PordenoneLegge #13. Gli Arlecchini reali di Ferruccio Soleri e Claudia Contin

Una sala gremita, e gremito il chiostro che ospita il maxischermo. Il pubblico tutto in piedi, che prorompe in un applauso che sembra non aver intenzione di finire e si alza in piedi mentre tributa il suo omaggio. Così si avvia a concludersi Pordenone legge, quando Elisabetta Pieretto introduce l’ospite d’onore.

All’anagrafe sarebbe Ferruccio Soleri, ma per tutti è Arlecchino, per antonomasia e da sempre. Sono cinquantasette anni che Soleri calca i teatri del mondo sotto il cappello e la maschera nell’Arlecchino servitore di due padroni con la regia di Giorgio Strehler. Una pièce che ha accompagnato molte generazione e che lo ha fatto assurgere al rango di leggenda vivente.

Ma non è solo, e Pordenone può vantare natali gloriosi, per quanto riguarda gli Arlecchini. È pordenonese infatti Claudia Contin, che al suo nome aggiunge sempre anche Arlecchino, e con ragione: ha una primogenitura storica. Si tratta infatti del primo Arlecchino donna, da trent’anni sulle scene.
È con cotanti maestri che la manifestazione friulana può permettersi di dedicare una riflessione alla maschera, con il supporto della critica d’arte Sabrina Zannier, che spazia dalle origini della maschera, cinque secoli fa, fino all’Arlecchino di oggi.
Soleri e Contin sono due Arlecchini molto diversi: se il primo rivendica con fermezza e orgoglio la sua completa aderenza alla tradizione, in monolitica coerenza al testo strehleriano esattamente come era stato scritto, pur mantenendo una leggerezza ineguagliabile, la Contin sceglie invece di incarnare un Arlecchino dai due volti, composto soprattutto di movimenti secchi, primordiali, ma che ha scelto di proporsi come «abitante del post Medioevo del terzo millennio».
Eppure anche due Arlecchini tanto diversi sono ugualmente reali, perché traggono dalla maschera qualcosa la costituisce: una radice antropologica che permette ancora di specchiarsi in un personaggio che porta sulle spalle cinquecento anni di storia e che gli artisti di ogni tempo, visivi e non solo, continuano a ritenere stimolante proprio per la poliedricità che può portare sulla scena. È proprio della storia e delle rese artistiche e pittoriche di Arlecchino che prende le mosse la voluminosa Umana Commedia di Arlecchino, il libro da cui l’incontro prende le mosse e da cui Luca Fantinutti trae i due suggestivi video delle prime due cantiche, in apertura e chiusura di serata.

Nel mezzo c’è spazio per la riflessione d’arte, ma soprattutto per lui Arlecchino, e soprattutto per l’Arlecchino Soleri, incalzato dalle domande di Claudia Contin.
Soleri chiarisce che Arlecchino è tanto amato perchè è «semplice, tutti possono capirlo» e capire le passioni che lo muovono: «non ha elucubrazioni mentali. fame e amore, nient’altro». E allora cosa deve fare, chiede Contin al maestro degli Arlecchini, per portare al meglio una maschera tanto densa di significato e così originaria? La risposta di Soleri è puntuale e senza appello: «pensare al personaggio, non all’attore. Molti cattivi attori commettono l’errore di cercare di sentire il personaggio, e così si costringono a doverlo spiegare. Il problema che l’attore deve porsi non è saper essere Arlecchino, ma saper far credere di essere Arlecchino». Il resto lo fa il pubblico, perchè senza il crollo della quarta parete la Commedia dell’Arte, e Arlecchino con lei, non esisterebbe.
Chiosa Claudia Contin: «sono le vostre risate, non il nostro lavoro, che divertono noi».

Arlecchino, spiega Zannier, «continua a esistere proprio perchè introietta i desideri del pubblico».
Ma ciò non significa snaturarsi, al contrario: «Arlecchino è fuori dal tempo, chi oggi è genuino come lui?». Per questo, spiega il maestro toscano, chi oggi si avvicina all’interpretazione di Arlecchino deve soprattutto essere «rigoroso e perspicace, per far restare il personaggio quello che è. Deve mettersi alla ricerca di quello che può essere tratto dal personaggio, non dall’attore».
Ed è questo il compito che assolvono anche le numerose opere pittoriche, fotografiche che hanno visto protagonista Arlecchino, in molti casi quando sotto la maschera si celava proprio Soleri, l’uomo che ha traghettato il personaggio lungo tutto il Novecento e le soglie del Duemila. Le opere visive infatti, oltre a onorare chi ne è protagonista, «aggiungono colori all’abito», spiega la critica d’arte, cogliendone la radice e la magia. Quella stessa che si compie quando Ferruccio Soleri toglie la giacca e indossa la maschera. E immediatamente scompare l’uomo composto, scompaiono i suoi ottantotto anni, e anche in pochi gesti Arlecchino è lì, concreto, con tutti i suoi scherzi e sua storia sulle spalle. La stessa che il vestito colorato di Claudia Contin Arlecchino continua a raccontare, e che continua a far parte di noi.

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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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