Credo dell’Orchestra di Piazza Vittorio. Musica della fede nel parco

Prima  dell’inizio di uno spettacolo c’è sempre quel piacere sottile fatto della curiosità di sapere dove si sia veramente. La Casa del Jazz è collocata di fronte alle Mura Aureliane, grandioso monumento di circa dodici chilometri, che circonda una parte di Roma, voluto dall’Imperatore Aureliano per necessità di difesa dai barbari.

Lasciata la macchina percorrevo la struttura con quell’aspetto strano di un insieme eterogeneo, misto di antico e moderno, costituito da un miscuglio di tufo, mattoni, marmi e pietre intrappolati in calce e cemento. Sinuosa come un serpente, con le scaglie rappresentate dai continui contrafforti e dalle snelle torri, ed i bastioni,  guardiani angolari dalle feritoie vuote, come occhi ciechi a controllare il raro traffico esterno. Al di là lungo il pomerium i nascosti camminamenti lasciavano scorgere punte di alberi selvatici o coltivati e rampicanti colorati sfuggiti alle aree di abusi edilizi più o meno scoperti. Nel bellissimo parco di circa due ettari e mezzo svettavano pini di alto fusto, cresciuti qua e là sghembi, alla ricerca di un loro spazio di luce insieme a grasse querce dalle scorze millenarie. Poche le palme superstiti.

Mentre l’odore dell’apericena e del vino brillante ghiacciato invadevano il parterre del palco dei Concerti nel Parco ho incontrato, sotto la struttura della Casa del Jazz, Mario Tronco direttore artistico del Credo, altra opera multiculturale dell’Orchestra di Piazza Vittorio, di commistione di linguaggi e suoni in piena libertà stilistica, battezzata oratorio interreligioso. Con il suo maturare Mario Tronco sta assumendo una sottile saggezza aperta ed internazionale, senza perdere le sue radici napoletane. “Questo spettacolo era nell’aria da tempo – ha iniziato  –  perché nei discorsi fatti a tarda notte durante le tournèe dell’Orchestra, ritornava sempre quell’argomento della fede. Il concetto del credere (declinato incredo”, “non credo”, “non so) è stato sempre fondamentale per tutti noi nella nostra esistenza. La fede del resto è un argomento che abbiamo toccato spesso nelle nostre composizioni se pure con autentica ironia”.

Poi a Lisbona, dove vado ogni anno per dirigere il gruppo portoghese Todos – ha continuato Tronco – ho incontrato un intellettuale, uno scrittore di testi filosofici José Tolentino Mendonca che ha scritto o scelto i testi costruiti per il Credo. Poetici e profondi, religiosi e laici, di grande impatto emotivo. E lì nel comporre le musiche per l’Orchestra di Piazza Vittorio (per il 70% originali) ci siamo confrontati con i nostri credi diversi a livello sociale ed artistico. Abbiamo anche riscritto con Leandro Piccioni e Pino Pecorelli, per adattamenti, la Messa solenne di Gioachino Rossini, That yonge child di Benjamin Britten, Dance Dame di Guillaume de Machaut, canti sufi (Ibn Arabi, poeta di damasco del 1200 d.C). Abbiamo musicato una poesia di Giorgio Caproni, perché è quello che io penso della fede, che mi rappresenta di più. Uno scritto di Giordano Bruno sulla coscienza dei bambini e la preghiera degli adulti. Una poesia di Fernando Pessoa ed una epigrafe muraria, trovata in una cantina, rifugio di ebrei, presi e uccisi dai nazisti, tratta dal libro di Zvi Kolitz”.

Dentro la struttura della Casa del Jazz i componenti del gruppo (nove elementi) si stavano preparando alla performance. Le tre palazzine, nate dal 1936 al 1939 per volontà di Arturo Osio, socio fondatore della Banca Nazionale del Lavoro hanno una storia – mi ha spiegato una gentile archeologa, presente al concerto – . “Il blocco squadrato centrale presenta una serie di archi romani al primo piano, l’affresco nel salone con la veduta di Piazza Navona è di Amerigo Bartoli della Secessione Romana, i marmi ed i mosaici dei pavimenti, la fornita biblioteca e le essenziali foresterie sono opere che rispecchiavano le tendenze geometrico decorative dell’architetto più importante e più aperto di quegli anni Marcello Piacentini, di cui l’ingegner Cesare Pascaletti , reale costruttore, era allievo. Nel 2001 questa villa fu confiscata al cassiere della banda della Magliana ed assegnata al Comune di Roma, grazie alla legge che regola la gestione e la destinazione dei beni confiscati alle mafie”.

Verso ponente il cielo tra gli alberi diventava intanto turchese ed il frinire monotono delle cicale, padrone del parco fino allora, cedeva il passo al rumore confuso delle  chiacchiere degli spettatori in attesa. Lo schermo con le linee sinusoidali a carboncino del dipinto di Lino Fiorito, con l’arrivo delle luci radenti creava un leggero effetto ipnotico, che si sarebbe ripetuto con la musica d’amor sacrale del Credo. Il fresco della notte in arrivo preparava un ascolto attento e religioso come la materia di cui era fatto il concerto. Avevamo assunto pian piano un atteggiamento che il teologo Mendonca, autori dei testi, avrebbe individuato come disponibilità a sentire per credere. Il gruppo era lì sul palco per catturarci coi suoi suoni.

