La forza del dialogo

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La forza del dialogo è andata in scena presso il teatro Mercadante, in una sala quanto mai adeguata nell’ospitare questo tipo di concerti, quella del Ridotto. Ad aver promosso questo ciclo di quattro serate di ascolti collettivi è stata Dissonanzen, una associazione nonché ensemble che da quasi trent’anni è impegnata a Napoli nella diffusione di un repertorio ricercato nel dialogo stesso con la storia della musica, Come dimostrato dal tema che ha aperto e chiuso l’offerta di un festival racchiuso nella terza settimana di novembre. 

Ad aprire le danze, è proprio il caso di dirlo, è stata una giornata di studi interdisciplinari presso l’università degli studi Orientale di Napoli: il salone che un tempo ospitava le danze a palazzo Corigliano, sede prospiciente piazza San Domenico, aveva raccolto docenti, musicisti, danzatori e studenti intorno al tema della follia, come ricordato in apertura dei lavori dalla prof.ssa Francesca Bellino, arabista dal multiforme impegno che ha disciplinato l’iniziativa.

Venerdì 15 novembre Dissonanzen aveva quindi motivato quanto avremmo ritrovato in Folia, performance di musica e danza per Ensemble, a cura di Alessandra Petitti, che avrebbe visto in scena tre danzatori e cinque musicisti, impegnati nell’esecuzione di partiture barocche e contemporanee, inframmezzate da improvvisazioni a cura dell’Ensemble Dissonanzen e Luigi Ceccarelli, domenica 24 novembre. Dalla ricostruzione della Follia del musicista Andrea Falconieri, eseguita con due flauti dolci, la performance avrebbe toccato le elaborazioni estreme di Krzystof Pendercki, che al tema della follia, abilmente dissimulato, ha dedicato una composizione nel 2013 per violino solo, concludendosi con le celeberrime variazioni di Arcangelo Corelli. Uno spettacolo dalla densità palpabile, in grado di mettere in scena dei corpi assieme alla musica suonata, sempre più raro. 

FOLIA, PER ENSEMBLE [Alessandra Petitti, coreografia e danza; Giacomo Calabrese, danza; Luigi Ceccarelli, regia del suono; Andrea Veneri, assistente alla regia del suono; Ensemble Dissonanzen con Daniele Colombo, violino; Ciro Longobardi, clavicembalo; Tommaso Rossi, flauti; Raffaele Di Donna, flauti; Antonia Dilorenzo, costumi; Marco Schiavoni, luci] 

La prima giornata del festival (martedì 19 novembre) era stata inaugurata da Li duo soli, singolare format che propone uno spazio solistico a strumentisti e interpreti di grande sensibilità, come nel caso del violoncello di Michele Marco Rossi e della fisarmonica di Francesco Gesualdi – esuberante il primo, meditativo il secondo – di certo presenze in dialogo con il pubblico, nel racconto del dietro le quinte dell’azione musicale, in opposizione a certi strumentisti troppo spesso muti perché costretti a suonare soltanto.

Così, un programma decisamente contemporaneo, fatto anche di prime assolute, si rivela molto vicino alla realtà sociale degli ascoltatori, evocata da quei suoni, da quei riferimenti raccolti sul campo. Il giorno successivo sarebbe toccato ad un omaggio, quello a Luciano Berio (mercoledì 20 novembre): scende in campo l’Ensemble Dissonanzen con Eleonora Claps, voce; Tommaso Rossi, flauto; Francesco Filisdeo, clarinetto; Francesco Solombrino, violino; Manuela Albano, violoncello; Ciro Longobardi, pianoforte.

Una serata fresca, vibrante per un concerto della durata di un’ora chiusosi con l’esecuzione di O King, storico lavoro dell’autore dedicato al grande Martin Luther King. 

Il sabato sera (sabato 23 novembre) è toccato invece ai dialoghi atipici andare in scena, a motivare relazioni inusitate, come ad accostare opere e artefatti di epoche e matrici diverse, per riscoprire il sapore di accostamenti timbrici ancora inesplorati, a fare della pratica strumentale stessa un museo immaginario.

Brani in prima assoluta di Rosalba Quindici e Alessandra Bellino, compositrici napoletane già legate all’ensemble prima di Nino Rota (incantevole quanto arcaico il momento dedicato alla sonata per arpa e flauto del composositore pugliese), Martino Traversa per il pianoforte solo di Ciro Longobardi e la chiusa affidata a Karlheinz Stockhausen, al suo ciclo Tierkreis, una chicca rivolta al pubblico che ha partecipato con entusiasmo, forse riconoscendosi proprio nel suo segno zodiacale. Insieme a Tommaso Rossi e Ciro Longobardi c’erano Lucia Bova all’arpa, Lucio Miele alle percussioni.

Se n’è andato così un altro festival, ma non la voglia di ascoltare ancora una nuova proposta che sappia riconoscere al pubblico il valore dell’ascolto.

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Antonio Mastrogiacomo vive e lavora tra Napoli e Reggio Calabria. Ha insegnato materie di indirizzo storico musicologico presso il Dipartimento di Nuovi Linguaggi e Tecnologie Musicali del Conservatorio Nicola Sala di Benevento e del Conservatorio Tito Schipa di Lecce. Ha pubblicato “Suonerie” (CD, 2017), “Glicine” (DVD, 2018) per Setola di Maiale. Giornalista pubblicista, dal 2017 è direttore della rivista scientifica (Area 11 - Anvur) «d.a.t. [divulgazioneaudiotestuale]»; ha curato Utopia dell’ascolto. Intorno alla musica di Walter Branchi (il Sileno, 2020), insieme a Daniela Tortora Componere Meridiano. A confronto con l'esperienza di Enrico Renna (il Sileno, 2023) ed è autore di Cantami o Curva (Armando Editore, 2021). È titolare della cattedra di Pedagogia e Didattica dell’Arte presso l’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria.

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