Il francese Hugues Roussel, foto-sintesi nomade e analisi del territorio

In origine programmata dal 6 Giugno al 23 Luglio 2013 ma poi prorogata (a parte la pausa estiva) fino ai primi di Settembre, presso la romana Galleria Gallerati, la mostra Foto-sintesi nomade propone una serie assolutamente inedita di lavori fotografici del francese Hugues Roussel che insistono sia sulla sperimentazione linguistica che gli è è propria, sia su una particolare tipologia di ambiente urbano, e sia – per quanto concerne l’effetto espressivo – sullo straniamento che questa combinazione suscita nello spettatore.

Roussel ha iniziato l’attività artistica come pittore e fotografo già durante gli studi universitari a Parigi, prima di laurearsi in Architettura nel 2000, e si è consacrato unicamente alla fotografia a partire dal 2003.

In mostra, sfruttando le reazioni dei sali d’argento su carta fotografica anche scaduta e non nascondendo i segni delle manipolazioni da lui esercitate in camera oscura, ha caricato di significati supplementari, ulteriori nel senso che si spingono oltre, le immagini da lui precedentemente scattate e mai mostrate al pubblico; sono provenienti dal suo archivio personale e risalenti ai tempi del suo arrivo a Roma, nel 2000, e che quindi vedono incrementato il loro valore feticistico legato alla memoria personale dell’autore.

Infatti, gli scenari naturali, ma pur sempre inseriti nel tessuto urbano, in cui sono state scattate le foto, trovano una rispondenza evocativa nella tecnica con cui Roussel, volgendo al negativo le immagini originali, le inscrive in forme naturali derivate dalla posa, direttamente sulla carta, di foglie, fronde e altri elementi fisici meno chiaramente individuabili. Il procedimento richiama inevitabilmente quello dell’arcinoto storico artista e fotografo surrealista Man Ray. Nel caso di Roussel, però, la tecnica diviene uno strumento di indagine quasi romantica che un io narrante alterato conduce su alcune di quelle zone verdi esposte in diversa misura al degrado. Per esempio, molte di queste si trovano presso le rive del Tevere, o in certe periferie, o in quelli che vengono denominati gli hinterland metropolitani.

In alcuni dei lavori esposti nella galleria romana – specializzata in Fotografia – troviamo dunque oggetti vari rimasti incastrati nelle frasche dopo una piena del Tevere: una scarpa, una sedia, perfino una mutanda ridotta a straccio; simboli apparentemente deteriori, ma in fondo romantici, del processo con cui enclavi naturali si sviluppano nell’abbandono e nell’incuria e sono vissute come rifugio, viceversa, da chi è relegato ai margini della vita cittadina. Anche di queste presenze c’è ampia documentazione, nei lavori in mostra, sempre visualizzate in negativo all’interno di forme varie stampate a contatto con la carta; la traccia fotografica, così trattata, veicola segni del passaggio umano, oggetti che supponiamo siano stati raccolti proprio in quegli stessi luoghi, rinviando, come detto, all’estetica dada-surrealista degli objet trouvèe ma servendosene per restituire una orgogliosa nobiltà alle esistenze quotidiane di chi, per scelta o necessità, come i clochard o i nomadi, si ritrova, contro-corrente (ma non certo nel senso aristocraticamente dandy dell’omonimo capolavoro letterario decadentista di Huysmans) a vivere a contatto diretto con la natura.

Sotto il profilo sociale, il senso non troppo latente di questi lavori di Roussel vale anche a ricordare quello che ci riferisce lui stesso:

“Sussiste ancora una fortissima intolleranza verso i Rom, mentre posso testimoniare che anche nei loro campi non sono mai stato aggredito; sono loro che hanno paura. Si dovrebbe migliorare l’integrazione, e non parlare di globalizzazione solo in termini mercantili”.

Tuttavia, l’intera collezione in mostra ha il carattere di un reportage onirico, come a volerci proporre, contrastando l’incessante ampliamento della città, una porzione del reale che sembra ormai relegata al limbo dei reietti, o forse ontologicamente, al dominio del fantasmatico. Roussel, a proposito del suo legame con l’avanguardia, sostiene:

“Ancora oggi si possono scoprire nuove cose su un mezzo che in fondo ha solo due secoli di storia; alcune tecniche e tematiche non sono state seguite e sfruttate fino in fondo dall’avanguardia, e successivamente la fotografia per molto tempo si è rivolta al reportage più o meno puro o Straight. Invece, tra la fisica e la chimica del processo fotografico c’è la possibilità di aggiungere il Caso, il risultato imprevedibile, secondo il dettato surrealista, se vogliamo; io personalmente inserisco questi elementi naturali, come gli aghi di pino, la cui sostanza più o meno lucida a seconda dei casi, dà degli effetti che posso solo contenere”.

