Virtuale o Corporeo? Tattoo

Foto di Valter Sambucini

Sempre più forte la tendenza a scrivere, incidere, inserire chiodi e monili infine colorare con l’inchiostro indelebile con immagini decorative tribali o addirittura dotate di nitidezza fotografica, l’organo di senso più esteso del nostro corpo, per mezzo della mano di artisti esperti della Mimèsis o se si vuole del trompe-l’œil che, nel contempo, hanno trovato la loro espressione più sincera e funzionale alla società dei nuovi estimatori fuori dalle Gallerie d’Arte e, con una certa malcelata soddisfazione, in nuovi spazi. Lo dimostra il successo di pubblico di varie Convention Tattoo, l’ultima delle quali alcune settimane fa a Roma al palazzo Congressi dell’Eur, una delle più grandi al mondo, nella quale hanno esposto il loro lavoro 400 tatuatori provenienti dal panorama internazionale, da San Pietroburgo, Pechino, Austin, Las Vegas, San Diego, Los Angeles, Cleveland, Pittsburgh, Toronto, Montreal, Oakland, Barcellona, Gran Canaria, Malaga, Stoccolma, Amburgo, Brema, Parigi, Londra, Budapest, Debrecen, Berlino.

Di origine ectodermica e mesodermica la nostra pelle ha la particolarità che in corrispondenza degli orifizi, la cute continua con le rispettive mucose formando uno strato senza interruzioni. Questo dato originario di ordine organico, una specie di nastro di Möbius quindi, che va dal dentro al fuori senza soluzione di continuità, si trova ad essere nello stesso tempo inserito in un ordine immaginario ed infine simbolico, con valenza di sistema di protezione della nostra individualità psicofisica e contemporaneamente come primo strumento e regione di scambio con gli altri. Luogo di contatti fondamentali fin dai primi giorni di vita quindi, per lo sviluppo dell’organismo, della sessualità come del linguaggio, come scrive un maestro della ricerca in questo ambito Asley Montagu, nel suo documentatissimo La peau e le toucher (1971).

Non è secondario l’apprendere che l’essere umano ha sempre utilizzato la sua pelle per trascrivervi immagini e simboli, forse prima ancora del linguaggio scritto. Un linguaggio emozionale di memoria e di promesse, al tempo stesso magico, propiziatorio e scaramantico, intimo e segreto, protettivo e rituale, ma anche e soprattutto distintivo di casta e luogo di iniziazione … poiché la scrittura sulla pelle vale come rafforzamento dell’immagine corporea, come identità, ma al contempo vale come messaggio all’altro, al sociale, per suscitare rispetto, avversione, avvertimento, provocazione, indicazione di possesso, di territorialità, di appartenenza. In questo senso il primo documento sembra essere la mummia del Similaun soprannominata Ötzi, considerata il primo ritrovamento di essere umano tatuato (57 tatuaggi sul corpo) e sembra inoltre che esami radiologici abbiano individuato forme di artrite proprio in quei punti segnati, da cui si presume che questi stessi avessero una funzione di tipo magico-curativo.

E’ importante rimarcare quanto alcune culture abbiano rifiutato radicalmente il tatuaggio, gli antichi romani sembra, il cristianesimo dei padri della Chiesa con il divieto di qualsiasi manipolazione del corpo, la religione ebraica come quella musulmana, permettendo le indicazioni del profeta Maometto solo disegni provvisori con l’henné. Invece in altre era permesso e addirittura obbligato colorare l’intero corpo, anche con grande sopportazione del dolore, utilizzato come prova di coraggio e valore di appartenenza. Così fino a poco tempo fa il tatuaggio, in Occidente, era relegato alla criminalità ed alla prostituzione come una specie di stigma, mentre ancora esistono nel mondo società tribali, sette o gruppi politici e/o sociali, addirittura famiglie mafiose che si riconoscono attraverso loro segni distintivi sulla pelle che rafforzano i legami di sangue tra i suoi membri. Poi, nonostante il divieto ufficiale in Italia, l’abitudine a segnare indelebilmente il corpo sopravvisse in clandestinità, fra i soldati, i marinai e perfino in alcuni luoghi di culto cristiani come il Santuario di Loreto. Qui, fino alla metà degli anni Cinquanta, esistevano i frati marcatori, ovvero frati che incidevano piccoli segni devozionali ai fedeli. Questo ricorda anche una forma di dedizione dolorosa, per mezzo sempre di disegni formati da piccole punte, che segretamente veniva applicata addosso anche per un tempo prolungato, per mortificare la carne. In uso dal medioevo ma praticata anche oggi sembra, in riunioni più o meno private di religioni alternative o semplicemente all’insegna del sadomasochismo, per creare un “varco” attraverso il dolore, la paura della morte e/o l’umiliazione, che momentaneamente possa rompere strutture corporee pietrificate dall’angoscia, dalla rabbia, che non tollerano la tenerezza, per far accedere il corpo ad un parziale piacere. Strutture corporee prigioniere in quella che Wilhelm Reich chiamò Corazza caratteriale nelle sue ricerche sul ruolo sociale della sessualità, sul rapporto fra autoritarismo e repressione.

