In ricordo di Paolo Rosa, cofondatore di Studio Azzurro # 1

Il cuore, quel cuore che batteva emozionato ad ogni nuovo progetto, ad ogni opera realizzata, incontro e conversazione con il pubblico, e ad ogni inaugurazione, ha fermato i suoi battiti: ad agosto, in vacanza, in Grecia (Corfù), nella patria del Mito e di quella classicità che apparentemente è lontana anni luce dal suo lavoro. Paolo Rosa ,riminese doc, artista, sperimentatore, cofondatore (con Fabio Cirifino e Leonardo Sangiorgi, nel 1982) di Studio Azzurro se ne è andato improvvisamente così, a 64 anni. Reduce, con i suoi sodali, dei recentissimi successi del neonato Padiglione del Vaticano all’attuale Biennale di Venezia, stava godendosi un meritato riposo dopo anni di grandi macchine e manovre che hanno caratterizzato l’ascesa di un gruppo che da quasi trent’anni è tra i più apprezzati nel settore delle Arti visive video e interattive.
Su di lui abbiamo due intensi, approfonditi interventi di due professionisti che hanno conosciuto bene Rosa e con il quale hanno lavorato: Bruno Di Marino e Marco Maria Gazzano. Di seguito, il contributo di Di Marino (n. d. R.).

Siamo rimasti tutti sconvolti dalla morte di Paolo Rosa. Nella serata di ieri, 20 agosto, si rincorrevano voci sulla scomparsa, sms, telefonate, ma non si sapeva ancora con certezza se quella notizia era vera. Purtroppo sì. Paolo se ne è andato sul lungomare di Corfù, in Grecia, non si sa ancora se vittima di un infarto o per altre cause. Non volevo crederci, anche se, conoscendolo da anni e incontrandolo da anni, ben sapevo che Paolo conduceva una vita intensa ma stressante, era una persona che non si è mai risparmiata in tutti questi anni, era sempre a lavoro, concependo e realizzando insieme agli altri amici e colleghi di Studio Azzurro, installazioni, opere teatrali e musicali, allestimenti di mostre e di musei, progetti spettacolari ed emozionanti, spesso anche particolarmente complessi, attraverso cui l’arte – con l’aiuto delle nuove tecnologie – potesse giungere direttamente al cuore dello spettatore, senza troppe intermediazioni.

E poi naturalmente c’era la sua attività di docente a Brera e di instancabile conferenziere. Sì, perché Paolo non era solo un artista, ma anche un teorico, uno che ha sempre riflettuto in modo fertile e intelligente sull’arte, sulla tecnica, sulla comunicazione, ponendosi problemi di carattere etico, in un mondo dove ormai l’espressione artistica è diventata sinonimo di cinismo, calcolo, moda. Umanamente Paolo era una persona unica, sempre gentile e disponibile con tutti, mai asservita al potere, sempre fuori dal sistema un po’ mafioso dell’arte contemporanea. Ed è per questo che Studio Azzurro in fondo per decenni è stato visto con diffidenza e spocchia, da chi rintracciava nelle sue opere qualcosa di troppo estetizzante. Un’arte che piace anche ai bambini – hanno pensato in molti – non può essere una cosa seria. Più l’arte è elitaria e meglio è. Paolo combatteva questo tipo di visione, credeva in un’opera d’arte partecipata, da condividere con i fruitori, un’opera che solo lo spettatore potesse completare non con la semplice interpretazione, ma vivendola, possedendola fisicamente. Da qui la grande magia dell’interattività che ha cambiato radicalmente il rapporto con le videoinstallazioni. Gli ambienti sensibili sono stati il marchio di fabbrica di Studio Azzurro, hanno reso famoso il gruppo in tutto il mondo, hanno dimostrato come si potesse fondare una nuova avanguardia tecnologica.

Ho conosciuto per la prima volta Paolo e gli altri componenti del gruppo milanese alla fine degli anni ’80 quando, non ancora laureato, mi avvicinavo alla sperimentazione audiovisiva, seguendo ogni anno la rassegna sul video d‘artista organizzata a Taormina da Valentina Valentini. Ricordo l’anno in cui Studio Azzurro realizzò Il segno involato nella villa comunale di questa stupenda cittadina. In quell’occasione l’installazione fu realizzata con immagini provenienti dal satellite. Fu una folgorazione la scoperta di chi utilizzava il dispositivo video con tanta creativa giocosità. Era gioia per gli occhi ogni lavoro di Studio Azzurro. Poi il rapporto tra me e Paolo è proseguito negli anni, sia in occasione di conversazioni e convegni in cui eravamo entrambi ospiti, sia nella realizzazione di progetti, come il doppio dvd con libro allegato che abbiamo editato per Feltrinelli nel 2007, in occasione del quale curai a Salerno due mostre sul gruppo milanese. Quel prezioso oggetto, contenente 25 anni di attività concentrate in 60 tracce video, per oltre 4 ore di immagini in movimento, è stata una delle pubblicazioni di questo genere di maggior successo. Oltre 10.000 copie. Alla faccia di chi credeva ancora che la “videoarte” (parola ormai desueta e ambigua) fosse una forma espressiva di nicchia. Anche in quel frangente ho potuto constatare come Paolo e gli altri componenti del collettivo fossero meticolosi e scrupolosi dal punto di vista professionale. Del resto Studio Azzurro ha sempre fatto grandi numeri: dai 100.000 visitatori che hanno potuto ammirare la loro personale al Palazzo delle Esposizioni alla fine degli anni ’90 ai 4000 spettatori al giorno che hanno goduto di Sensistive city, l’installazione creata a Shanghai nel 2010 per l’Expo.

