Un racconto. Campo de’ Fiori. Breve regressione psicogeografica di un territorio a Roma

unità d'ambiance universo giordano bruno realizzata da ufociclismo_vazquez

Quelle che seguono sono delle riflessioni nell’ambito dell’esperienza collettiva Associazione Psicogeografica Romana che riguardano un ulteriore sviluppo della psicogeografia, ovvero una sorta di psicanalisi del territorio urbano, laddove tutti i tentativi provati in questo senso ci sembrano forzature o fallimenti, rivolti alla storia piuttosto che allo spazio tout court.

Dopo anni e anni di derive si è sperimentato che numerosi luoghi che presentano delle rimozioni sono apparentemente privi di corrispondenze emozionali, ovvero di convergenze tra territorio ed emozioni degli individui.

unità d’ambiance universo giordano bruno realizzata da ufociclismo_vazquez

Partendo dall’assunto che non possa esistere un luogo privo di corrispondenze emozionali si è elaborato il concetto di “trauma del territorio”.

Una volta individuato il trauma è possibile comprendere quale sia l’emozione congelata nel territorio che non si esprimeva a un primo impatto. È possibile anche che la corrispondenza emozionale sia patologica, che le emozioni incorporate nei luoghi siano distorte, in questo caso il territorio presenta dei sintomi che vanno approfonditi per far emergere la reale emozione che vi soggiace.

Il trauma di un territorio può essere causato da una speculazione immobiliare, dalla gentrificazione, dall’eccessivo controllo dei suoi luoghi, dalla mancanza di un necessario disordine spaziale, dalla mancanza di un sistema relazionale che lo faccia vivere, etc. In un certo senso lo psicogeografo è come uno psicanalista del territorio, ne individua, laddove vi siano, i sintomi patologici e congettura su possibili soluzioni attraverso un dialogo ininterrotto con i luoghi urbani traumatizzati.

Un caso di luogo urbano traumatizzato a Roma è la zona di Campo de’ Fiori, un’unità d’ambiance che ha visto cambiare improvvisamente la sua tonalità emozionale fino al suo azzeramento e alla scomparsa dell’unità d’ambiance stessa.

Per unità d’ambiance, ricordiamo, s’intende una zona in cui vi sia una e una soltanto emozione o passione dominante, si tratti dell’amore, dell’oblio, della malinconia o della gioia. Qui il trauma spaziale è stato dettato da diversi cedimenti dell’unità d’ambiance originaria dominata dalla passione della libertà e da una tonalità emotiva includente e rassicurante dovuti a scosse sempre più forti che hanno portato alla scomparsa dell’unità d’ambiance che chiameremo “Universo Giordano Bruno”.

Ci atterremo a ciò che abbiamo osservato per le strade e nei locali con le derive psicogeografiche e senza alcuno strumento aggiuntivo. Sfidiamo dunque l’urbanistica, l’antropologia urbana, la sociologia urbana e la fenomenologia delle ambiance, con una scienza ludico-costruttiva semplice, abbiamo giocato a Campo de’ Fiori, finché era possibile e ora faremo una regressione psicogeografica di quel territorio molto breve.

Vi è stata dapprima una speculazione immobiliare che ha gentrificato le classi popolari della zona Campo de’ Fiori, abbiamo visto sparire nel nulla volti su volti del mercato e delle vie dell’intorno, persone fondamentali della rete sociale di mutuo aiuto di quei luoghi e non solo “personaggi” come li voleva il cinema, erano lo spessore umano di questo territorio, ne caratterizzavano qualitativamente l’universo.

Poi i perdigiorno, i tossici, la teppa, la feccia malavitosa sono i stati i primi a fare una brutta fine, gli artisti sono scappati e i critici li hanno seguiti, i poeti non avevano più motivo di stare a guardare una piazza appassita o a vagabondare per vie e viuzze e con loro se ne è andata subito via anche la poesia.

Negli anni ’80 c’erano gli artisti anti-sistema e auto-organizzati che dopo una vita di barricate e tentativi di fondare avanguardie effimere concepiranno negli anni ’90 il primo movimento italiano che ha utilizzato sistematicamente gli appartamenti come luoghi di mostre, concerti, convivialità tra sconosciuti e che ha aperto le porte a un modo di usare lo spazio domestico del tutto nuovo.

In quegli anni c’erano dall’altra parte della barricata gli artisti celebri e integrati alla Cy Twombly o Pizzi Cannella, alcuni indipendenti altri no, alcuni dei quali si trasferiranno a San Lorenzo o all’ex birreria Peroni poi divenuta MACRO. I critici come Achille Bonito Oliva ci sono sempre: lui, da Via Giulia passeggia ed è spessissimo da Camponeschi – caffè e ristorante -, dove si tengono eventi d’arte ogni giovedì da anni – con Electronic Art Cafè di Umberto Scrocca e il battesino proprio di ABO –  ma i suoi seguaci sono scomparsi presto dalla zona.