La scelta del soggetto, così vicino eppure così esotico, tra la reminiscenza rousseauiana e l’alterità marginale dei nomadi, fa emergere l’interpretazione programmaticamente soggettiva di Roussel, che si sovrappone, con la sua scrittura di luce, non avanguardisticamente automatica, ma anzi carica di umanità, su una realtà che spesso ci si mostra al negativo. In altri casi, le foglie, i fiori o gli aghi di pino o chissà cos’altro, assumono dei valori formali, insieme al soggetto fotografato negli scatti originali, tali da creare masse di chiaroscuri quasi indistinti, che acquistano una qualità grafica, riconducibile ad una poetica del microcosmo naturale che in bianco e nero pur risultando forse meno vitale, ne acquista in termini di misteriosa fissità e dilatazione percettiva. Dice Roussel:

“Già dal negativo si intuisce che valori formali può contenere l’immagine, e quali scoperte o riscoperte si possono avere: non solo i relitti ma anche le presenze umane intravedibili attraverso l’intreccio della vegetazione incolta”.

Nel caso dell’immagine racchiusa in un cerchio su fondo nero, viene istituita l’analogia con la Luna piena per richiamare, con un gioco semantico, la piena del Tevere, il tema di due vecchie serie (sulle piene del 2008 e del 2012) a cui questa foto apparteneva, e l’intrico di fronde è così fitto e minuto da sembrare una tessitura ottenuta con piccoli segni a china tracciati in punta di pennello, mentre in realtà si tratta di microdetriti organici e non schiacciati dalla corrente del fiume in piena contro una grata metallica a cui si aggiunge un effetto simile all’incisione, con i bianchi viceversa un po’ sbavati, che è dovuto alla stampa in negativo, con l’ingranditore, degli Hectacrome originali, a colori. In questo, Roussel mantiene il legame con la pittura, altra sua occupazione artistica, come detto, degli anni universitari, perché in fondo, pur partendo ora non da tela e cavalletto, ma da un più dinamica indagine sui cambiamenti avvenuti nel tessuto urbano, poi materializza la sua visione agendo le sue manipolazioni su carta bianca, anche se fotografica.

In altri lavori, i gambi delle foglie (forse di platano?) poggiate su carta e così stampate sembrano filamenti destinati a trattenere qual-cosa, forse la bolla protozoica di quel particolare ricordo, dell’emozione sottaciuta e incomunicabile associata alla posa dello sguardo su quella macchia di vegetazione, in quell’hic et nunc colmo di stupore ipnotico che persiste, nell’osservazione dei singoli dettagli naturali, parallelamente alla coscienza delle contraddizioni dello sviluppo metropolitano.

Roussel non è certo nuovo a queste analisi del territorio: da molti anni pratica queste esplorazioni, anche prima del 2006, anno in cui, aderendo al progetto Stalker/Osservatorio Nomade, fece parte di uno dei tanti gruppi di artisti e professionisti (scrittori, fotografi, musicisti, architetti, un regista ed un fonico) che, partendo dall’estrema periferia di Roma, conversero a piedi verso il centro arrivando a riunirsi dopo ben tre giorni dopo aver passato le notti in tenda ed aver attraversato tutte le zone intermedie dell’urbanizzazione e aver valicato recinzioni ed essere passati perfino in buchi praticati nelle grate di ferro.

Riflette Roussel:

“Ripensandoci alla luce del messaggio del film Stalker, di certo cercando nelle zone proibite si trovano delle cose che ci riguardano in qualche modo, ma a differenza di ci ci vive, può essere pericoloso per chi invece esplora”.

A proposito della Natura, l’autore ci dice che:

 “…anche l’ambiente urbano non credo che potrà mai esserne sprovvisto; una riconquista degli spazi da parte della Natura è improbabile, anche se questa sembra spesso incontrollabile (come si deduce anche solo da certi dettagli come le ramificazioni degli alberi) ma è possibile che in futuro si adottino modelli urbanistici più integrati. Io, d’altronde non intendo criticare ciò che l’uomo crea ma produrre un contrasto che alluda al binomio Natura-Cultura, decostruire non per distruggere ma per offrire una visione diversa”.