Iniziava con un assolo di Fender VI Pino Pecorelli, poi accompagnato dalla voce di Viviana Cangiano, che in napoletano cantava la canzone “That yonge child”: “Quanno lo ninno nun dorm e chiagne/essa lu coccola cantanno,/accusi ‘ddoce ‘o fa addurmi/j’e cantastorie e ‘ffa sunnà./…”. Si aggiungeva la voce di Tati Valle (brasiliana) e l’organo di Leandro Piccioni.

Nel secondo brano in latino Responsorio Raffaele Schiavo dava una dimostrazione di cosa la voce umana possa elaborare nel canto degli armonici (insegnato nei seminari religiosi). “Questo canto modulato sulle vocali evidenzia i multipli di frequenza del suono fondamentale” mi ha spiegato Schiavo al termine del concerto. Resta il fatto che dopo quei primi gorgheggi ha ricevuto sempre tanti bravo. Questo brano, che poi è salito con l’ingresso delle due voci femminili, del violoncello, dell’organo e del basso è composto di tre testi rispettivamente: “Abbraccio lontano una stella,/la luna limpida sopra il cielo./ Un anello passa attraverso un anello,/dopo un temporale./…”(J.Mendonca). “A volte canto senza la voce così come penso senza parlare./La cecità che Dio mi ha dato è una forma di luce./Se procedo per un cammino sono due i miei cammini:/uno quello in cui m’incammino,/l’altro la verità in cui sono./…”(F.Pessoa). “E non so più agire e prego,/prego non so ben dire chi e per cosa, ma prego:/prego non, come accomoda al mondo,/perché Dio esiste/ma, come uso soffrire io, perché Dio esista./(G.Caproni).

Kyrie al Ashwak”, ispirato alla “Petite messe solennelle” di G.Rossini è stata cantata in arabo dalla suggestiva voce di Houcine Ataa, accompagnato dal violoncello di Kyung Mi Lee, dall’organo, dal basso elettrico . “Importante non è la voce, importante è che arrivi al pubblico l’amore per la musica, l’unica cosa internazionale. La musica è il cibo dell’anima umana.” Mi ha detto ispirato Ataa alla fine del concerto. Belle le parole del testo di Ibn Arabi del tredicesimo secolo: “…Io seguo la religione dell’amore./Qualsiasi sarà il cammino che rincorreranno i miei cammelli/quel cammino sarà la mia religione/la mia fede./

Imperfeito” dove prevalevano, in una preghiera non rituale, le voci di Schiavo, Cangiano, Ataa e Valle in due pezzi, uno in portoghese ed uno in napoletano. “Inizio la giornata lodando l’imperfetto./Il tempo che si inclina sul suo lato rotto,/le arance che diventano poche,/il giallo in mezzo alla paglia,/gli otri senza vino./…(J.Mendonca). “Chi vo’ bene ‘a Maronna ‘e ll’arco/le purtasse nu core argiento/ma pe me ca nun tengo niente/chistu core le voglio da/…(Tradizionale).

La voce e la kora di Kaw Dialy Madi Sissoko facevano salire l’attenzione del pubblico, per i suoni originali dello strumento, il sincronismo delle voci e dei respiri del gruppo, in “We must learn to breathe” sul testo “I bambini si portano dentro/ una magia naturale/che poco a poco/crescendo,/sono costretti a distruggere./E allora pregano./Dobbiamo imparare a respirare/(M. Tronco – D. Madi Sissoko).

Di nuovo le modulazioni di voce di Raffaele Schiavo in suggestive parole in latino Et postremo, Deus redit, con brani di testo. “E infine, Dio ritorna/…Chi discende nel fondo di un cuore/dimentica tutte le parole./(J. Mendonca).

La voce e la musica dolce dell’oud (liuto) di Ziad Trabelsi nell’ipnotico brano Douce Dame di G.de Machaut – Z. Trabelsi.

Salam, testo in arabo, cantato da Trabelsi “Credo nel sole anche quando non lo vedo./Credo nell’amore anche quando non lo abbraccio./…(Z.Trabelsi – H.Ataa).

Brilha uma estela, amen, un alto pezzo corale – musicale di tutto il gruppo, con un testo che mette in evidenza, ripetute, le parole scritte nel rifugio degli ebrei uccisi a Colonia, tratte dal libro di Zvi Kolitz Yossl Rakover si rivolge a Dio. “Brilla una stella/ sopra l’austerità imposta./Brilla sopra la danza interrotta,/sulle mani silenziose/sul silenzio masticato in solitudine./Brilla, brilla una stella,…(J. Mendonca).

E poi ancora il respiro musicale di tutto il gruppo sulla ripresa delle parole, ispirate da Giordano Bruno “I bambini si portano dentro/una magia naturale/che a poco a poco/ crescendo,/sono costretti a distruggere./E allora pregano./Dobbiamo imparare a respirare./

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Pino Moroni ha studiato e vissuto a Roma dove ha partecipato ai fermenti culturali del secolo scorso. Laureato in Giurisprudenza e giornalista pubblicista dal 1976, negli anni ’70/80 è stato collaboratore dei giornali: “Il Messaggero”, “Il Corriere dello Sport”, “Momento Sera”, “Tuscia”, “Corriere di Viterbo”. Ha vissuto e lavorato negli Stati Uniti. Dal 1990 è stato collaboratore di varie Agenzie Stampa, tra cui “Dire”, “Vespina Edizioni”,e “Mediapress2001”. E’ collaboratore dei siti Web: “Cinebazar”, “Forumcinema” e“Centro Sperimentale di Cinematografia”.

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