C’è da dire che il Corpo, disobbligato dal monopolio della religione e da un sociale patriarcale, è stato riabilitato negli anni Sessanta in Italia… soprattutto il corpo delle donne, liberato dalla pillola anticoncezionale e dalle Controculture. Anche se la ri-appropriazione del corpo proprio aveva aperto alla sua commercializzazione da parte delle multinazionali dell’Estetica, ormai si era creato il Mito dei giovani che aveva contagiato anche le precedenti generazioni, continuando oggi nell’accesso indiscriminato e tollerato di persone di tutte le età alle nuove tendenze. Una ulteriore conseguenza positiva è stata invece l’attenzione forte alla psicosomatica. Il dilagare delle terapie psicocorporee (superando la dicotomia corpo-mente cosiddetta cartesiana) è diventata ormai un’acquisizione stabile e produttiva di salute. Non solo, si sta indagando ora sulle particolarità della pelle di vedere, un fenomeno conosciuto sotto il nome di “percezione dermo-ottica” (PDO) ma anche sulla sua indubbia capacità di reagire allo stress con evidenti fenomeni cutanei, poiché tra il cervello e la pelle esiste una specie di corsia preferenziale, entrambi originati dallo stesso foglietto embrionale, quest’ultimo passaggio alla base del concetto delle zone di riflesso, ben noto e accettato senza limitazioni dalla medicina ufficiale, cioè praticando la reflessologia agiamo anche sul sistema nervoso stesso.

Studiati a fondo dagli etnologi e dagli antropologi, i tatuaggi e le incisioni sulla pelle, le scarificazioni, pur essendo presenti in tutte le culture del pianeta fin dall’antichità, presentano una grande variabilità di forme e di riferimenti, tanto che si potrebbero considerare una forma d’Arte e di scrittura che gode del concetto di una trasmissibilità culturale effimera e tribale, come un linguaggio orale, una specie di contagio ed ormai oggi, in senso postmoderno, una moda che come tutte le mode, nasconde un suo valore di appetibilità, di scambio, di significanza sociale. Niente di nuovo in fondo, ma rimarchevole per la sua diffusione a livello di massa, tanto che l’ipotesi upping the ante l’attribuisce a fattori tipici della modernità, come l’aumento di popolazione ed il miglioramento del sistema sanitario, mentre le persone stesse sembrano cercare nuovi mezzi per sviluppare o almeno salvaguardare una loro identità, oppure crearsene un’altra più intima o più palesemente diversa, acquisendo una forma originale che però non muta. Non bastano più gli ornamenti classici del trucco, del vestiario, delle acconciature più o meno voluminose, adesso anche il tatuaggio ed il piercing sembrano essenziali per apparire unici, attraenti, per ottenere uno status superiore rispetto ad un gruppo, non per ultima la possibilità di poter dire agli altri ciò che si è, senza bisogno di parole, utilizzando il linguaggio delle immagini… per segnalare significati simbolici dei quali a volte non si è nemmeno consapevoli. Il desiderio di mostrare il Corpo al fuoco dello sguardo altrui è sempre più forte nel Postmoderno, ma non basta più nell’era della multimedialità il semplice corpo nudo anonimo. Su questi nudi si possono proiettare permanentemente le immagini dei film più amati o più terrificanti per possederle, per dominarle, insieme ai desideri, ai ricordi personali sempre più sfuggenti per appuntarli come su di un Notes magico… i sogni, a volte gli incubi, evaporati dalla psiche messa sotto pressione dalle paure, queste sì sempre meno controllabili, immagini evase da Internet e rimbalzate dal Tablet, dagli iPhone, dagli Android. Ologrammi che si mescolano alla Realtà e si confondono con essa, andando a formare una realtà virtuale più persistente, terrifica e seduttiva di quel mondo naturale delle origini che fece sorgere a protezione del nascente Io, l’Animismo, il Culto dei morti ed infine il Politeismo… Il tessuto simbolico delle immagini nella danza, nelle maschere, nel linguaggio, a guardia della soglia con l’Innominabile.

