Uemon Ikeda, Italia e Giappone uniti dall’arte

Uemon Ikeda

Conosco Uemon (Uemon Ikeda, nome d’arte di Tatsuo Ikeda, Kōbe, Giapone, 1952) da oltre dieci anni. Ero ancora una studentessa universitaria. Avevo da poco discusso la laurea e mi trovavo a fare un master in cura critica e installazione museale al Museo Laboratorio di Arte contemporanea della Sapienza di Roma. Un’esperienza che porto nel cuore, che mi ha forgiata come critico e curatore, e da dove è partita la mia carriera professionale.

Ed è proprio al MLAC che risale il nostro primo incontro, nel 2005. Uemon aveva pubblicato nel 2001 un libro con Simonetta Lux, dal titolo Acrobazia. La mostra, una delle prime in cui mi trovai a collaborare si intitolava Un ragazzo che voleva vivere nel rettangolo, ed era in sostanza la rielaborazione di un brano omonimo pubblicato nel libro, aggiungendo il personaggio di una ragazza di 17 anni all’interno della storia. Questo nuova figura si “materializzava” nella sala espositiva del MLAC mediante la stesura di un filo di seta e lana di colore rosso volto a delinearne l’area, formando appunto un rettangolo. Il pubblico era invitato ad entrare dentro questo recinto rosso per vedere le opere esposte, dipinti dai forti volumi dettati dai colori brillanti. Il lavoro pensato da Ikeda era in sostanza una trasposizione: dalla scrittura alla pittura, da un supporto bidimensionale quale la carta stampata, alla tridimensionalità dell’installazione che si presentava come ambiente immaginario e al contempo realisticamente teatrale (“teatro impossibile” per citare le parole dell’artista).

Allora, poco più che ventenne, mi trovai a partecipare ad una mostra che è stata senz’altro uno degli esempi più riusciti di installazione ambientale e partecipativa. Il luogo, la sala del museo, era parte integrante dell’esposizione perché non accoglieva solo le opere, si presentava in maniera diversa rispetto allo spazio espositivo che spesso si definisce white cube, proprio per la sua neutralità nei confronti dei lavori che ospita. Inoltre il pubblico aveva assunto un ruolo attivo, essendo invitato ad entrare fisicamente dentro questo territorio delimitato da un semplice filo rosso che non a caso forma sempre, come vedremo anche nelle installazioni successive di Uemon, forme geometriche.

Uemon Ikeda

Dunque la mostra si può riassumere così: la scrittura, il linguaggio semantico, la parole si fa arte visiva, diventa pittura nella bidimensionalità dei quadri esposti, e tridimensionale nella trasposizione concettuale che avviene con la realizzazione dell’installazione.

Ho parlato di quadri, infatti la mostra accoglieva anche 9 tele realizzate dal 1995 al 2005 che ben sintetizzano l’esperienza della ricerca artistica di Uemon Ikeda. Anche le tele, contestuali al progetto, avevano forme geometriche irregolari: tele rettangolari ovali tagliate ai lati, che presentavano inoltre la particolarità di avere una superficie mossa, aggettante. Segmenti di realtà quotidiana la cui spazialità viene ridefinita da una logica matematica e dai ricordi della sua città d’origine, Tokyo.

Sì perché come tutti sappiamo Uemon è un artista Giapponese, naturalizzato romano fin dagli anni Settanta, è qui che comincia il suo percorso artistico frequentando l’Accademia delle Belle Arti di Roma. Dunque l’influenza della ricerca artistica contemporanea italiana è insita nel suo lavoro, ciononostante mantiene il suo retaggio culturale, presente in ogni suo singolo lavoro.

Le sue stesse scelte espressive, che si concentrano su aspetti decisamente concettuali declinandosi in codici linguistici differenziati che oscillano dalla pittura all’architettura, dal disegno all’installazione fino a giungere alla scrittura, sono evidentemente il prodotto di questa duplice personalità artistica.

Sono stata invitata a partecipare a questa giornata di studi, non solo per l’amicizia decennale che mi lega a Uemon, ma anche per il mio ruolo attuale di assessore alla cultura della comunità ebraica di Roma. Come alcuni di voi sanno, nel 2012, in occasione della Giornata Europea della Cultura Ebraica Uemon realizzò una grande installazione presso i giardini del Tempio Maggiore di Roma intitolata Post strutture. L’installazione raffigurava una gigantesca Stella di David realizzata con il filo, questa volta azzurro di lana e seta. Nel 2012 non ero ancora assessore ma ricordo perfettamente di essere andata a trovare il mio amico Uemon mentre costruiva, anzi ridefiniva lo spazio dei giardini, coinvolgendone l’architettura, gli alberi, il cancello. Geometrie spaziali, come ne avevo viste tante di Uemon durante questi anni, ma quella per ovvi motivi sentivo che mi apparteneva di più. Per citare il titolo della mostra che mi ha fatto conoscere l’arte e la poetica di Uemon, io ero la ragazza che voleva vivere dentro al stella di David blu!

La mostra Finestre sul Terzo Millennio di Tatsuo Uemon Ikeda – inaugurazione: mercoledì 21 giugno 2017 ore 19.00 – è in corso dal 21 al 28 giugno 2017, a cura di Carlo Severati, nello spazio Embrice, Via delle Sette Chiese, 78, Roma. Questa esosizione, che rientra nelle Celebrazioni del 150° Anniversario dei contatti Italia Giappone, è organizzata dallo Studio Marta Bianchi e patrocinata dalla Fondazione Italia Giappone, dall’Istituto Giapponese di Cultura, dalla Fondazione Venanzo Crocetti e da InEvoluzionet.

Ingresso Gratuito.

Contatti:
e-mail embrice@gmail.com  – Tel. +39 06 64521396
e-mail: studiombinevoluzionet@gmail.com – Tel. +39 333 8928711

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Giorgia Calò è Storico, storico e critico d'are, curatore indipendente, vive a Roma.

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