Salotto Vienna. Come la cultura del salotto viennese sia tornata a Trieste, un report.

ex Pescheria – Salone degli Incanti, Trieste. 

“La signora non aveva alcuna ragione di trattarci così – esclamò la signorina Bartlett. – assolutamente nessuna. Ci promise delle camere a sud, con vista, intercomunicanti; invece queste sono stanze a nord, si, proprio a nord, guardano su un cortilaccio, e sono parecchio distanti una dall’altra. Oh, Lucy!”

Cosi comincia il romanzo di E.M. Forster, Camera con vista, e, nonostante il libro parli di Firenze, la sensazione che si ha dello spazio a Trieste è molto simile, nel senso della sua ampiezza di sguardo verso il mare ed il limite, al contrario, che si incontra volgendolo verso le strade interne cioè l’entroterra, simbolo nel romanzo della differenza di vedute tra le due protagoniste. D’altro canto la sede deputata al Salotto Vienna non avrebbe potuto incontrare scelta migliore ed avrebbe, in questo caso, avuto tutto il favore della Signorina Bartlett così come di Lucy. Si lamentano le due signore della sistemazione loro riservata e della mancanza di una bella vista, il Salone degli Incanti, invece, ha non solo la vista giusta verso il mare del golfo di Trieste ma gode anche, nella direzione opposta, di una approfondito sguardo verso la città di Vienna ed il suo panorama artistico.

Il Salone degli Incanti, la cui origine etimologica dal latino inquantum ha più a che fare con a che prezzo? quanto costa? essendo stato il luogo deputato al mercato del pesce, che con l’incanto che possa suscitarne la vista davanti e verso il mare. Il Salone, dicevamo, ha già architettonicamente la forma di un salotto, appoggiato, adagiato sulla riva del porto come un avamposto, una dogana, un ponte tra la città ed il fuori. La stessa funzione, come di raccordo tra l’Italia e l’Austria, se la devono essere immaginata anche il curatore Jürgen Weishäupl con il suo team di assistenti curatori Giovanni Damiani, Marcello Farabegoli e Giulio Polita.

Proprio lui, il curatore Jürgen Weishäupl tenendo lo sguardo verso il mare nel fumarsi una sigaretta, racconta:

“l’idea nacque quando il sindaco di Trieste Roberto Consolini venne in visita al MAK di Vienna, il Museo di Arti Applicate, e parlando con il direttore Christoph Thun-Hohenstein decisero di fare una mostra interdisciplinare sulla Vienna contemporanea, per presentarla al pubblico triestino. Siamo venuti solo in un secondo tempo a sapere che si sarebbe fatta in agosto ed abbiamo pensato che forse non sarebbe venuto nessuno per via delle vacanze. Quindi ci siamo interrogati sul come poter fare una mostra che potesse essere anche interessante; in effetti è già da qualche anno che l’idea del salotto è tornata di moda, abbiamo pensato a qualcosa che fosse una via di mezzo tra un salotto appunto ed una agorà, una piazza, dove non si pagasse un ingresso ed i visitatori potessero assistere ad eventi e, parallelamente, poter in pace chiacchierare tra loro.”

Il modo in cui si è allestito questo spazio è servito ad accogliere, ad avvicinare il pubblico agli artisti e viceversa. Lo sguardo viene, appena entrati, subito catturato da una platea che ha un po’ la forma di un palcoscenico e quest’ultimo che potrebbe con tranquillità essere platea. Ulteriore elemento di fusione l’utilizzo di tavolini da Caffè sia sul palco, durante i talks, che in parterre, per accomunare i due lati di un unico spazio.

“Salotto Vienna è un po’ come i vecchi salotti fin de siècle trasportati nel terzo millennio, l’idea è quella di presentare artisti, personalità della cultura viennese così come istituzioni o musei, a Trieste nell’ex Pescheria, in questa sala bellissima di circa 2500 mq, ogni sera da mercoledì a domenica e creare un dialogo tra loro, gli ospiti ed i triestini.”

Il successo è da subito stato tale da richiamare, da un lato, sempre più parti viennesi a partecipare e, dall’altro, veder bussare alla porta artisti di casa interessati a divenir parte del tutto.

“Ci son stati non pochi problemi a gestire uno spazio così grande, abbiamo dovuto per esempio montare delle tende perché c’era molto riverbero del suono ma soprattutto abbiamo cercato di ricostruire un ambiente che risultasse il più intimo possibile nonostante le dimensioni, questo naturalmente ha inciso anche sul budgest visto che volevamo fare una manifestazione e non un festival; abbiamo dovuto chiedere aiuto un po’ a tutte le istituzioni viennesi per poter avere sia sedie che luci o proiettori”,

dice il curatore lasciando trasparire la sua aria divertita.
Aggiunge il co-curatore Marcello Farabegoli:

“Avevamo a disposizione un mese e mezzo, poi diventeranno più di due, per mostrare Performances o incontri e dibattiti; venivano presentati ogni sera alcuni artisti e mostrati i loro lavori dal vivo o su grandi schermi, a tutto questo bisogna poi aggiungere la risposta data dalla città, una volta conosciuto l’evento si sono aggiunti ancora altri artisti. Anche l’accettazione e la partecipazione dei cittadini ci ha sorpreso molto, spesso le persone arrivavano già verso le 18 per andarsene poi in tarda serata, questo significa che l’evento ha lentamente acquisito veramente il ruolo del salotto per incontrarsi.”

