PordenoneLegge #1 Si conclude il viaggio tra i libri dimenticati e Carlos Ruiz Zafon apre Pordenonelegge

I libri oggi possono continuare a stimolare il lettore, offrendogli un’esperienza sensoriale”. Inizia con questo auspicio la nuova edizione di Pordenonelegge, quella in cui il festival friulano diventa maggiorenne.
In una città che si veste di giallo, innervata dalla manifestazione, è l’ospite d’onore, Carlos Ruiz Zafon, ad aprire le danze.
È qui a presentare il suo nuovo libro, Il labirinto degli spiriti, che chiude la tetralogia che gli ha dato fama mondiale. Iniziata con L’ombra del vento nel 2002 – e proseguita con Il gioco dell’angelo (2008) e Il prigioniero del cielo (2011) – si chiude dopo tre lustri con gli ingredienti che gli amanti dell’autore spagnolo più amato dopo Cervantes conoscono ormai bene: una Barcellona di respiro gotico e i libri.
È dalla suggestione di questa immagine che tutto è nato, racconta ai giornalisti. Una biblioteca, «metafora della memoria e dell’identità che si costituisce nel ricordo». Da lì, quattro fortunati romanzi di trame intrecciate, complesse, ma sempre con una costruzione flessibile «perché scrivere è come andare in guerra, se non hai strategia vieni sconfitto il primo giorno, ma devi essere disposto a cambiare a ogni necessità: non hai controllo, il nemico può arrivare altrove, e i rinforzi non arrivare affatto».
Per stabilire la strategia, poi, esiste anche un criterio squisitamente emotivo. Ciò che Zafon non è in grado istintivamente di trattenere e controllare rispetto al resto, è destinato ad essere espunto dall’opera. Una lunga vicenda dentro la quale lo scrittore catalano ha voluto includere tutti i generi, perché si tratta di «un’ode alla letteratura, alla parola scritta in quanto tale». Per questo non potrà, chiarisce, mai diventare un luogo concreto, tangibile, malgrado i suoi affezionati lettori lo cerchino spesso tra le strade di Barcellona.
Infatti il cimitero dei libri dimenticati è un luogo dell’immaginazione, destinato a condurci, anche faticosamente se occorre, a ricordare l’immenso piacere della lettura.

Per questo, le menti portate all’immagine non saranno facilitate da una trasposizione filmica. Non per una preclusione pregiudiziale, spiega lo scrittore. Al contrario: «Se avessi voluto farli essere un prodotto per il cinema o la tv – chiosa l’autore trasferitosi un quarto di secolo fa a Los Angeles per fare lo sceneggiatore – li avrei scritti come tali. Se sono libri è perché questa è la loro forma più compiuta». Nella quale risuona la sua seconda passione, la musica. Su quale dovesse essere la sua professione, da ragazzo era stato molto indeciso. Ha optato infine per la parola scritta, consapevole che il linguaggio della musica, coi suoi timbri, i suoi tempi, i suoi ritmi, fa parte dell’«orchestra di parole» che è il suo scrivere. Necessario, perché: «i sentimenti e le percezioni si riescono a comunicare se si è studiato un linguaggio musicale». Musica che per questo romanzo funge anche da struttura. Ogni capitolo infatti è un passo di una messa da requiem, architettata per «risuonare nel silenzio delle menti», sintetizza nel corso della partecipatissima inaugurazione ufficiale al teatro Verdi, intervistato dal giornalista di 7 Edoardo Vigna.Nelle pagine della quadrilogia echeggiano però soprattutto i passi. Quelli della passeggiata che l’autore si concede ogni volta che torna a Barcellona, dalla parte alta della città fino al porto, perdendosi in una città sconosciuta non solo ai turisti, ma anche ai suoi stessi abitanti, in cui «in venti passi si percorrono venti secoli».
Ma anche la geografia dei luoghi dei romanzi è superfluo cercarla sulle cartine. Se corrisponde la toponomastica, la Barcellona di Firmìn è una costruzione letteraria, che ha radici soltanto nella mente di chi l’ha costruita, che fin da bambino la percepiva pervasa da «un’anima oscura nella memoria delle pietre»
Cosa ci sarà nel suo futuro, ancora non lo sa. Sa bene, però, che i suoi lettori saranno stupiti. Non sarà più Barcellona, non più libri. L’epopea del cimitero dei libri dimenticati si è ormai conclusa.
È tempo di riporla, «esplorare nuove direzioni, puntare lo sguardo verso un nuovo orizzonte». E magari riprenderla, tra qualche anno. Perché i suoi molti piani possano schiudere, anche a occhi che già li hanno amati, mondi diversi che stavano nascosti tra le righe, in attesa di lasciarsi cogliere.

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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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