Il Punk è morto, il Punk è vivo. Viva il Punk. Contributo di Michael Pergolani

Adam ANT (Stuart Goddard) come Adam and the Ants, 1981

…a Londra c’ero arrivato nel 67 e m’ero infilato con la mia ragazza in una bedsitter ad Harrington Gardens vicino alla Cromwell Road e a due passi da Earl’s Court… 6 sterline e mezzo d’affitto a settimana per una stanza con la stufa che riscaldava ingoiando scellini come una slot, una stanza affittataci da una vecchia coppia di ‘mbriaconi che si faceva 24 bottiglie di Haig Gold Label a settimana… ma col latte, insomma whisky col latte per riuscire ad ingoiarlo viste le condizioni pietose delle loro gole, una coppia di bastardi completamente schizzati che alle 4 di mattina ti prendevano a pugni la porta chiedendoti l’affitto che avevi pagato il giorno prima, non erano mai sobri, neanche nei sogni… ma alle tre del mattino di una domenica di marzo ce ne scappammo a bordo dell’Anglia azzurra dell’amico Graham… 2 bagagli 10 lp altrettanti 45 giri e un giradischi Grunding, tutti i nostri averi
… la mia ragazza era biondissima, sua madre era delle Orcadi (isole selvagge e gelide sopra la Scozia) e le piacevano gli Who ma anche i Beatles… nettissimo il ricordo che intorno a noi ci fosse musica ovunque, nettissima l’eccitazione per le minigonne, per la pillola, per gli stivali di pitone rosso con le zeppe, per gli stores tipo l’Apple boutique, il Kensington Market, Biba, il mercatino dell’usato a Camden e Portobello… nettissima la felicità per “essere nel posto giusto al momento giusto”, di stare come avrebbe detto Jovanotti molti anni dopo, “nell’ombelico del mondo” e della musica, specie quando entravi al Marquee, al Ronnie Scott’s per il Jazz, alla Roundhouse, al Rainbow Theatre per Miles, al Coloseum per gli Who o se ti capitava di alzare gli occhi verso il terrazzo della Apple dove all’improvviso sentivi le note di Don’t Let Me Down (gennaio 1969)… insomma facevi parte di una cosa grande, internazionale e multirazziale che conteneva il tuo futuro ma insieme a quello dei tuoi amici prossimi o distanti che fossero, pacifisti o arruolati per il Vietnam … e quel futuro era anche il concerto per la morte di Brian Jones con Mick Jagger vestito di bianco, nuvole di farfalle liberate verso il cielo, nuvole di black afgano e libanese rosso tra i cespugli e i “daffodils”, e anche sonaglietti, piume, colori, tamla, pifferi, matite colorate, patchouli… questo davanti al palco degli Stones a perdita d’occhio mentre ai margini di questo mare di teste hippies, oltre la Serpentine, dalla parte di Bayswater, centinaia di skinheads che picchiavano, sputavano, colpivano, coi pugni, con le catene, coi boots dalla punta ferrata e… massacravano la gente dell’Underground…

poi la storia, la nostra storia, poi le nostre canzoni che negli anni si gonfiano in modo incontrollabile, la nostra musica che passa completamente nelle mani delle majors e dei grandi promoter con la fissa di organizzare eventi sempre più grandi, sempre più dispendiosi, sempre più mediatici (palazzetti dello sport, stadi, intere vallate, Glastombury, Windsor, Isle of Wight, Reading)…
… e così, stufi di tutto questo, stufi dell’imborghesimento arrivato coi milioni di sterline e/o di dollari, stufi della vita da pappe molli, delle residenze di lusso, stufi del business ch’era diventato un Big Business senz’anima, stufi del rock che viaggiava a studi di registrazione costosissimi, a tournèe con snodabili pieni di attrezzature milionarie, a producer, manager, uffici stampa d’ogni genere e stufi anche di quell’esercito di troie sbidonate e marchettari lecca culo che ti s’infilavano nel letto, stufi marci della macchina gigantesca ed inarrestabile ch’era diventato il music-business… beh stufi di tutto questo e di un rock ch’era diventato perfino “sinfonico” nasce il punk… e meno male.
Nasce sotterraneo e con la faccia del teppistello, nasce nei quartieri degli squatters, quelli delle case in via di demolizione, quelli dei pub così luridi che la suola delle scarpe ti si appiccica alla moquette come chewingum, quelli delle cabine telefoniche che puzzano di piscio, dei negozietti d’alimentari 24h in mano ai pakistani tristi, nasce in posti grigi, in posti bagnati e squallidi, coi cassonetti che traboccano rifiuti e bottiglie vuote di Pale Ale… il punk nasce qui e nasce povero in canna, è la generazione dei boots di seconda mano e delle buste di plastica nera sotto il maglione, ci si veste con gli stracci trovati in giro o nello sgabuzzino di casa, tutto nero ma con macchie di colore fortissime tipo capelli a cresta arancioni, capelli viola e giallo, pantaloni similpelle nera, spilloni da balia, anelli funebri portasfiga, borchie sadomaso… in un mondo virato al “glamour” loro, i punks, fanno proprio schifo.

