Al Festival Mauro Rostagno #Dirittinscena Paolo Virzì ricorda il giornalista ucciso dalla mafia

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«Un giorno, se ci riesco, su di lui ci faccio un film. Un film per raccontare questa storia controversa che è la vita di un essere umano, che non è un eroe». Lui, il non-eroe, è Mauro Rostagno, il giornalista, attivista e sociologo ucciso dalla mafia nel 1988. A prendersi l’onere e l’onore di volerlo – un giorno – portare sullo schermo, il regista e sceneggiatore livornese Paolo Virzì nel corso di un sentito ricordo e racconto di Rostagno nell’ambito del Festival Mauro Rostagno #Dirittinscena, organizzato e ideato da Associazione daSud e Compagnia Ragli con il contributo del Ministero della Cultura.

Pur avendo letto tutto (o quasi) quello che ha scritto e che è stato scritto su di lui, Virzì ammette di non essersi mai sentito all’altezza di raccontare – pur reputandola un «grande soggetto cinematografico» – la «storia di una persona che ha vissuto così tante vite pur essendo morto così giovane». Almeno finora.

«Una figura importantissima che non ho avuto il piacere di conoscere di persona» ma che potrebbe essere raccontata forse anche in una serie tv, «di quelle con le tante puntate che adesso vanno tanto di moda». Difficile, però, decidere a chi assegnare la parte del protagonista, al punto da proporre sorridendo «di fare come fecero per il film su Bob Dylan, assegnando la parte a 12 attori diversi tra cui anche una donna per rappresentarne il lato femminile».

Dentro o fuori dallo schermo, è la vicenda umana di Rostagno ma anche il suo ruolo nella costruzione della vicenda collettiva del 1968 e non solo al centro del racconto di Virzì.

Dalla laurea in sociologia a Trento fino al percorso con la comunità spirituale degli arancioni di Osho e passando per l’impegno politico con Lotta Continua e il circolo culturale Macondo a Milano fino alla Sicilia di Saman. Tante facce di un unico prisma, tanti   piccoli pezzi della vita dell’uomo vestito di bianco, con il suo inconfondibile panama e la folta barba nera.

«Questa che vi racconto è una storia che inizia a Trento con due ventenni (Mauro Rostagno e Renato Curcio, ndr) che sognano di fare la rivoluzione. Un esempio di ciò che sarebbe potuto essere il 1968», continua il regista. Nel maggio 1988 durante il ventennale del 1968 a Trento è Rostagno stesso – ricorda – davanti ai compagni a dire “non abbiamo vinto, per fortuna. Ci è andata bene”.

«Che cosa sarebbe stato il Sessantotto? Che cosa sarebbe stato il progetto rivoluzionario di cambiare in meglio la vita nei rapporti sociali, nel lavoro ma anche nei rapporti tra le persone se avesse prevalso invece che la linea del sangue e dell’organizzazione militare e di un’idea della militanza così militare quella di Mauro, del desiderio delle rose, della bellezza, della gioia e anche dell’eros? Che cosa sarebbe stata la sinistra italiana oggi? Un po’ lo è stata comunque perché comunque ha lasciato il segno, ma lo sappiamo.. hanno vinto altri. Ha vinto il sangue, la guerra, la violenza e la negazione dell’identità dell’avversario che diventa nemico», chiede e si chiede Virzì.

Il 26 settembre 1988, con l’agguato in contrada Lenzi, non lontano dalla sede di Saman, finisce la vita terrena di Rostagno all’interno della sua Fiat Duna DS bianca sotto i colpi di un fucile a pompa calibro 12 e di una pistola calibro 38. La vicenda giudiziaria si sostituisce a quella umana e si incrocia con quella di altri (familiari, amici, ecc).

Il depistaggio parte sin da subito, si punta sulla pista familiare e quella “interna” a Lotta Continua invece che su quella mafiosa. Anche sui giornali, portate avanti anche da grandi firme come Giuseppe D’Avanzo e Marco Travaglio. Mentre il primo si scusò successivamente, il secondo non lo fece mai.

Soltanto nel 2020 la Corte di Cassazione ha confermato la condanna per il boss Vincenzo Virga in qualità di mandante dell’omicidio Rostagno, assolvendo invece Vito Mazzara dall’accusa di essere il killer. La mano che uccise “l’uomo vestito di bianco” resta ancora ignota.

«Credo che sia giusto e bellissimo tener viva la memoria di questa vita e di questo lascito ideale che ci dà Mauro Rostagno, questa persona morta così presto ma con una vita così intensa sulla quale prometto un giorno se ci riesco farò un film per raccontare questa vita controversa di un essere umano che ha perseguito il bene raccontando anche i propri limiti come essere umano.

Raccontando anche come lo sguardo della società abbia visto questa esperienza a volte anche con sospetto e con un tono sprezzante. Mi auguro che questo racconto resti vivo e lo sarà anche grazie a questo festival», ha concluso.

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Classe 1987. Romana di nascita, siciliana d’origine e napoletana d’adozione. Giornalista professionista, comunicatrice e redattrice freelance. Da sempre appassionata di (inter)culture, musica, web, lingue, linguaggi e parole. Dopo gli studi classici si laurea in Lingue e comunicazione internazionale e in seguito, presso l’università “La Sapienza” di Roma, si specializza in giornalismo laureandosi con una tesi d’inchiesta sul giornalismo in terra di camorra. Ha poi conseguito un master in Giornalismo (biennio 2017 – 2019) presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. Giornalista per caso e per passione, ufficio stampa e social media manager per festival, eventi ed associazioni in particolare in ambito culturale e teatrale oltre che per Europride 2011, Trame – Festival dei libri sulle mafie e per Save the Children Italia (2022). Collabora con diverse testate occupandosi in particolare di tematiche sociali, culturali e politiche (dalle tematiche di genere all’antimafia sociale passando per l’immigrazione, il mondo Lgbtqia+ e quello dei diritti civili). Vincitrice della borsa di studio del premio “Giancarlo Siani” per l’anno 2019.
Fotografa, spesso e (molto) volentieri.

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