Valerian vs Blade Runner 2049

Due in una settimana. Non succede spesso di vedere in prima visione due colossi della fantascienza cinematografica. Qualcosa significherà. Luc Besson ci offre (starei per dire ci propina) Valerian e la città dei mille pianeti  –  con Dane DeHaan e Cara Delevingne – e non si può non correre al cinema per un film di Besson. Anche se l’assonanza del titolo (nome dello scialbo protagonista) con la soporifera pianta officinale ci dovrebbe mettere in guardia. Film da vedere, percarità – tassativamente in 3D – pur se il maestro tradisce se stesso: senza una storia, senza ironia, senza pathos, senza un carattere che possa essere ricordato. Molte citazioni, le più godibili quelle del Moebius di Arzac. Una sequela straordinaria di effetti speciali, tanti e così ben studiati da riuscire a tenerti sveglio, ma che probabilmente esauriscono ogni possibile repertorio futuro.

Decisamente all’altezza delle aspettative, invece, è Blade Runner 2049, diretto da Denis Villeneuve: operazione quasi impossibile per un sequel. Film elegante, con un cast azzeccato (Harrison Ford, Ryan Gosling, Robin Wright, Dave Bautista), una storia coerente. Un’ambientazione che non ripudia il suo fratello maggiore (Blade Runner del 1982, diretto da Ridley Scott), girato quando non esistevano deleghe alla computer grafica. Solo che per due ragioni opposte, da ora in poi sarà difficile che un film di fantascienza ci dica qualcosa di nuovo. In attesa di tornare al bianco e nero.

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Umberto Croppi, Direttore generale della Fondazione Valore Italia (Esposizione permanente del Made in Italy e del Design italiano), docente a contratto presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università “La Sapienza” di Roma, membro del Consiglio Superiore delle Comunicazioni, di cui è stato presidente della IV^ sezione (nuovi media).

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