I poeti come Antonio Veneziani e suoi amici o Angel Amezketa e compagnia hanno rappresentato la resistenza. Cesar Gala il geniaccio che è stato il primo a usare il bar Perù per mostre e che distribuiva un foglio dal nome l’Aperiodico è stato uno degli ultimi a resistere. Resta ora solo Giancarlino Benedetti eroico, senza paura in mezzo a una nuova generazione di artisti parvenu. Ed Enzo Cucchi, ma lui è ormai un flâneur. Galleristi come Sargentini e Sperone dell’epoca eroica ora se li sognano.

Gli affitti che erano irrisori sono lievitati alle stelle improvvisamente, chi aveva la casa o la bottega di proprietà ha ben pensato fosse un affare nel vendersela.

Tuttavia la gentrificazione è stata singolare, non è avvenuta richiamando nella zona che comprende via del Pellegrino, via dei Cappellari, vicolo del Gallo, via dei Baullari, via dei Giubbonari, parte di via di Monserrato, via di Montoro, via del Biscione, tanto nuovi ricchi, sì vi sono anche loro, ma i nuovi ricchi hanno in centro soprattutto la terza o quarta casa, perché preferiscono vivere nella città orizzontale prospera, sono soprattutto gli studenti delle università americane, studenti di tutto il mondo anglofono che si sono riversati nell’universo Campo de’ Fiori con un contraccolpo imprevedibile.

La zona è diventata una piazza di locali per bere alcool fino alle due di notte, tutte le botteghe lì affacciate hanno chiuso, riconvertendosi in locali, bar, ristoranti e appartamenti.

Dapprima la piazza si è riempita per anni di fascisti, che portavano la peste emozionale, “paravano il culo” ai politici di destra che vi abitavano e davano l’assalto alle ragazze americane, australiane, inglesi e irlandesi. In quel periodo quasi fosse fatto apposta, i ragazzi pakistani vendevano non rose ma micro-megafoni e sentivi gente inneggiare al duce, cantare “Faccetta nera” o assurde canzonette da stadio contro i disabili ovunque. Era diventata una colonia americana ma presa d’assalto dai fasci. La polizia non faceva niente, si limitava al controllo, intanto i compagni si erano del tutto ritirati. Occorre dire che per molto tempo, negli anni Duemila, si sono andati a nascondere nei social network lasciando le strade e questo è stato il vuoto dal quale è potuto emergere un fenomeno come CasaPound. Poi i primi scontri di piazza tra tifosi e la polizia che caricava. Quando la colonia yankee ha capito l’antifona, le ragazze hanno ben compreso che non dovevano più starci con chi inneggiava al loro nemico storico.

A quel punto i fasci sono diventati frustrati da dosi di testosterone inutilizzabile e si sono dati al vandalismo con esiti ridicoli finché non sono stati respinti. Ma ormai la piazza era presidiata da polizia, carabinieri e vigili urbani, così con questa cintura di sicurezza è arrivato un nuovo pubblico per la colonia yankee, peggiore dei fascisti: i fighetti ambigui del venerdì e del sabato sera pieni di cocaina, i giovani capitalisti. Campo si riempiva di locali segreti aperti fino all’alba, gestiti, probabilmente dalla criminalità organizzata.

Apparentemente non c’era niente dopo le due, in realtà tutto brulicava segretamente in posti pensati apposta per la colonia americana e i suoi amici pieni di coca. Campo de’ fiori è stata pesantemente traumatizzata e oggi questo trauma è rimosso, si vedono solo i sintomi. Campo de’ Fiori è l’emozione dell’esserci per la morte, non esprime emozione, è depressa, tutti si guardano e si giudicano per i vestiti all’ultima moda e sono ridicoli in modo ineguagliabile come in una romanzo di Balzac perché ci insegnano come vivono la crisi economica i ricchi e chi vorrebbe imitarli. Stanno per ore fermi a guardare e farsi guardare, se scocca qualcosa è sesso e potere non amore.

La comunità anglofona dapprima apertissima ora si è chiusa sempre di più su se stessa, le ragazze sono praticamente scortate da agenti in borghese, che sono subentrati alle guide private che le portavano per locali. Si dice che intorno vi siano tante belle gallerie, sì vi sono tante gallerie ma vuote, tranne alla vernice che di solito è frequentata più da gente del Pigneto che non da quelli del centro di cui dell’arte non sanno niente.

I pakistani sono stati sostituiti dai bengalesi che aprono in mezzo a tutto questo panico i loro negozi, sono riapparse le rose. Si respira tanto sesso, ma è rancido, vecchio, violento, privo di fragranza. Poi c’è il bar Perù, ah il Perù, che brutta fine: era un luogo dove ci si andava per ispirarsi ed è diventato un triste posto, per precari del lavoro cognitivo.

