Humans among Aliens. Viaggio dell’arte italiana nelle terre della Repubblica di Singapore

Non solo incontri ravvicinati tra culture lontane, tra economie dalle opposte fortune. Valerio Berruti, José D’Apice e Troilo tracciano un percorso estetico lungo il cui sentiero autore e destinatario cercano punti di contatto alternativi…

Sono tra noi, ma di rado riusciamo a vederli.
Tre artisti italiani a Singapore, viaggio dal pianeta che si spegne privo di risorse al pianeta delle grandi innovazioni.
Ma è solo la storia ufficiale, raccontata sui cataloghi.

Gli affreschi su juta di Berruti, le matite di D’Apice, le dita di Troilo. Tecniche che riportano un mondo primitivo senza la leggerezza della citazione, immergendosi in una storia e tradizione di canoni e liturgie di un’autenticità perduta. Non trova spazio il mecenate in queste stanze, in queste gallerie il romantico si sente perso. E’ una rottura e al contempo un ricongiungimento; dell’artista con se stesso, del quadro con l’osservatore, un ricongiungimento tra galassie distanti anni luce che si sfiorano attraverso un buco nero.

Sono tra noi, ma non è facile vederli. Questa volta non sono alieni, non hanno pelli colorate, dai tratti di preferenza affini, astronavi colorate e luci stroboscopiche. Niente armi fabbricate con tecnologie fantascientifiche, dagli effetti spettacolari, grandi esplosioni e suoni roboanti.

Niente artisti tra gli umani. Non linguaggi incomprensibili accompagnati da slogan orecchiabili che ammalino gli ignari abitanti del pianeta.

Questa volta umani tra gli alieni. E gli alieni siamo noi.

Human among Aliens: la pelle e le carni in bianco e nero, accennate e già scolpite con l’acrilico, i fregi monocromi su pergamene, legni e carta che trattengono e conservano uomini, visi e utensili in ceneri eterne, i volti che si svelano attraverso i colori ancora freschi, le pennellate congelate. Troilo, D’apice, Berruti.

Velate, quasi plumbee, dietro e attraverso le tele dei tre artisti italiani si snodano sentieri di ricerca battuti da passi sempre in viaggio. Sono viandanti silenziosi che raccontano una battaglia in cui nessun sangue è versato, se non il loro. Un rifiuto e una rivoluzione combattuta con le viscere. Un strada tracciata verso altre terre. Il rifiuto è al potere dell’arte, al potere nell’arte. A un potere che è grado di separazione, capacità di muoversi sulla rete; potenziale di controllo e manipolazione anziché competenza di gestione dello spazio intersoggettivo. E quando il potere tocca il bello, che poi è il sacro, quando il potere lo profana e l’artista, con sorriso plastico, afferra la mano con una stretta, allora gli umani alzano la voce, in silenzio. Nella grande macchina dell’arte contemporanea, Berruti, Troilo e D’Apice si muovono, si aggirano. Da New York a Milano, da Verduno a Singapore, le parole, urla e sussura, le forme e i colori, le idee e i sussulti, le opere dei tre artisti hanno viaggiato tra gli abitanti del pianeta. Opere in mostra. Il sentiero tracciato dice di un’etica del disegno, ma ha poco del discorso morale occidentale. Non ha norma, non richiama a un ordine. E’ una religiosità dell’arte. E’ la chiesa sconsacrata in cui Berruti dà i tratti a giovani santi che subito imparano a parlare. E’ il corpo dissacrato di Troilo, la passione macabra ma elegantissima di un sacrificio che dà vita a oggetti giunti da altri mondi: tracciati da mani potenti ci mostrano i corpi di divinità lontane. E’ la preghiera di Josè D’Apice, ripetuta ogni volta che la mano e la china si muovono, un rito ancestrale in cui oggetti comuni riprendono a respirare sulla tela, infine esplodono liberando significati attraverso scariche di fotoni.

