PordenoneLegge #4. Elisabeth Strout torna a casa, come i suoi personaggi, tra Pordenone e il Midwest.

Elizabeth Strout
Elizabeth Strout

Pordenonelegge si pregia di essere stato l’artefice del primo incontro di Elisabeth Strout con i lettori italiani. Accadeva qualche anno fa, e oggi la scrittrice statunitense torna in Friuli come a casa propria, in quella provincia delle piccole cose innerva tutti i suoi apprezzatissimi romanzi. Non fa eccezione l’ultimo, Tutto è possibile, pubblicato Einaudi e presentato prima alla stampa e poi al pubblico in una sala gremita malgrado un inclemente diluvio si sia abbattuto sulla città proprio in quei minuti.

La provincia, si diceva. Fondamentale per una scrittrice che dalla provincia viene e che la respira, la «sente nelle ossa», e la ricerca nei romanzi con la nostalgia dei figli andati nella grande città per dovere. Con quest’ultimo romanzo la scrittrice abbandona il Maine che le ha dato i natali per trasferirsi in una provincia diversa, un «luogo di cielo»: il Midwest.

Non abbandona però i suoi personaggi: ritroviamo qui Lucy Barton, protagonista del romanzo precedente, alle prese a sua volta con un ritorno: un nuovo contatto con la sua città, la sua famiglia, la sua vita precedente, attraverso un memoir che tutti i compaesani sembrano volersi accaparrare, per scoprire la sicura infanzia difficile della figlia del luogo ormai famosa e lontana. Una consonanza che qualcosa di diverso dall’inizio di una saga: piuttosto un completamento di filoni del romanzo precedente che avevano affascinato l’autrice medesima. Racconta infatti di aver iniziato a scrivere queste pagine – «a mano, come sempre, perchè sento di dovermi guadagnare ogni frase» – durante la scrittura del precedente. Se scopriva filoni narrativi che andavano aprendosi, e che non trovavano spazio nell’architettura che andava prendendo forma, non doveva fare altro che cambiare tavolo e procedere con il secondo manoscritto. Alla conclusione del primo, così, il seguito non ha fatto che comporsi da sé, unificando quei frammenti di vita tipici della provincia, in cui «tutti pensano di conoscere tutto degli altri, ma non conoscono che frammenti» che poi ciascuno autonomamente ricompone.

La poetica del frammento innerva tutta la scrittura della Strout, che procede, spiega, alla ricerca di «momenti di grazia», momenti di felicità che modificano la percezione della realtà in cui i personaggi si muovono. In questo romanzo, sono soprattutto quelli apparentemente più piccoli ad acquisire importanza, la creazione di «legami inattesi» che aprono orizzonti nuovi.
Ciò tuttavia non significa un’allegria aprioristica, anzi. In questo nuovo romanzo trovano spazio anche temi drammatici: la violenza, l’incesto, l’incapacità di chi ritorna da un’esperienza drammatica come la guerra di ritrovare il proprio posto nel mondo. Anche tutto questo la scrittrice ha imparato – forse sulla scorta dell’infanzia nel Maine, dove «non si parla» e le emozioni si condividono con una difficoltà caratteristica del presente –a registrarlo mentre avviene, come una cronista, e riportalo con un garbo che è solo suo, che tratteggia i sentimenti con pochi tocchi di colore a cui nulla è da aggiungere, come l’immagine di una donna sfiorita che si mette il rossetto per incontrare la sorella famosa.

Tratti che sono funzionali a quello che, secondo l’autrice nata a Portland, è lo scopo principe della letteratura: «rinforzare il muscolo dell’empatia». Se infatti si riesce a fare in modo che i lettori, leggendo una storia di vita, empatizzino con coloro che la vivono, si mette in atto un meccanismo grazie al quale «il mondo potrebbe essere diverso».
E forse tutte le emozioni inespresse tipiche di questa provincia, che non è più soltanto quella americana, possono trovare un nuovo modo di esprimersi e mutare, anche con uno scarto violento come quello compiuto da una donna come la madre di Lucy, che dopo cinquant’anni reclusa nei propri doveri cancella tutto ciò che era per fuggire in Italia alla ricerca di se stessa e di una felicità finalmente solo sua. Sa che non si potrà che «amare in modo imperfetto», ma tenendo salva la propria dignità di individuo. Elisabeth Strout invece in Italia non ha bisogno di trovarsi, semmai di dare modo a chi la ama di specchiarsi ancora una volta nei personaggi partoriti dalla fantasia di una donna che non ha ricordi di sé nei quali non sapesse che nella sua vita avrebbe raccontato storie.

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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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