PordenoneLegge #14. Prendiluna di Stefano Benni. La pazzia è il pezzo che manca

Far ridere senza essere sguaiati è un’arte delicata. Richiede misura, precisione, consapevolezza dei propri mezzi. Se poi, insieme, ci si pone l’obiettivo anche di fare pensare, allora si tratta di un compito da demandarsi ai migliori. Stefano Benni ne fa parte, e la scelta di affidare a lui l’evento conclusivo della diciottesima edizione di Pordenonelegge si rivela azzeccata. Benni legge e si legge, davanti a un Teatro Verdi che pende dalle sue labbra, si racconta e si riflette.

L’occasione è il suo ultimo romanzo, Prendiluna (Feltrinelli).Un racconto figlio dei tempi, e di un’età, la sua, in cui arriva un momento in cui si sente il peso degli anni. E si possono scegliere due strade. La commiserazione e la riflessione, anche un po’ cupa, o il sorriso e la voglia di guardare ancora davanti, e concedersi una nuova avventura.

Benni ha scelto la seconda, e dopo aver scelto che non avrebbe più scritto altri romanzi ha scelto di mettersi ancora in gioco una volta di più. Cercava però qualcuno che, in qualche misura potesse somigliargli. E qualcuno a cui poter fare un omaggio: gli insegnanti.

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Quelli mossi da vero amore per ciò che fanno, che ancora esistono e ancora hanno cura delle generazioni di domani. «un’insegnante che salva l’intelligenza del cinquanta per cento dei suoi studenti è un grande intellettuale». Ha scelto così una donna, Prendiluna, per fare un omaggio ai tanti maestri di cui questi anni Duemila hanno privato lui e l’Italia tutta. Fabrizio De Andrè, Dario Fo e Franca Rame, Paolo Poli, Umberto Eco e poi Fausto Mesolella, cui è dedicato il romanzo. E tanti altri.

Prendiluna però doveva confrontarsi anche con un’altra variabile che ha un certo punto può pesare: il tempo: perchè se è vero che «nel tempo meraviglioso della letteratura si può scagliare un personaggio nel Tremila» oppure tornare indietro, attraverso Prendiluna Benni ha voluto fare i conti con la propria età. Ma aprirle davanti un futuro. Dare all’anziana Prendiluna una missione da compiere, anche se fosse l’ultima. Un modo per «godersi il breve o lungo tempo che ci sta davanti» e il fatto – come gli ha ricordato una giovane tedesca che voleva fare una tesi su di lui, con un messaggio inelegante eppure efficacissimo – di essere «momentaneamente vivo».

E così, mentre Prendiluna cerca dieci giusti cui affidare i suoi dieci gatti, per il lettore c’è il tempo di ridere ma anche di confrontarsi con il presente: fatto di coltissimi professori di greco incarogniti dalla vita che si trasformano in haters di professione, insultando tutto e tutti dietro lo schermo di un computer, di registi con grandi sogni ridotti in un capannone della periferia a girare film porno con attori brutti, perché la gente comune smetta di non sentirsi all’altezza. Di molto profumo di Sardegna e di imprecazioni in limba. Di una suora di 107 anni che ha vissuto compiacendosi di generare paura in chiunque incontrasse e che, giunta alla fine, teme non il giudizio ma che la paura inflitta le torni sotto forma di dolore.

L’ironia che è la cifra di Benni illumina anche le cose più semplici o amare di grottesco e divertito, abbattendo il confine arbitrario fra libri di realtà e di finzione, «come se i libri di immaginazione non descrivessero la realtà!», sbotta lo scrittore.
Ci si muove allora sulla traccia di due verbi preziosi, come insegnare e imparare. «Imparare a rendere profonda e contraddittoria la nostra cultura», ma anche imparare a confrontarsi con l’idea di Dio, che non è quella impositiva ed escludente delle religioni monoteiste, ma un orizzonte di «idee che non si arrendono alla finitudine»

Nella storia di Prendiluna a vincere sono i matti, liberati finalmente dalla dittatura della normalità. Uomini più saggi dei cosiddetti sani, che devono il nome a celebri eretici e ancora aspettano un amore perduto, scomparso in circostanze misteriose e sognano Jung e Freud. E che sanno benissimo cos’è quella che i dottori chiamano follia:
«La pazzia è quello che manca, è il pezzo tagliato via. Sei tu, Margherita. Siamo lupi feriti che continuano a correre»

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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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