Del Cristo non richiamano le parabole, ma il giorno nel mercato, l’inespresso dolore di una lacerazione tra la percezione di un oltre, che sulla tela ogni gesto insegue, e la rabbia gettata sui bancali. Sono urla sussurrate, ossimori che solo l’arte sa pronunciare poiché solo all’arte è concesso di proseguire oltre la povera logica aliena. Fantasmi, con le mani, il pennello e la china si mostrano senza ostentazione. Lì, una porta tra pianeti, una singolarità nello spazio-tempo; lì si mostra uno squarcio nell’immagine. Le opere di questi artisti condividono la capacità di generare per energia interna fenomeni epifanici. Appena accennati, quasi astratti, se fissi negli occhi le umane figure di Berruti, trovi un pozzo scavato verso un bagliore nato milioni d’anni fa, che giunge dall’estremo opposto della galassia: pianeta terra. Tessuti di materie sconociute puoi avvicinare sfiorando una mano stretta in pugno, conservata ed esposta con macchinari ipertecnologici nell’inedita scultura di Troilo. Scienziati marziani si aggirano osservandola come scimmie davanti al nero monolite. Cogli una scintilla di senso che si accende ad ogni marachella di Josè D’Apice; sono giochi e parole di infante, così chiare e distinte, briciole di perfezione, da diventare ineffabili, mai del tutto comprensibili, perché qualcosa sempre sfugge alla presa dell’intelletto alieno.

Non si tratta solo di una eccellenza della tecnica, di un rigore che ricorda questa volta, non altri mondi, ma tempi lontani, non soltanto un potere nella mano. E’ un attitudine dello spirito. Cogli il travaglio nelle parole di Berruti che racconta il difficile rapporto con i suoi paesani, lo leggi nello sguardo di Jose D’Apice, che è sempre altrove, lo senti quando ti imbatti nell’aura abbagliante e insieme oscura di Paolo Troilo. Baudelaire lì chiamò i fiori del male, centrando la contraddizione essenziale e quindi l’ossimoro archetipo: impantanato nel male cerca di strappare dalla terra i fiori della sua poesia per consegnarceli.

L’uomo imprigionato, invischiato tra gli alieni. Ai loro occhi appare come un bambino, un messaggero che parla mille lingue.

Ogni parola è un’astronave per la terra.

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Info mostra

  • Humans Among Aliens, an exhibition of Contemporary Italian Art
  • 21 October – 17 November 2013
  • Tuesday – Saturday 11 am – 7 pm
  • Venue Gallery 3, Artspace@Helutrans, Level 2, Tanjong Pagar Distripark, 39 Keppel Road, Singapore
  • Info: http://29artsinprogress.com/singapore-2013/
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Mattia Zappile nasce a Milano nel 1980. Già in adolescenza comincia la sua avventura nel mondo della scrittura con romanzi, poesie, fumetti, saggi. Presto alla passione per la lettura, e principalmente per la filosofia, si aggiunge quella per le arti visive, in particolar modo per il mondo del cinema. Tra biblioteche e sale cinematografiche passa gran parte della sua giovinezza. Si iscrive al D.A.M.S. laureandosi con lode a Bologna. Subito comincia un nuovo percorso universitario per la seconda laurea in Filosofia. Nel frattempo porta avanti le sue passioni che trasforma in professioni. Lavora come filmaker indipendente e assistente alla regia, infine comincia a scrivere, dapprima per blog, poi per un magazine online (“CoolmagArt”), in qualità di critico cinematografico e il suo ingresso ufficiale nel mondo dell’arte con la rivista “Espoarte” per la quale cura la rubrica Gremlins, sabotaggi e mutazioni tra cinema e pittura. Presto si aggiungono articoli con la sua firma all’interno della rivista e su “Inside Art” e, parallelamente, le curatele e i testi critici per cataloghi d’arte tra cui la pubblicazione della Biennale di Venezia Arte. Dal febbraio 2012 inizia la sua collaborazione con “art a part of cult(ure)”.

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