Il Poetry Slam è una gran figata

Quando sono arrivato a Monza per partecipare alla finale del primo Campionato Nazionale di Poetry Slam, ero già contento. Primo, perché l’aereo non era precipitato, secondo perché sapevo che avrei conosciuto altri poeti, sentito altre poesie, insomma avrei incontrato altre vite con rotelle che si sarebbero incastrate con le mie.

Dopo una mattinata da turisti, io e Francesco Fittipaldi, attempato amatore della vita, veniamo accolti da Dome Bulfaro e Simona Cesana, infaticabili organizzatori di slam, che attraverso la loro associazione Mille Gru, e l’orgogliosa LIPS (Lega Italiana Poetry Slam), ci sono riusciti: creare una rassegna che celebrasse in maniera ufficiale ed efficace un nuovo modo di fare, dire e dare poesia.

Lo sforzo è stato lungo negli anni, con problemi organizzativi e di tenuta delle varie realtà di slam, ma alla fine oggi il Poetry Slam ha carattere nazionale, coordina tutte le iniziative in Italia, stabilisce regole condivise, ha un unico scopo: dare fuoco ai pregiudizi sulla poesia.

C’è molto di stimolante nel leggere un buon libro di poesie nel proprio letto prima di dormire: non c’è nulla di più dirompente di tifare per un poeta che riversa su una platea viva il proprio amore a piena gola, il proprio entusiasmo per le parole, la capacità di giocare con la sacra musa, il suo stesso corpo offerto in sacrificio per la poesia. A questo mi preparavo, e a questo sono andato incontro, e questo ho incontrato. Un’atmosfera vibrante, un proposito folle – quello di sedurre il pubblico con parole e con una gara – preso sottobraccio come fossi l’amico di ogni giorno. Così si comportano i poeti in una manifestazione del genere.

Ma forse ho già scritto troppo, senza spiegar bene la questione.

Cos’è il Poetry Slam? Una gara, un gioco in cui si affrontano poeti e poeti, con le loro performance tentano di convincere i giurati scelti a caso nel pubblico che la loro poesia è la migliore. Con tanto di votazioni, prima e seconda manche, eliminatorie e finali testa a testa, giurie, notai, tempi massimi, fischi e applausi dal pubblico, eccetera. Un vero scandalo per le cariatidi dei salotti letterari. Ma non ci interessa.

Da anni ormai, soprattutto al nord, in locali, ristoranti, festival e ovunque ce ne sia stata la voglia, si sono organizzati slam, al quale hanno partecipato sempre più poeti, sempre più persone, sempre più entusiasmo. Una competizione vera e sentita, nel senso vero della parola, cioè com-petere, tendere ad uno stesso scopo (quello di allargare il più possibile lo spazio e il regno della poesia nella vita delle persone), come ama dire Lello Voce, sgargiante sacerdote e promulgatore da sempre del Poetry Slam in Italia, a sua volta ispirato dal suo Slampapi Marc Kelly Smith, che dalla Chicago degli anni ’80, gli aveva consegnato le tavole delle leggi con cui giocarci (Smith è in giro in questi giorni Italia in suo tour).
Entrambi erano presenti il 3 maggio alla finale, e ho avuto il piacere di conoscerli, assieme ad altri 19 poeti che “competevano” con me per questo titolo di poeta performer nazionale.

Ma come suol dire Marc, “the points are not the point, the point is poetry”, ciò che conta è la poesia, non contano i voti. Lo slam, con la sua carica di pubblica partecipazione e la sua voglia di essere al di fuori dei consueti santuari e darsi totalmente e ovunque alla gente, dal momento della lettura a quello della critica, è una forma di promozione della lettura e della fruizione della poesia estremamente efficace e soprattutto accessibile.

Detto in altre parole: la poesia non solo te la leggo, te la faccio anche sentire. E mentre mi vedi in persona, penetri più a fondo nelle parole, nel senso vero del perché io, che sono un poeta, scrivo poesie.

Il fatto che ci sia stato un vincitore, Pierluigi Lenzi, che andrà a Malmoe, in Svezia, a rappresentare l’Italia nelle finali Europee, è un dettaglio, importante, ma un dettaglio: la vera notizia è il fatto che ci sia sempre più gente di tutte le età e le provenienze che ascolta, e applaude, e frequenta la poesia. Non bisogna dimenticare che la rassegna è stata corredata da una serie di iniziative sul territorio, prima fra tutte il coinvolgimento delle scuole in laboratorio da parte degli stessi slammer, con lezioni di poesia performativa direttamente in classe.

La sfida è dunque quella di accendere tanti altri fuochi di slam, soprattutto al Sud, per far sì che l’anno prossimo ci sia ancora più competizione, col sorriso sulle labbra, con la poesia al centro del mondo, tra la gente, almeno per qualche giorno all’anno. Vi assicuro che ce n’è tanto bisogno.

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Poeta tarantino trapiantanto a Bari e attivo con Poesia in azione e altri progetti di lettura condivisa, era l’unico rappresentante del Sud Italia alla finale nazionale dei Poetry Slam a Monza lo scorso 3 maggio 2014.

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