… insomma eccoli qui i punk, una tribù di topi anarchici che in qualche modo comincia a rosicchiare il mondo del poprock proprio come i topi, proprio quando “the music scene” mondiale sembrava andare al massimo: dischi d’oro, dischi di platino, milioni di copie vendute e quindi milioni di pounds, sesso a strafottere, tonnellate di roba bianca, acquisto di proprietà stellari, Rolls, Ferrari, limousines e lusso sfrenato…
insomma che poteva mai fare uno schiantato qualsiasi che volesse far musica? che volesse tentare di inzuppare il dito in quella fantastica “Zuppa Inglese” made in London, ma anche made in Birmingham, in Glasgow, in Leeds?… beh, non potendo competere coi fratelli maggiori, con quelli del poprock ch’erano diventati parte del “ricco establishment”, poteva solo inventarsi di fare il punk, il teppistello… e allora come dicevo, sacchetti di plastica nera come t-shirts, spilloni da balia anche nella carne, tatuaggi dark, capelli colorati, piercing, sputazzi, un po’ di sangue qua e là (vedi il maestro Iggy Pop), una boutique in fondo a Kings Road (quella di Malcom McLaren e Vivienne Westwood frequentata dai Sex Pistols) dove l’edilizia e i prezzi sono ancora popolari, un quartiere come quello intorno a Camden Town… e soprattutto il ritorno ai piccoli locali, ai garage, alle cantine (come nei ’50/’60) magari facendo finta di saper suonare qualcosa, reinventandosi chitarristi, bassisti, batteristi e cantanti… in definitiva una presa per il culo, una piccola grande presa per il culo (the great rock’n roll swindle) ma era il “nuovo underground”, era il Punk.

“Sid was my lover boy” said Nancy taking her left foot in her hand “I should cut my nails, don’t you think babe? Sid was such a good nail cutter…so sweet… he loved to do it…”

 

Michael Pergolani. Courtesy: Marco Sibillio
Michael Pergolani. Courtesy: Marco Sibillio

Per gentile concessione dell’autore e di Takeawaygallery (via della Reginella 11, Roma) che organizza sabato 3 dicembre 2016 il suo settimo anno di attività un party omaggio al punk nella sede della TAG Tevere Art Gallery. Si comincia alle 19.00 con la mostra di fotografia Punk Aristocracy di Massimo Scognamiglio e la proiezione di trecento immagini tra opere, location, locandine e ritratti di amici e artisti che hanno partecipato alle oltre quaranta esposizioni ideate o coordinate a partire dal 2009; si prosegue dalle 22.30 con il dj set di Andrea Pochetti Dal Punk al Punk, selezione musicale dal 1976 al 1981.

La Takeawaygallery, non profit romano che si è caratterizzato per interventi di arte contemporanea in ambientazioni fortemente connotate, l’organizzazione di eventi culturali in location ogni volta diverse, e la volontà di muoversi in modo fluido tra fotografia, installazioni, spettacoli teatrali e incursioni in sound electro, pop e rock, ha da sempre la musica nel proprio dna.

  • I magnifici sette. Takeawaygallery 2009-2016 | Punk Nobiltà di Massimo Scognamiglio | mostra, eventi, proiezioni, musica
  • sabato 3 dicembre 2016 dalle ore 19
  • TAG Tevere Art Gallery
  • Via di Santa Passera 25, Roma
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