La prima serata, quella d’apertura è stata intitolata Noi crediamo nella bellezza, ospiti l’Accademia del cinema austriaco ed il festival viennese Sound-Frame con le performances di Bernhard Fleischmann ed Annablume Bertsch. Nel programma si legge la presenza di istituzioni, ospiti come i musei che si alternano ai singoli artisti od a degustazioni gastronomiche, presentazioni di prodotti tipici della regione, questo da un carattere a tutto tondo al salotto, una tridimensionalità particolarmente apprezzata dal pubblico cittadino.

“Sinceramente non avremmo mai pensato che la cosa potesse acquisire queste dimensioni, abbiamo invitato tantissimi a partecipare ma mai avremmo pensato che così tanti avrebbero accettato. Si sono poi aggiunti a Trieste artisti ed istituzioni, gruppi di artisti, associazioni artistiche, hanno chiesto se potessero unirsi a questa manifestazione per poter condividere con noi questa piattaforma…”

La formula pensata dal team curatoriale ha avuto origine da uno slogan fortemente sentito: Noi crediamo nella bellezza, una cosa da urlare al vento, in controtendenza come dirà il curatore alla scena artistica contemporanea dove parlare di bellezza è diventato un tabù, quasi un illecito, da qui un po’ per scherzo un po’ con serietà si è arrivati a vidimare ogni serata ad uno statement che avesse la forza e la concretezza di un tema: Noi crediamo nell’intercreatività, nelle culture, nella positività del cambiamento, solo per citarne alcuni oppure nelle utopie sostenibili o nell’inizio del sogno. “La bellezza è un tema di cui l’arte si deve un po’ riappropriare, prima ci è stato sottratto dal nazismo il quale ha, attraverso il concetto di arte decadente, ridefinito tutto quello che secondo me era bello, poi nell’arte contemporanea e nella società attuale dominata dalla pubblicità è diventato quasi un crimine parlare di bellezza, ecco per questo motivo l’abbiamo inserita al primo posto tra i nostri slogans.” Gli slogans son un contrappunto al programma ma anche una dichiarazione di intenti, noi crediamo nello scambio dei punti di vista, una provocazione, nella tradizione dell’inventare, o richiamano l’ironia, nel profumo dei fiori, intorno ad un concetto svolto comunque con dedizione e fantasia.

“Trieste è stata del resto anche storicamente una città dove gli intellettuali e gli artisti austriaci, come Schiele, si son sempre mossi per venire qui. Non bisogna comunque dimenticare che il Salotto a Vienna nasceva in un periodo storico ben preciso in cui la società sentiva il bisogno di cambiare, gli artisti quello di dare un aspetto, un’estetica a questo cambiamento con il Liberty o lo Jugendstil che poi non si è potuto realizzare appieno riversandosi al contrario nella Prima Guerra Mondiale e poi nel Nazi-fascismo. In generale che si possa ripetere quel fenomeno di inizio secolo con tutte le sue utopie sembra un po’ difficile, oggi che siamo così dominati dai Mass-media i quali tendono ad appiattire un po’ le diversità ed il pensiero libero dei singoli così che l’arte non riesca a fare da spinta necessaria a cambiare la società, per questo un salotto non può fare molto se non essere e rivelarsi forse un intrattenimento giusto un pochino superiore ad un talk show.”

In queste parole traspare tutta l’ironia e la passione che il curatore con il suo gruppo di co-curatori possa aver messo in un evento così lungo e complesso nella logistica, destinato ad avere dei seguiti negli anni a venire.

Jürgen Weishäupl sorride ed aggiunge:

“Nel parlare di artisti italiani a Vienna o nel portare artisti viennesi al Salone degli Incanti, non posso non notare la capacità degli italiani di mostrare il bello delle cose, o meglio forse di sublimare un messaggio a vantaggio o in onore del bello.”

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Dario Lombardi nasce a Roma, si diploma all’Istituto Superiore di Fotografia. Vive e lavora a Vienna come freelance. Ha affrontato diversi generi nella sua professione, dalla fotografia di scena, teatro e danza, passando per la moda ed arrivando al ritratto. Si confronta negli ultimi lavori con la tematica dell’essere umano ed il suo rapporto con il contesto in cui vive. Nel 2008 espone “Hinsichtlich”, reportage sulla donna che veste il velo come scelta religiosa e come confine tra la sfera privata e pubblica. Nel 2009 pubblica insieme con Gianluca Amadei una serie di interviste e ritratti sulla scena professionale ed artistica dei designers in Polonia, dal titolo “Discovering Women in Polish Design”. Attualmente si occupa della mostra-installazione “Timensions” per il Singapore Art Museum 2012, una ricerca sul rapporto tra l’uomo e lo spazio/tempo.

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