Dunque si tratta di un territorio che ha subito un trauma che solo con la dislocazione delle università americane più in periferia potrà guarire, la passione della libertà è in poche mani, qualche volto sopravvissuto e poco raccomandabile, la libreria Fahrenheit, Giordano Bruno, perfino la Sezione Campitelli è stata spostata nella ormai più fighetta Via dei Cappellari, una volta via degli artigiani del legno e del cuoio. Ora vi sono locali chic dal nome MY ALE, bel gioco di parole.

Parliamoci chiaro: l’APR ha un approccio immoralista, ciò che non va in questo territorio è l’espulsione del povero e dell’infante, non abbiamo a cuore alcuna retorica contro il degrado o il marcio, ma ora non vi sono né poveri né bimbi.

I bimbi di questa zona giocano piuttosto davanti alla piazzetta della loro scuola Cadlolo su via dei Coronari. Non vi sono servizi per i bambini, occorre avere l’automobile per portarli altrove. Tutti devono avere l’automobile ed è tutto un parcheggio privato.

Via Giulia è stata rovinata e devastata da un parcheggio che la divide in due tra l’antimafia e la criminalità. Il responso inappellabile dell’APR è che senza la colonia americana questo stato depressivo non si sarebbe mai raggiunto.

Chi scrive non è depresso, non vi è proiezione della propria depressione. Il povero non c’è se non nella forma spettacolare e consolatoria dell’homeless che chiede le monetine e le sigarette che prima non esisteva.

Se tutto poi riapparirà come prima non fidatevi, sarà solo una rappresentazione spettacolare e sedata dell’originaria condizione del luogo e non una guarigione, un’invenzione della tradizione ad uso di turisti.

Qui non ci sono più forme di vita interessanti, anche gli americani quando escono dalla loro colonia lo sanno e non passano più i loisir a Campo de’ Fiori, si spostano tutti a Trastevere dove preferiscono sentire un concerto dei Funkallisto o bivaccare fuori controllo (o quasi perché davanti al bivacco passa continuamente la stessa persona con lo smart e le cuffie per ore e ore) a Piazza Trilussa.

Comunque niente di selvaggio, niente di barbaro, niente disordine, niente di fuori controllo, tutto questo farebbe appassire qualsiasi territorio per ipertrofia di ricchezza, sesso, potere e controllo.

Ora c’è chi si domanderà come sia possibile esperire queste cose esclusivamente camminando, in realtà la nostra psicogeografia si rifà a quella lettrista e non a quella situazionista, siamo interessati ad entrare ed uscire dai bar, dai locali, abbiamo sfruttato la nostra abilità nel reperire tessere esclusive per entrare in posti segreti, ci siamo imbucati in feste, abbiamo frequentato gli stessi locali dei fasci, seguivamo le orme degli americani ovunque, abbiamo provato ad entrare nei loro locali super-controllati, siamo riusciti ad entrare un paio di volte, nel restante dei casi non siamo riusciti neanche a subodorare cosa vi accadeva dentro mentre fuori c’erano parcheggiate le Ferrari, ma c’è bastato e sappiamo.

E infine c’erano anche i radicali che se li vedevi a Campo si confondevano con la loro teoria dei beni comuni nella testa ma non nel cuore coi i fighetti tutti coca e potere. Teatro Valle. Hanno inaugurato la stagione delle donne in pelliccia animale nei centri sociali. Ciò che ci amareggiava era la totale assenza della lotta di classe, tutti in ritirata a Roma Est, i più privilegiati al Pigneto e a Centocelle.

Ci manca un rientro in centro del proletariato, quello senza un euro, non dico i precari di lusso dell’ex Teatro Valle, altrimenti non vedremo più l’unità d’ambiance “Universo Giordano Bruno”.

Ci resta per ora solo Giordano Bruno a tutelarci nei nostri giochi psicogeografici quando andiamo in centro, da sempre e ci andiamo per dare conforto a un territorio che deve e dovrà riprendersi per superare questo terribile trauma.

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Daniele Vazquez è antropologo, psicogeografo, urbanista e scrittore di science fiction. Tra i fondatori del Luther Blissett Project, ha fatto parte e fa parte di numerosi gruppi anti-artistici, attivisti e di ricerca indipendenti sulle forme di vita urbane, tra i quali l’Associazione Psicogeografica Romana. Ha pubblicato contributi per diversi libri, articoli per numerose riviste e nel 2010 il volume Manuale di Psicogeografia, nel 2012 il romanzo La comunità dei sogni, nel 2015 La fine della città postmoderna, nel 2016 ha fatto parte dell’équipe di ricercatori che ha lavorato al volume Sviluppo e benessere sostenibili. Una lettura per l’Italia, nel 2018, con Cobol Pongide, il libro patafisico Ufociclismo. Atlante tattico ad uso del ciclista sensibile e, con Laura Martini, la raccolta di scritti del Centro di Ricerca dei Luoghi Singolari: Che cosa è un luogo singolare?

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