La drammaturgia silenziosa di DispensaBarzotti. L’intervista

DispensaBarzotti: Riccardo Reina Alessandra Ventrella,e Rocco Manfredi

La città di Napoli offre molteplici occasioni di vivere il teatro: l’offerta – ufficiale e non – è tanta e diversificata ed incontra un pubblico piuttosto vivace nel sostenere la scena performativa.
Fa riscontro una separazione del palco dal pubblico che si consuma non solo in sala. Come i fedeli dopo la partecipazione al rito, così il pubblico dello spettacolo se la svigna in fretta dopo la performance e la coda in uscita ha poco a che vedere con quella in ingresso.

Eppure, la comunicazione 2.0 sembra poter riscrivere questi rapporti. In effetti, basta informarsi in rete e provare ad entrare in contatto con chi si è visto in scena. Certo, non necessariamente troveremo risposta; ad ogni modo, domandare resta lecito.

Scrivo una mail a DispensaBarzotti, entusiasmato dalla loro ricerca sull’inatteso. Della trentina di spettacoli visti quest’anno, il loro Homologia (già segnalazione speciale del premio scenario 2015) presso il Piccolo Bellini di Napoli mi ha preso e sorpreso non poco: una drammaturgia silenziosa – solo i media introducono i suoni e le immagini del fuori – ritma gli interni di un quotidiano in cui la maschera, accompagnata dall’idea del suo doppio in scena, recita la parte dello stereotipo. La reazione del pubblico era spesso incorniciata dal sorriso, la cui vena dialettica non diminuisce quando dobbiamo metterci a distanza da quello che sta succedendo. In effetti, la miccia della partecipazione sta proprio nella continuità tra il palco ed il  fuori: il segmento del compleanno solitario del protagonista non si limita infatti al solo teatro. In tutto questo l’economia di mezzi e fini disposta dalla compagnia, con una azione che emerge dall’oscurità ed i pochi mezzi impiegati rende conto di un teatro dell’immediato e senza mediazioni.

DispensaBarzotti, Homologia

Inizio chiedendo loro cose semplici: chi, quando, come, dove, perché essi sono, insieme:

“Ci siamo incontrati e assieme siamo riusciti a dare vita a qualcosa oltre noi che sta funzionando. Creare qualcosa assieme è stato inoltre prima di tutto un aiuto reciproco nella difficoltà a Milano, usciti dalla scuola di teatro, di trovare un posto, una dimensione.”

Un punto di partenza per sconosciuti punti di arrivo:

“Solo adesso cominciamo a riflettere realmente su che cosa comporti avere una compagnia indipendente, ma anche questo seguirà un processo naturale e organico, come tutto”

Sono sempre curioso riguardo il percorso di studi atteso. Così chiedo loro del loro, del valore dell’impegno affrontato a fronte di un analfabetismo di ritorno anche nelle discipline delle arti e dello spettacolo.

“Abbiamo fatto la Scuola Paolo Grassi a Milano e ne siamo felici. Ci sono molte persone che fanno teatro senza aver avuto una formazione teatrale di alcun tipo e di questo secondo noi, negli spettacoli, se ne risente.”

Sarà pur vero, ma conservo il beneficio del dubbio rispetto ai non mestieranti; spesso, conservano una carica ed entusiasmo in grado di scardinare l’addomesticamento negli studi. In effetti, se spostassi la questione al campo musicale, potrei garantirvi che il buono difficilmente esce dalle accademie. Ma andiamo avanti. La scuola resta pur sempre un guscio, un ambiente che si tinge di familiare mentre ci accompagna verso la fine degli studi, mi viene da pensare. Più opportuno sapere qualcosa del poi, quale il contesto una volta sul mercato.

“In questo momento, da tutti i punti di vista, il panorama artistico è soffocato da una lotta per la sopravvivenza. Sopravvivenza di tutto e di tutti: dalla possibilità di poter organizzare in maniera continuativa nel tempo, all’esigenza delle giovani compagnie di trovare spazi o poter accedere a fondi. E molti teatri chiudono, e ancora più compagnie decidono di non continuare. Quando esistono queste dinamiche c’è molto poco spazio per la ricerca, l’innovazione e la qualità: si cerca il prima possibile di sfornare prodotti semplici ed efficaci che possano macinare tante repliche nei contesti non teatrali più disparati, i monologhi fioriscono e chi gestisce una compagnia deve inventarsi dall’essere attore, tecnico e organizzatore al tempo stesso, collezionando, e questo lo vediamo anche noi sulla nostra pelle, stanchezza e inefficienza in tutti i campi ai quali ci si presta per necessità. “

Pur convinto che chi vuol fare ricerca, fa ricerca senza tanti compromessi – mettendo a rischio la propria indipendenza economica, certo – in effetti, quel che ho visto recentemente conferma un po’ la semplificazione nell’intrattenimento anche nel teatro. Incalzo, a cosa può portare tutto questo?

