PordenoneLegge #8. Ripensare uomini e donne secondo Lacan

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Il tema della violenza contro le donne è di tale stringente attualità che potrebbe rivelarsi perfino pericoloso considerarlo trito. È vero tuttavia che spesso ci si trova a parlarne in contesti limitati, molto spesso tutti al femminile, nei quali l’uomo entra per essere additato anche solo per aver detto fin troppo su come la donna deve considerare e interpretare se stessa. Anche per questo, il taglio che al tema ha scelto di dare Pordenonelegge merita un approfondimento. A partire dal programma. L’evento della terza giornata della manifestazione friulana è infatti organizzato dall’Associazione In Prima Persona – Uomini contro la violenza sulle donne.
Non sono molte le associazioni di questo tipo, che si propongono esplicitamente un obiettivo che il senso comune tende a considerare pertinente soltanto alle donne, consapevoli invece di quanto l’apporto maschile alla riflessione sia il solo modo di affrontare sul piano concreto una problematica così impellente.

Occorreva quindi, accanto a Lorella Zanardo, notissima attivista per i diritti delle donne, una figura capace di creare un dialogo fecondo. E la persona scelta è il secondo motivo di interesse di questo dibattito. Si tratta di Francesco Stoppa, cittadino illustre di Pordenone e psicoanalista.
Una partecipazione motivata dalla pubblicazione, da parte di Stoppa, di un libro il cui titolo è già significativo: La costola perduta, per i tipi Vita e Pensiero.

Non tragga in inganno il titolo: nessuna rivendicazione di una presunta appartenenza della donna al maschio. Piuttosto la certificazione di una mancanza. Uomo e donna, spiega il professore, non sono due parti di un tutto, ma due mondi indipendenti. Al primo, tuttavia, manca qualcosa. Ecco il senso dell’aggettivo «perduta». All’uomo manca qualcosa che la donna, in genere, possiede. Di cosa si tratta? A chiarirlo è Lacan, da cui Stoppa trae tutto il suo pensiero e che innerva l’intero saggio. Secondo uno dei maestri della psicoanalisi infatti, genericamente le donne (non nella loro totalità, naturalmente) possiedono innata una «posizione femminile», alla quale tuttavia possono e devono tendere anche gli uomini. La capacità cioè, di un rapporto diretto e dialettico con il corpo e il linguaggio, ovvero ciò che ci pone in relazione con l’altro. Per questo, spiega Stoppa, non solo non esiste l’invidia del pene di Freudiana memoria, ma questa invidia andrebbe invece intesa nel senso opposto: degli uomini verso le donne.
Nel suo lavoro ampiamente documentato e squisitamente scientifico, Stoppa argomenta che «l’uomo tende ad usare gli strumenti del corpo e del linguaggio, a possederli. Le donne, invece, li interrogano. Laddove anche il linguaggio maschile è generalmente impositivo e poco empatico, quello femminile è complesso, conflittuale, critico».

Secondo Lacan poi la differenza tra i generi si specchia anche nel modo nel quale concepiscono la collettività. Mentre l’uomo è portato a fare branco, le donne, si spinge a dire lo psicanalista francese: «non esistono. Sono una per una. Non fanno massa. E portano alla comunità la propria individualità, che l’uomo tende a percepire come invincibile».
Tuttavia, nel momento in cui si stabilisce una relazione, in qualsivoglia forma, si deve stipulare un patto, che prevede uno statuto di libertà di scelta, di umanità non di macchina infallibile che risponde a dei bisogni. È da qui secondo Stoppa, che nasce la violenza. Dall’incapacità di «concepire la caduta dell’infallibilità dell’altro, di comprendere la sua umanità».
Come confrontarsi allora con un tempo nel quale le teorizzazioni si moltiplicano, ma con la stessa rapidità si moltiplicano anche i gesti violenti?
La risposta si può individuare in una massima di Franco Basaglia, secondo cui «c’è violenza dove non c’è conflitto», inteso come rapporto dialettico, anche quando di scontro, fra le parti.
E la capacità di creare conflitto, «aprirsi a un’alterità senza confini» è ciò che caratterizza questa posizione femminile.
Se secondo la Zanardo è importante che le donne innervino ogni tema del loro punto di vista, secondo Stoppa è necessario smettere di pensarsi col concetto maschile di società per «ripensarci come comunità, creare un nuovo conflitto che generi un humus creativo», agendo a partire dalle individualità, senza aspettare che siano i grandi media o la politica ufficiale a farlo.
E ciò non può avvenire senza la partecipazione attiva tanto delle donne quanto degli uomini.

 

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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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