La sorella di Gesùcristo. Le donne e la violenza. Intervista con Oscar De Summa

Una ragazza, una pistola. E una camminata, verso il ragazzo che la notte prima l’ha violentata. Era la notte della passione, e anche la giovane deve compiere una sua, personale, passione. Sono questi gli elementi intorno a cui ruota La sorella di Gesucristo, che Oscar De Summa porterà in scena il 14 ottobre a Centrale Preneste, nell’ambito del Festival Teatri di Vetro.
Gli abbiamo rivolto alcune domande, per meglio orientarsi lungo questa camminata decisa e sotto gli occhi di tutti, verso il suo diventare adulta.

Per quale motivo si sfrutta un’occasione e una metafora religiosa?

I motivi sono vari ma riconducibili credo ai 2 più importanti che sono questi: la storia si svolge al sud, e il sud è pregno di religione, naturalmente un tipo di religione che si stacca dalla Chiesa cattolica e ingloba invece molti riti pagani e panteistici che tengono conto della forza della natura così presente in quei luoghi.

L’altro motivo è che la protagonista Maria fa un vero e proprio calvario, attraversa passo dopo passo delle soglie che sono contemporaneamente soglie simboliche ed emotive per arrivare ad essere una donna libera di scegliere. Ogni incontro che ha lungo il suo cammino,  come una stazione della via crucis la pone di fronte ad una scelta ed ogni volta lei sceglie di andare avanti. Tutta la camminata che lei fa a piedi è un po’ come un rito di iniziazione che lei deve superare per poter essere, suo malgrado, donna.

Ha scelto di toccare un tema delicato come la violenza contro le donne soffermandosi sui corpi, con quale messaggio?

La scelta non è quella di raccontare una violenza ma i suoi riverberi cioè ciò che noi sappiamo e pensiamo quando succede qualcosa non conoscendo i particolari intimi della persona che ha subito violenza né tanto meno di colui che l’ha fatta. Quindi io lascio intravedere tutte le posizioni che i conoscenti di Maria, i familiari di Maria, gli amici di Maria, prendono nei suoi confronti e nei confronti della violenza che lei ha subito.

La protagonista vuole rispondere alla violenza con la violenza. Dove si trova per voi il confine della legittimità?

Questa è la domanda che io lascio un po’ allo spettatore. Nel momento in cui una vittima si ritrova da sola con il suo carnefice a doversi fare giustizia da sola credo che la società abbia perso nella sua funzione di protezione dei più deboli, nella sua essenza di società, di comunità! Infatti lo spettacolo non ha una vera e propria fine ma il buio sulla storia arriva un attimo prima della conclusione lasciando così nelle mani dello spettatore la pistola puntata sulla faccia del carnefice. Sarà lui a decidere cosa fare. Questo per portare la riflessione su l’inadeguatezza degli strumenti della comunità che viviamo adesso!

Accanto allo spettacolo ci sono dei disegni. Come si relazionano alla pièce?

I disegni che compaiono ogni fine capitolo rappresentano un tentativo di iconizzazione del cammino di Maria appunto come fosse sulla via del calvario.

Questo lavoro è il terzo capitolo della “trilogia della provincia”. In che senso?

La trilogia della provincia è costituita da tre spettacoli, sempre ambientati al sud, sempre relativi agli anni 80, che raccontano tre storie differenti che hanno come punto centrale tutte e tre il passaggio dalla età adolescente all’età adulta. Passaggio quasi costretto dagli eventi, attraverso un trauma esterno, necessario per avere una nuova identità, un po’ come succedeva nelle tribù quando dall’adolescenza si passava all’età adulta. Sullo sfondo storico un’Italia che iniziava a liquefarsi, ad inseguire un bene materiale a discapito e a discredito di tutti i buoni principi dell’età agricola e contadina precedente a questa nostra società. Lì si sono persi alcuni fondamenti che hanno reso – cito – la nostra società liquida, senza punti fermi! E anche se le storie sono ambientate al sud in realtà riguardano tutta la nostra società.

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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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