Hugues Roussel ha esposto già in molte mostre, sia in Italia (Roma, Palermo, Bari), che a New York, nella sua Parigi, e a Dublino. Il suo sito è www.huguesroussel.com e vi anticipiamo che, nella sezione Roma si può trovare un’affascinante serie in cui la sua tipica foto-sintesi ha congiunto angoli del quartiere San Lorenzo (“…in cui trovavo la Roma più verace”) con le palme secolari di Villa Torlonia, testimoni muti dei cambiamenti della città, con un risultato morbido e molto elegante malgrado lo spunto anche politico sotteso dietro all’ideazione, e cioè l’intenzione di contestare la candidatura di Alemanno alle elezioni comunali di allora. Gli Autoportraits sono avvincenti elucubrazioni visive di evidente matrice surrealista, mentre nella serie Roma x Roma si possono ammirare molti suoi lavori di… Archipittura (questo uno dei titoli) in cui vedute e scorci più o meno noti della città rivivono in una dimensione pittorica spesso di tipo materico, sofferta, pesante, eppure altamente poetica, grazie alla sovrimpressione di altri fotogrammi concentrati su mura, sampietrini, intonaci fatiscenti o cortecce d’albero.

Il cursore diretto sulle immagini visualizzerà le didascalie; cliccare sulle stesse per ingrandire.

Info mostra

  • Foto-sintesi nomade – Hugues Roussel
  • a cura di Noemi Pittaluga
  • Galleria Gallerati, Via Apuania 55, Roma
  • Orari:  la galleria è aperta tutti i giorni dal lunedì al venerdì dalle 17:00 alle 19:00 e, fuori da questi giorni ed orari, su appuntamento.
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il7 - Marco Settembre, laureato cum laude in Sociologia ad indirizzo comunicazione con una tesi su cinema sperimentale e videoarte, accanto all'attività giornalistica da pubblicista (arte, musica, cinema) mantiene pervicacemente la sua dimensione da artistoide, come documentato negli anni dal suo impegno nella pittura (decennale), nella grafica pubblicitaria, nella videoarte, nella fotografia (fa parte delle scuderie della Galleria Gallerati). Nel 1997 è risultato tra i vincitori del concorso comunale L'Arte a Roma e perciò potè presentare una videoinstallazione post-apocalittica nei locali dell'ex mattatoio di Testaccio; da allora alcuni suoi video sono nell'archivio del MACRO di Via Reggio Emilia. Come scrittore, ha pubblicato il libro fotografico "Esterno, giorno" (Edilet, 2011), l'antologia avantpop "Elucubrazioni a buffo!" (Edilet, 2015) e "Ritorno A Locus Solus" (Le Edizioni del Collage di 'Patafisica, 2018). Dal 2017 è Di-Rettore del Decollàge romano di 'Patafisica. Ha pubblicato anche alcuni scritti "obliqui" nel Catalogo del Loverismo (I e II) intorno al 2011, sei racconti nell'antologia "Racconti di Traslochi ad Arte" (Associazione Traslochi ad Arte e Ilmiolibro.it, 2012), uno nell'antologia "Oltre il confine", sul tema delle migrazioni (Prospero Editore, 2019) ed un contributo saggistico su Alfred Jarry nel "13° Quaderno di 'Patafisica". È presente con un'anteprima del suo romanzo sperimentale Progetto NO all'interno del numero 7 della rivista italo-americana di cultura underground NIGHT Italia di Marco Fioramanti. Il fantascientifico, grottesco e cyberpunk Progetto NO, presentato da il7 già in diversi readings performativi e classificatosi 2° al concorso MArte Live sezione letteratura, nel 2010, è in corso di revisione; sarà un volume di più di 500 pagine. Collabora con la galleria Ospizio Giovani Artisti, presso cui ha partecipato a sei mostre esponendo ogni volta una sua opera fotografica a tema correlata all'episodio tratto dal suo Progetto NO che contestualmente legge nel suo rituale reading performativo delle 7 di sera, al vernissage della mostra. ll il7 ha quasi pronti altri due romanzi ed una nuova antologia. Ha fatto suo il motto gramsciano "pessimismo della ragione e ottimismo della volontà", ed ha un profilo da outsider discreto!

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