A singolar tenzone! E il cunto di Mimmo Cuticchio ricrea l’emozione del sapere antico.

In altri Paesi sarebbe stato dichiarato monumento nazionale per la sua incarnazione dell’anima del Teatro.
Mimmo Cuticchio, puparo, cuntastorie, attore, regista, ma soprattutto custode unico della tradizione dell’Opera dei Pupi è Teatro.
Lo è per il gesto in cui racchiude decine di azioni, per la lentezza che s’oppone alla rapidità e per la rapidità che crea intere scene. Lo è perché con la voce tramanda il patrimonio dei romanzi medievali, ma al contempo, inventa incroci di storie e di tempi. Lo è perché la parola è l’espressione regina ed è musica

Di lui Ferdinando Taviani ha scritto: «… non capeggia un’istituzione. E non è neppure un baule di beni culturali che possono facilmente esporsi o diffondersi. È un bene culturale vivente».

Ma Cuticchio non ci sta: “con i monumenti non si mangia” risponde con un sorriso divertito alla mia osservazione e si lancia nel ricordo degli sprechi degli anni ’80, quando arrivavano in Sicilia, tir carichi di scenografie per spettacoli basati sullo sfarzo e sullo scialo.

Il suo teatro, invece, è basato sulla cattura degli occhi e del cuore degli spettatori.

Sia con i pupi, che pure hanno costumi sfarzosi come le storie dalle quali sorgono, sia solo con una spada di legno, come in questo nuovo spettacolo, A singolar tenzone! Duelli tra musiche e parole sul paladino Orlando andato in scena al Teatro Palladium di Roma, un cunto accompagnato da una piccola orchestra di fiati, archi e dal pianoforte di suo figlio, Giacomo .

Il cunto si fa con la spada, si fa con il ritmo, si fa con il battito dei piedi che fanno prendere il galoppo ai cavalli, si fa con il respiro, il volto, la voce.
Soprattutto con la voce in questo racconto sulle gesta del paladino Orlando attirato da un tradimento a Roncisvalle dove troverà, assieme ai trecento suoi compagni, una morte eroica e benedetta dagli angeli dopo aver sterminato centinaia di infedeli.

Ogni volta che ascolto un cunto provo un’emozione antica, vedo la storia che si dispiega anche per gli ultimi; immagino contadini, artigiani ed operai che creano la loro meraviglia e rafforzano la loro fede grazie alle immagini provocate dalla narrazione; mi si apre una conoscenza diretta, umile, scarna e vera che va a far piazza pulita di tutte le sovrastrutture intellettuali, capace di vincere in silenzio sulle costruzioni della mente. E spero sempre che sia così anche per tutti i fortunati che possono assistere a questi racconti.

Mimmo Cuticchio, del resto, lo ha sempre detto: a lui non interessano poi tanto le gesta dei paladini, le iperboliche storie di Orlando, Rinaldo, Astolfo e dei loro oggetti personificati, come la spada Durlindana, ma attraverso loro può parlare dei diritti o, dell’amore fra i popoli, del rispetto per gli anziani e per gli stranieri.

E lo fa proponendo cose nuove, continuando la tradizione senza ripeterla pedissequamente, ma mantenendo sempre i valori popolari.

A singolar tenzone! è proprio questo: uno spettacolo dove il cunto s’intreccia con la partitura musicale, scritta da Giacomo Cuticchio, eseguita da un ensemble di nove musicisti (Marco Badami, primo violino; Filippo Di Maggio, secondo violino; Massimo Cantone, viola; Paolo Pellegrino, violoncello; Nicola Mogavero, sax soprano; Filippo Barracato, fagotto; Sergio Caltagirone, tromba; Fabio Piro, trombone; Giacomo Cuticchio, pianoforte).

Una musica che introduce, accompagna, enfatizza o sottolinea dolcemente la storia lasciando un rispettoso silenzio quando la voce prende quel ritmo spezzato e incalzante che costruisce e incastra le parole e i significati descrivendo il culmine di battaglie, emozioni, galoppi, fendenti ed eroismi. È la declamazione antica dei vecchi maestri, quella in cui non si riprende fiato, quella capace di togliere il respiro anche al più scaltro spettatore.

E tutto questo è Teatro come quel gesto impercettibile della mano che, fra gli applausi scroscianti che durano da parecchi minuti, si muove con una lentezza sospesa a presentare i nove musicisti dell’ensemble, portandoli improvvisamente in primo piano.

Un gesto simile a quello che oltre trent’anni fa vidi fare al maestro Jean Louis Barrault che, seduto ad un tavolo e col volto coperto da un cappuccio, batteva – a tratti – due dita della mano sul legno creando anche lui quell’istante in cui si realizza il sapere antico.
E quello di oggi.

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Giornalista culturale e autrice di testi ed adattamenti, si dedica da sempre alla ricerca di scritture, viaggi, tradizioni e memorie. Per dieci anni direttore responsabile del mensile "Carcere e Comunità" e co-fondatrice di "SOS Razzismo Italia", nel 1990 fonda l’Associazione Teatrale "The Way to the Indies Argillateatri". Collabora con diverse testate e si occupa di progetti non profit, educativi, teatrali, editoriali, letterari, giornalistici e web.

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