Ma Paolo, nonostante il successo internazionale, è sempre rimasta una persona di grande modestia, una persona di profonda umanità. Non ho mai visto in lui competizione, ma sempre un atteggiamento di comprensione e di amicizia verso gli altri artisti e colleghi, soprattutto quelli più giovani. Ma c’era soprattutto in lui la voglia di sperimentare continuamente, di mettersi in gioco, di inventare sempre qualcosa di nuovo, di confrontarsi con la tecnologia senza feticizzarla e senza rimanerne sopraffatto. Non ha mai pensato all’arte come a un business. Certo, Studio Azzurro ha sempre gestito budget molto elevati, ottenendo importanti commissioni pubbliche, statali, istituzionali, ma Paolo non considerava le opere come merci da vendere ai musei, da quotare sul mercato, per lui le installazioni erano artefatti tecnologici (che ossimoro!) in fondo effimeri, volatili, da archiviare su hard disk pronti per essere riallestiti in nuove occasioni, sotto forme sempre nuove e in contesti sempre diversi.

Nel corso di questi anni Paolo non ha mai giocato la parte da solista, è sempre stato pienamente a suo agio all’interno di una squadra dove ciascuno aveva il suo ruolo, dove ciascuno proveniva da una formazione diversa: Fabio Cirifino dalla fotografia, Leonardo Sangiorgi dall’architettura, Stefano Roveda dall’informatica. E Paolo? Era forse quello che riusciva a infondere un contenuto, un senso a tutto questo difficile e stratificato lavoro, era la figura che si faceva portavoce di un progetto collettivo.

E ora cosa succederà a Studio Azzurro senza Paolo? E’ quello che ho pensato ieri sera mentre angosciato e affranto cercavo di sapere qualcosa di più su quanto era accaduto. Il mio pensiero, prima ancora che ai suoi cari, è andato a Fabio, Stefano e Leonardo e alla grande famiglia allargata composta da decine di collaboratori. Credo che il collettivo che ha sede alla Fabbrica del vapore avrà la forza di andare avanti e di realizzare molti altri progetti, proseguendo nel solco tracciato anche da Paolo, continuando a creare installazioni interattive, spettacoli teatrali, opere videomusicali, musei tematici e quant’altro, senza perdere la passione che li ha animati finora. La conversazione tra me e lui riportata nel libro Tracce, sguardi e altri pensieri si concludeva con una mia domanda sul futuro dell’arte e sulla possibilità di recuperare una ritualità primitiva, una complicità profonda tra arte e società, come era avvenuto nelle avanguardie storiche. Sei ottimista? Credi che questo dialogo si possa nuovamente instaurare oppure il sistema dell’arte è destinato a soccombere sotto il peso della propria autoreferenzialità? Questa era la sua risposta:

«Sono convinto che in un’epoca complessa ed esasperata come questa, l’arte potrebbe divenire uno straordinario strumento di orientamento condiviso. Piuttosto che un apparato decorativo di una ideologia liberista, dove tutto è concesso perché niente è davvero efficace. La sensazione di vivere un eccesso di libertà è un sentimento che ci deve inquietare profondamente, perché probabilmente implica una mancanza di vera libertà».

Ecco, credo che Paolo fosse un artista autenticamente libero, libero tanto dai condizionamenti del mercato quanto da quelli della critica, del gusto odierno. Non rincorreva tendenze, era un artista che non ricercava furbescamente il consenso del pubblico.

Ci mancherai molto Paolo e per un momento voglio illudermi che su quel lungomare di Corfù ti sei semplicemente dissolto verso l’orizzonte, azzurro come lo studio che hai contribuito a fondare. Ti sei smaterializzato, come un effetto digitale utilizzato in uno dei tanti videoambienti o ambienti sensibili da te creati. Buon viaggio Paolo.

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Bruno Di Marino

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