PordenoneLegge #7. La porta di Anne. Ovvero di quello che insegnano i ragazzi.

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Alzi la mano chi è stato costretto a leggere dalla scuola. Durante l’anno, per i compiti estivi. Tutti, vero? Alzi la mano chi, tra questi libri aveva Il diario di Anna Frank. O Anne, come sarebbe più corretto. Verosimilmente, altrettanti. Una pietra miliare, capace ancora di affascinare ed emozionare, ma spesso associato al concetto di dovere. Un’idea non semplice da sradicare dalle menti dei ragazzi, verrebbe da pensare. Guardando la sala in cui Pordenonelegge ospita la presentazione de La porta di Anne non se ne è più così sicuri.

Centinaia di ragazzi delle scuole medie, partecipi, attenti, curiosi, hanno letto ancora la storia di Anne Frank, ma questa volta da una prospettiva nuova. Guia Risari infatti allarga lo sguardo: La protagonista non è più una, ma otto. Anne, sua madre Edith, sua sorella Margot, suo padre Otto e i quattro sconosciuti – tra cui Peter – con cui per più di due anni dividono le tre stanze dietro la libreria.

Ciascuno con una voce, una storia da raccontare, e in questo agile libretto, uno spazio per farlo. I riti di Otto per ritrovare piccoli momenti di pace, l’insofferenza di Margot per aver dovuto rinunciare ad andare in piscina, la dolorosa depressione di Edith, nascosta con ogni mezzo alle figlie perchè non soffrissero. Ci si trova così a scoprire di nuovo uno spazio che si credeva di conoscere, e che non è solo un efficace e necessario mezzo per non dimenticare una delle pagine più drammatiche della Storia.

Emerge potentemente invece la possibilità di usare la lente della vicenda degli otto prigionieri per guardare a noi stessi, per suggerire ai ragazzi come guardare al loro presente e al loro futuro, senza per questo salire in cattedra o imporre loro orizzonti di pensiero. E del resto non c’è alcun bisogno di suggerire e lo provano le loro parole: quelle premiate dal concorso “Caro autore ti scrivo…”, che chiedeva ai ragazzi, una volta letto il libro, di scriverne una recensione in forma di lettera recapitata direttamente all’autrice. Righe di giovani che vedono benissimo la freddezza del militare che arrestò gli otto prigionieri solo, sintetizza l’autrice: «perchè non ha trovato il coraggio di cercare il suo posto nel mondo e costruire una sua scala di valori da mettere in discussione con se stesso» e indossa una divisa che spaventa per nascondere la sua pavidità sotto l’abito del potere. Elisabetta Pieretto, che modera l’incontro, non deve far altro che premiare i vincitori e aiutare a stemperare qualche timidezza.

Creata l’empatia, non è difficile stimolare i ragazzi a porsi domande importanti e complesse, – debitrici anche degli studi di filosofia della scrittrice – o ad esempio interrogarsi insieme sulle origini del male. In un modo a loro comprensibile, senza sovrastimarne gli strumenti, le osservazioni e i commenti di alcuni ragazzi inchiodano tanti adulti ai giudizi spesso poco lusinghieri che sono portati a riferire ai nati dopo il Duemila.

Che invece hanno voglia di guardarsi intorno, di difendersi dai nuovi aguzzini nascosti in chi «cerca scorciatoie, o accetta senza opporsi che una parte del mondo viva in condizioni disagevoli» e non intendono diventarlo loro stessi.

Ragazzi, soprattutto, che hanno voglia anche di leggere. Che sono affascinati dalla professione di scrittore che, li rassicura la Risari, «inizia quando si comincia a leggere seriamente», dando alle storie la nostra interpretazione.

E allora anche la letteratura può diventare una porta. Come quella libreria che per Anne e la sua famiglia è stata baluardo tangibile contro il pericolo, i libri possono anche oggi essere strumenti preziosi, per «prepararsi in maniera autonoma ad affrontare più facilmente i problemi della vita. Cogliendo anche la lezione della loro coetanea Anne Frank, che con le sue parole ha cambiato il nostro modo di percepire una fetta della storia anche senza aver potuto cambiarne il corso, i ragazzi di oggi, forse, lo hanno capito.

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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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