L’ufficiale e la spia di Polanski e Harris. Non un film su una storia ma un film sulla storia. Non solo Affaire Dreyfus

Un incontro prolifico tra Roman Polanski e Robert Harris. Un regista che fin dal suo primo film ha privilegiato il racconto thriller, declinato in generi diversi, psicologico, horror, metafisico, poliziesco, ecc. con titoli come Il coltello nell’acqua (1962), Rosemary Baby (1968), Chinatown (1974), L’inquilino del terzo piano (1976), Frantic (1978), ecc.. Il suo incontro con uno scrittore che ha invece declinato i suoi romanzi in maggior parte nel genere thriller-storico (Imperium, Pompei, I diari di Hitler, ecc.) ha prodotto due capolavori come L’uomo nell’ombra (2010) ed ora L’ufficiale e la spia (2019).

Polanski non è certo più quel ribelle anarchico che scandalizzava Hollywood ed il mondo con i suoi film creativi ed innovativi (Cul de sac 1966, Per favore non mordermi sul collo 1967, Che? 1972) e con la sua vita dissipata e fuori le regole.

E infatti il film L’ufficiale e la spia, che narra l’Affaire Dreyfus, un caso di spionaggio militare della fine del secolo XIX non è altro che la puntuale rivisitazione della storia di un ufficiale francese-ebreo accusato di essere informatore dei tedeschi, condannato ingiustamente da un tribunale militare ad una umiliante degradazione ed alla detenzione sull’Isola del diavolo nella Guyana francese.

Lo scrittore Robert Harris, che ha studiato a fondo l’Affaire e l’ha descritto minuziosamente nel suo libro (momento per momento, ambiente per ambiente, comportamento per comportamento, parola per parola), fa partire la storia dalla mattina in cui Alfred Dreyfus (Louis Garrel) viene degradato nel cortile della Scuola Militare di Parigi.

Ma poi nel seguito di questo famosissimo evento il protagonista principale del libro e del film diventa il colonnello George Picquart (Jean Dujardin), presente alla degradazione e poi nominato capo della sezione statistica dell’esercito, unità del controspionaggio militare.

Un uomo integerrimo che fa dell’onore e della ricerca della verità i suoi ideali, seguendo fatti certi contro le falsificazioni strumentali e le manipolazioni. Contro soprattutto i poteri forti, gli alti comandi militari che chiedono ai subalterni ufficiali cieca obbedienza, senza voler ammettere i propri errori. Picquart che combatte contro un muro d’omertà rischierà la carriera, la prigione e forse la vita.

Ma non si può capire il film di Polanski ed il romanzo storico di Harris senza sapere perché nel 1894 si è verificato un Caso Dreyfus.

Qui solo la Storia può aiutare. 25 anni prima (1870/71) nella guerra Franco-Prussiana la Germania aveva annientato la Francia imperiale di Napoleone III e occupato l’Alsazia e la Lorena. Nella guerra i generali dell’esercito francese avevano collezionato una grande quantità di errori, arrivando alla disfatta di Sedan.

In parte i Prussiani avevano vinto per aver usato una micidiale artiglieria pesante, targata Krupp, tecnologicamente più avanzata. L’opinione pubblica francese scossa da quella cocente sconfitta (i prussiani assediarono anche Parigi) era alla ricerca di una rivincita (revanchismo) ed il nuovo esercito della III Repubblica si stava attrezzando con una più moderna artiglieria (famoso l’ultrasegreto cannone da 75).

In tale contesto le rivelazioni ed i passaggi di informazioni sulle nuove armi da parte di spie francesi erano l’innesco per far esplodere il represso nazionalismo dell’opinione pubblica che unito all’ondata di antisemitismo risultarono determinanti nella scelta di un capro espiatorio ebreo, appunto Dreyfus.

Questa la Storia, ma il film anche se aderente al romanzo di Harris dice qualcosa di più sull’indagine del colonnello Picquart. Vuoi perché Polanski è di origini ebree ed ha sofferto l’ostracismo polacco e poi tedesco verso la sua famiglia (deportata nei campi di sterminio) e poi per essere stato perseguito tutta la vita per i noti fatti sessuali degli anni ’70, di cui è stato accusato e condannato.

Le parti migliori del film sono comunque le indagini del nuovo capo del controspionaggio negli archivi della sezione statistica: ambienti angusti, cupi, vecchi, polverosi, con infissi ormai in pezzi ed odore di fogna. E’ la fine dell’ ‘800 e malgrado la Belle Epoque, oltre l’architettura, le altre infrastrutture ed i servizi, la società è in decomposizione a cominciare dai vertici e può avvenire di tutto, anche il sopruso su un militare innocente.

Polanski, perfetto nel descrivere gli ambienti, molto attento alla verità dei fatti accaduti, quasi pedissequo nel suo filmare classico anni ‘50, con la sua maestria cinematografica, si permette di superare la vera storia creando una fiction moderna fatta anche di colpi di scena e forti tensioni, allontanandosi così da un qualsiasi docufilm sull’Affaire.

Mentre i generali ai vertici dell’esercito, colpevoli di occultamento e falsificazione di prove, i politici ed i magistrati, in un balletto di maschere e battute feroci, negano spergiurando sulla validità delle prove false, e l’opinione pubblica, come sempre condizionata dal potere appoggia la Ragion di Stato, cresce il ruolo degli intellettuali nella società francese.

Sul giornale L’Aurore esce un editoriale di Emile Zola, una lettera aperta al Presidente della Repubblica, il famoso J’accuse che fa riaprire il processo (Dreyfus sarà condannato ancora).

Nel processo un ruolo importante giocherà il colonnello Picquart come testimone, anche se già allontanato per motivi di servizio in Tunisia. Dovrà scontrarsi con un potere ottuso che vuole solo sopravvivere e con un’opinione pubblica ostile, ma riuscirà con il suo sacro senso dell’onore e della giustizia a far accusare il vero traditore, il colonnello Ferdinand Esterhazy ed il numero due del controspionaggio il maggiore H. Henry, manipolatore del dossier Dreyfus.

Asciutte e perfette le recitazioni degli interpreti principali (Dujardin, Garrel, Seigner, Gadebois) e degli altri minori (militari e politici) tutti grandi attori della Comèdie Francaise.

  • L’ufficiale e la spia.
  • Regia: Roman Polanski
  • Soggetto: Robert Harris (romanzo)
  • Sceneggiatura: Robert Harris, Roman Polanski
  • Musica: Alexandre Desplat
  • Interpreti: Jean Dujiardin (George Picquart), Louis Garrel (Alfred Dreyfus), Emmanuelle Seigner (Pauline Monnier), Gregory Gadebois (Joseph Henry)
  • Produttore: Alain Goldman
  • Casa di produzione: Gaumont, France 2 e 3 Cinema, Rai Cinema, Eliseo Cinema (Luca Barbareschi)
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Pino Moroni ha studiato e vissuto a Roma dove ha partecipato ai fermenti culturali del secolo scorso. Laureato in Giurisprudenza e giornalista pubblicista dal 1976, negli anni ’70/80 è stato collaboratore dei giornali: “Il Messaggero”, “Il Corriere dello Sport”, “Momento Sera”, “Tuscia”, “Corriere di Viterbo”. Ha vissuto e lavorato negli Stati Uniti. Dal 1990 è stato collaboratore di varie Agenzie Stampa, tra cui “Dire”, “Vespina Edizioni”,e “Mediapress2001”. E’ collaboratore dei siti Web: “Cinebazar”, “Forumcinema” e“Centro Sperimentale di Cinematografia”.

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