storia il gesto è stato un gesto sinonimo anche di emancipazione femminile. Nell’Ottocento una fischiatrice, Alice Shaw, divenne una paladina delle suffragette per la sua scelta di lasciare il marito e mantenersi fischiando, girando il mondo. Il fischio diventava così un simbolo di emancipazione femminile. Anche oggi il fischio delle ragazze viene malvisto. Al termine di una mia recente conferenza TED sul lago di Como, in cui ho incitato le madri a non dissuadere le figlie che fischiano, alcune hanno confessato di averlo fatto e di esserne pentite. Il fischio è una liberazione, induce allegria: la concentrazione che richiede ti impedisce di distrarti con pensieri cupi.

Fischiare è spesso considerato anche volgare. Accanto all’intento di nobilitare il fischio, può esserci anche l’intento di portare la musica suonata a un pubblico potenzialmente diverso, attraverso uno “strumento insolito”?

L’intento è sempre avvicinare qualunque tipo di pubblico. Ogni artista lo fa perché ha necessità di raccontare una storia, di comunicare. Nel momento in cui ascolti il fischio ti rendi conto che non ha nulla di volgare. Quello che a me interessa è riuscire a comunicare in modo diverso, con chiunque. Il fischio ha frequenze diverse dal canto, che toccano corde differenti, anche più profonde. Ha un dialogo con il nostro inconscio più profondo del canto che – oltre ad avere più frequenze – è mediato dalle parole e richiede livelli diversi di conoscenza, che possono toccare in modi differenti le persone. Il fischio invece agisce sull’inconscio in modo molto potente, prova ne è che può tanto commuovere quanto infastidire molto, generare anche repulsione. So persino che il mio disco serve ad un amico per calmare le crisi di nervi del figlio autistico. Probabilmente accade perché la frequenza del fischio tocca centri nervosi differenti. A me piace l’idea di comunicare in modo differente con uno strumento di cui siamo noi stessi cassa armonica. Il fischio ha una componente fisica, umana, è altro. Ed è stupefacente che non sia mai stato utilizzato in maniera musicale ma solo come un fenomeno curioso, da giocolieri, che colpiscono lo stupore, non l’emozione con cui a me interessa dialogare.

L’arte del fischio è un recupero di un uso antico, ma che può applicarsi a ogni tempo?

Probabilmente è lo strumento più antico, proprio perché è umano. Uno studio di Darwin, i Taccuini della trasmutazione ipotizza che il primo linguaggio umano (lo definiva “protolinguaggio musicale” ndr) fosse modellato sull’imitazione degli animali, quindi è molto probabile che, imitando gli uccelli, fischiassero. Senza dubbio si tratta di una delle prime forme di comunicazione. In un isola delle Canarie, La Gomera, le persone comunicano tra le valli fischiando, perché il fischio è più potente della voce, ed esiste un linguaggio fischiato.

Per il tuo primo cd, Incanto, hai scelto brani molto noti, canzoni napoletane accanto a brani del Seicento. Come mai questa scelta?

Ho dedicato il primo disco – con la direzione artistica di Almada – alla tradizione italiana, perché da italiana mi interessava far conoscere la nostra grande melodia, che coincide con la musica napoletana. La prima forma di canzone è la villanella napoletana, da cui nascono i madrigali di Monteverdi e tutto quel che ne segue. Volevo fare prima di tutto qualcosa che fosse fruibile; dato che utilizzo uno strumento strano, la melodia italiana mi permetteva invece di dialogare con più persone. Ho poi unito canzoni molto note ad altre sconosciute, meravigliose ma molto colte. Volevo mescolare alto e popolare, che non è mai “basso”, avvicinare un pubblico che potesse apprezzare i grandi classici e fargli conoscere anche parti affascinanti di quella tradizione ma meno noti, passando per la musica barocca, l’Antidotum Tarantulae di Kirchner per arrivare a Caruso di Lucio Dalla, dal Cinquecento a oggi.

Che peculiarità dà secondo te il fischio ai brani che interpreti?

Innanzitutto brani che interpreto li studio sul testo, cantando, perché così posso restituire quello che vogliono dire. Le persone immaginano un testo quando mi ascoltano, un’immagine, una storia, e io devo coglierla il più vicino possibile a quello che intende l’artista, quindi a partire dal testo. L’arrangiamento, il modo di accompagnare il fischio della canzone fischiata, poi, è diverso. Mostra un’altra faccia della stessa canzone. Anche un brano conosciuto che può essere apprezzato perché offre la gratificazione di venire riconosciuto, fischiato viene presentato in maniera diversa, suscitando un’emozione nuova, pur interpretando ciò che ha voluto il musicista. Arrivando, infine, con diversi colori allo stesso racconto. La stessa storia può essere raccontata in modi diversi, e il fischio è un punto di vista diverso sulla musica, non usato finora. Accade come in Rashomon, di Kurosawa, o in L’urlo e il furore, di Faulkner: la stessa storia può essere raccontata da molti punti di vista senza che nessuno escluda gli altri. Il fischio è una voce diversa, un racconto differente, uno stato anche mentale differente. Quando si fischia si entra in un mondo interiore peculiare, intimo.

Il tuo fischio ti ha portato in tutto il mondo, recentemente fino a Seul, come viene accolto il fischio nel mondo?

Come accade spesso all’estero c’è più interesse. Io ho avuto una accoglienza fortunata anche in Italia, ho fatto molte cose in questo ultimo anno, anche il Festival dei Due Mondi, ma andando all’estero, anche in Corea ho constatato una attenzione enorme. Non solo però come professionista, ma anche in quanto rappresentante della cultura italiana, che all’estero è amatissima, gode di molta più ammirazione di quanta noi stessi le dedichiamo. All’estero ci sono anche più fondi, dedicati all’arte, se il progetto interessa si viene chiamati immediatamente. In Italia è molto più farraginoso. Anche all’estero, però, nessuno sa nulla del fischio come strumento, e ne sono affascinati. All’estero si concepisce l’arte e la musica come business, quindi un progetto insolito come il fischio musicale ad alto livello per loro è una occasione di business da cogliere al volo. Il percorso quindi rimane obbligato: farsi un nome all’estero per poi tornare in Italia con maggiore credibilità.

Quali saranno i tuoi prossimi impegni?

Il 25 luglio aprirò il Festival della Voce di Capri, con il chitarrista Francesco Poeti. Sarà un concerto dedicato a Caruso, la voce per eccellenza, che ha influenzato moltissimo il jazz americano. Questo perché i grammofoni venivano venduti abbinati ad un disco – spesso il suo, perché è stato il primo tenore a incidere. I primi grammofoni, non avendo regolatori di volume dovevano essere ascoltati a finestre aperte. Anche Armstrong dice di essersi formato ascoltando le romanze di Caruso dalle strade di New Orleans. Il mio concerto sarà quindi composto di classici napoletani che Caruso cantava, e di standard jazz. Il 3 agosto sarò a Viggiano, in Basilicata, al Festival dell’Arpa Popolare, con Lincoln Almada, direttore della scuola locale. Ho in programma poi una serie di concerti in Corea, mentre il 26 agosto sarò al Lincheon Jazz Festival. A settembre sarò alla Casa della Cultura di Monate (VA). Nel frattempo sto lavorando al nuovo disco, con lo stesso direttore artistico, questa volta però dedicato alla musica popolare sudamericana influenzata dalla musica europea, un repertorio raramente eseguito ma talora molto divertente.

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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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