Entrare nel mondo delle immagini non è mai stato innocuo, tentare un’operazione di simbolismo linguistico strutturato sopra un immaginario che confina con l’inconscio ed il sogno non è forse pericoloso, ma in qualche modo terapeutico, dove il tatuatore-catalizzatore-artista-stregone è chiamato in causa per guidare la persona attraverso un percorso di consapevolezza estetica, in fondo di spiritualità ed armonia, ormai quasi assente in certa Arte ufficiale, verso quello che Yves Klein, precursore della Body Art usava dire: creare costantemente un solo unico capolavoro, se stesso. Il regista Elio Petri aveva già dato una propria descrizione della schizofrenia dell’uomo moderno in Un tranquillo posto di campagna del 1968. In questo film si evidenziava tutta la carica inespressa di una limitazione non più tollerabile dell’uomo moderno, in particolare l’artista, che cercava altre frontiere su quello schermo aleatorio della superficie che, come una seconda pelle, avrebbe dovuto riflettere un nuovo linguaggio, tela tagliata da Lucio Fontana e bruciata da Alberto Burri. Si evidenziava la rabbia e la coazione a ripetere, il tentativo fallito di un gesto estremo, mai definitivo, che avrebbe dovuto fare uscire l’essere umano dal suo corpo. In fondo, tatuarsi oggi significa anche, in qualche modo, riappropriarsi del proprio Sè, come ha segnalato un autore classico della psicoanalisi, fondatore l’Association psychoanalytique de France, Didier Anzieu, nel saggio Le Moi-peau (1985). Inoltre è estremamente illuminante a questo proposito il testo della psicoanalista newyorkese Louise Kaplan, Cultures of Fetishism (2006). Un discorso complesso al quale può solo accennare, dal capitolo – Le culture del feticismo (trad ital Erickson 2008) – l’autrice, citando dalla recensione che Stephen Holden (2003) scrisse del film In my skin, come idee applicabili a qualunque tipo di scrittura sulla pelle – un tentativo disperato di ristabilire una connessione con il corpo che è stata perduta. Prosegue: Molti, anche se sembrano adattarsi senza problemi alle tecnologie che sono offerte, rispondono inconsciamente con il tremore di un animale che è tormentato da qualcosa che non comprende. Scrivere sulla pelle (…) può essere un modo di reagire all’oppressione dell’invasione tecnologica.  

Con queste premesse, con il fotografo Valter Sambucini interessato particolarmente alla ricerca sul colore ed alla gamma delle espressioni umane, abbiamo visitato la XVII edizione International Tattoo Expo Roma 2015, affollatissima di persone di tutte le età. Moltissimi sui lettini ed altri in lista d’attesa per portarsi a casa, letteralmente sulla pelle, i lavori artistici di firme internazionali, in un sottofondo musicale rilassante e quasi ipnotico del brusio corale dell’attività ininterrotta delle macchinette elettriche per il tatuaggio. Colpiva che molti corpi erano letteralmente invasi da tatuaggi eterogenei, come una forma di collezionismo oppure una serie di etichette non casuali ma che rimandavano ognuna a riferimenti di ordine psicologico, come una segnaletica personale che, secondo un tipo di Psicologia interpretativa, ha riferimenti univoci secondo il luogo del disegno e la casistica delle immagini … Queste persone evidentemente avevano già in mente ciò che volevano e dove lo volevano, per adempiere ad una promessa fatta a se stessi, come un Ex voto, oppure semplice in un collezionismo di imitazione, sull’onda dell’adeguarsi ad una moda.

Diverso è l’atteggiamento di altri che appunto vogliono fare di se stessi un’opera d’arte, aiutati in questi dagli artisti tatuatori che propongono loro creazioni globali, considerando il corpo del cliente finalmente come un tutto unico ed irripetibile, degno di un progetto personale di pittura incisa sul corpo. In questo senso si distingue, tra gli italiani, Marco Manzo, primo e secondo classificato nella categoria Best in Black, inoltre secondo classificato categoria Best Ornamental, proprio in questa Convention, già vincitore di oltre 50 premi tra Nazionali ed Internazionali, ricordando tra questi quelli vinti a New York, Berlino, Francoforte, Roma e Milano nella categoria da lui portata avanti come quella dell’Ornamentale. A lui si può inoltre riconoscere il primo ingresso del Tatuaggio nel mondo dell’Arte contemporanea, considerato che le sue creazioni sono entrate all’interno di alcuni dei Musei più importanti al mondo, MoMA di New York, Gagosian Gallery e MAXXI di Roma (un tatuaggio di Marco Manzo nella foto n 3).

 

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