inQuiete. Festival di scrittrici #3. Carola Susani racconta Antigone, simbolo della disobbedienza civile.

Teresa Ciabatti Francesco Pacifico e Carola Susani
Teresa Ciabatti Francesco Pacifico e Carola Susani

Antigone. Una vicenda che affonda le radici nei secoli, eppure non smette di essere raccontata, reinterpretata, scomposta, ripresa, indagata. Il motivo, spiega Carola Susani nella sua Introduzione all’Antigone per InQuiete festival, è che ha una forza che non si esaurisce, e parla all’oggi. Ci sono tracce che ci chiamano in causa, nella vicenda della giovane figlia di Edipo murata viva dallo zio, padre del promesso sposo e re di Tebe, Creonte, per aver voluto dare sepoltura al fratello Polinice, morto combattendo contro l’altro fratello, Eteocle, per il trono di Tebe.

L’analisi di Susani muove in primo luogo una linea guida, un gesto: sul quale la tragedia fa perno. La mano di terra gettata dalla giovane sul corpo del fratello morto, la sepoltura, che diventa anche gesto di accoglienza di colui che non era più figlio della città, bensì straniero ad essa.

Gesti, quelli dell’accoglienza e della sepoltura, che segnavano per i greci antichi il confine tra ferinità e civiltà.
Per questo la decisione di Creonte turba. Per questo l’imposizione del nuovo re di Tebe è una manifestazione di autorità che rompe le condizioni sulle quali la civiltà greca si fondava. Eppure non si tratta di un gesto disumano. Creonte non è tornato allo stato bestiale. Si trova invece di fronte all’ingrato compito di rifondare una città, mandata in macerie da qualcosa di inconcepibile come una famiglia fondata sul tabù dell’incesto. A fronte di ciò, anche «il segno del nuovo deve essere qualcosa di inaudito».

Chi aggredisce lo straniero e il supplice – come Antigone – si pone quindi al di fuori del confine dell’umano, violando regole poste da Zeus e quindi ponendosi anche contro gli dei, benché Creonte stesso agisca proprio malgrado, sperando e spingendo la giovane a ritrattare, mentre lei sceglie di rivendicare le proprie azioni, quale che ne sia il prezzo.
In molti hanno usato, nel tempo, la figura di Antigone per costruirvi un pensiero. Tra i tanti, Judith Butler si è interrogata sulla «vivibilità possibile» di una giovane che incarna il legame di parentela venendo da una famiglia la cui esistenza va contro a tutto quello che numerose culture ritengono fondativo, come il divieto del tabù incestuoso. Sulla figlia di Edipo e sorella di Eteocle e Polinice la Butler costruisce un pensiero che passa attraverso la presa di consapevolezza che il destino di una donna che «non ha un legittimo posto nel mondo» in termini di legami di parentela, figlia due volte e sorella di suo padre, non può avere altro destino che la morte.
Anche Maria Zambrano si interroga su Antigone indagandone la morte. In La tomba di Antigone sceglie di togliere il suicidio che compie la tragedia originale per aprire uno sguardo su una Antigone che delira, riflette, incontra i personaggi del suo passato e «si esaurisce senza spegnersi perché per lei – spiega Susani – morire è impossibile».

Antigone ci pone ancora di fronte alla cesura tra un prima e un poi e su un gesto che continua ad avvenire e a reiterarsi, nel nome di una «giustizia prima della legge» che si fa carico di un «principio di attraversamento di un confine» che parla potentemente del presente.
Non è un caso che anche durante la seconda guerra mondiale sia stata messa in scena una Antigone, quella di Anouhil, in cui Creonte è il burocrate del collaborazionismo di Vichy. Non lo è che venga messa in scena oggi, in un presente in cui i corpi dei morti venuti da fuori non hanno sepoltura e il supplice non viene accolto.
E allora di fronte a una vicenda che sembra senza appello il presente può guardare a possibilità nuove. Butler può immaginare una parentela nuova, che trovi spazio e vivibilità anche per Antigone e molte altre persone, Carola Susani può fare appello a quella manciata di polvere tebana apparentemente infinitesimale che riattiva la nostra coscienza, «piccola, ma la sola a cui tutti possiamo fare appello nel distinguere accettabile e inaccettabile».
Una coscienza che può passare anche attraverso un rifiuto. Un «no pieno di vita, senza il quale non esiste un mondo possibile».
Un gesto, quello di Antigone, che chiama in causa soprattutto le donne, la cui storia, chiosano le ragazze di Tuba, è esattamente questo: la storia di dei “no”, posizionati e pieni di vita.

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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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