“Ci si spinge ai margini più periferici del teatro rischiando di snaturarlo, quando invece per rispetto del proprio lavoro bisognerebbe rinunciare o semplicemente posticipare i propri progetti fino a quando non se ne presentino realmente le occasioni. Troppo spesso vediamo lavoratori dello spettacolo che piuttosto che non fare, fanno. Fanno in contesti di volontariato, non pagati, addirittura a proprie spese.”

Detto così tanto  del contesto socio-economico, intendo virare su altro. Passo dunque a chiedere loro un teatro scevro della parola parlata cosa intenda recuperare. In effetti, penso, le parole riempiono dei vuoti che il silenzio tende ad amplificare. La loro scelta mi è sembrata in controtendenza rispetto al paradigma teatrale napoletano.

“Lavoriamo alle immagini, andando alla ricerca della distorsione del tempo, cercando di mettere a nudo anche il più piccolo silenzio e caricandolo di storia, aspettativa, ricordo. La parola mette un punto ai pensieri, sommerge l’emotività o la fa debordare. E, per ora, non è il nostro obiettivo. Cerchiamo infatti di non dipingere personaggi, ma figure che possano divenire dei simboli, delle manifestazioni universali di questo o quello stato d’animo. Archetipi, immagini universalmente riconoscibili. Se dicessimo anche solo una parola concretizzeremmo quello che stiamo vivendo, distruggeremmo il mistero e la cosa che fa più rima, nell’arte, con perturbante è ridicolo. Tutto perderebbe il suo valore che molto spesso si basa su qualcosa di impalpabile.”

Il teatro ha guadagnato spazio con l’audiovideo, potendo almeno elaborare degli spot pubblicitari che lanciassero le performance. Mi dispiace che non ci siano ancora esperimenti di teatro dell’audiovideo in regola con la produzione tecnologica contemporanea. Proprio per questo mi chiedo sempre / Gli chiedo quindi: perché ancora il teatro.

“Perché conserva ancora un rapporto con lo spettatore molto onesto. Perché il teatro è una delle pochissime cose che non potrà essere digitalizzata. Perché per noi è mistero e sacralità. Il teatro riesce a conservare, nel suo essere perennemente storico, una personalità forte, un’identità poliedrica e segreta. E’ sempre un’esperienza, alcune volte molto faticosa, altre addirittura dolorosa. Altre magnifica.”

DispensaBarzotti: Riccardo Reina Alessandra Ventrella,e Rocco Manfredi

Resta che il futuro non ha scritto ancora la parola fine alla querelle teatro digitale, e che gli aggiornamenti in tal senso restano graditi. Alla fine lo stesso Beckett ha ricavato un solco che ancora in pochi riescono ad approfondire.

In tutto questo, non mi hanno voluto rivelare perché si chiamano così. Ad ogni modo, loro sono Alessandra Ventrella, Rocco Manfredi e Riccardo Reina. DispensaBarzotti.

+ ARTICOLI

Antonio Mastrogiacomo vive e lavora tra Napoli e Reggio Calabria. Ha insegnato materie di indirizzo storico musicologico presso il Dipartimento di Nuovi Linguaggi e Tecnologie Musicali del Conservatorio Nicola Sala di Benevento e del Conservatorio Tito Schipa di Lecce. Ha pubblicato “Suonerie” (CD, 2017), “Glicine” (DVD, 2018) per Setola di Maiale. Giornalista pubblicista, dal 2017 è direttore della rivista scientifica (Area 11 - Anvur) «d.a.t. [divulgazioneaudiotestuale]»; ha curato Utopia dell’ascolto. Intorno alla musica di Walter Branchi (il Sileno, 2020), insieme a Daniela Tortora Componere Meridiano. A confronto con l'esperienza di Enrico Renna (il Sileno, 2023) ed è autore di Cantami o Curva (Armando Editore, 2021). È titolare della cattedra di Pedagogia e Didattica dell’Arte presso l’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria.

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e statistici. Cliccando su "Accetta" autorizzi tutti i cookie. Cliccando su "Rifiuta" o sulla X rifiuterai tutti i cookie eccetto quelli necessari per il corretto funzionamento del sito. Cliccando su "Personalizza" è possibile selezionare quali cookie attivare.