Kalenarte 2013-2014. L’arte del Paesaggio, ovvero del connubio tra Cultura e Natura

L’arte del Paesaggio ovvero del connubio tra Cultura e Natura, è il titolo della nuova edizione di Kalenarte, curata per il biennio 2013-2014 da Cristina Costanzo. La rassegna si svolge dal 1990 in Molise, nella cittadina di Casacalenda (Campobasso) – l’antica Kalene romana, oggi abitata da poco più di duemila persone – divenuta, su iniziativa dell’architetto e artista Massimo Palumbo, sede di un vero e proprio laboratorio di idee e campo di discussione di tematiche legate alla valorizzazione territoriale che passa attraverso lo sguardo dell’arte contemporanea. Oggi il frutto di quest’esperienza in continuo aggiornamento è designato dall’acronimo MAACK – Museo all’Aperto di Arte Contemporanea Kalenarte: una realtà che, sostenuta dall’Associazione Culturale omonima e dagli enti territoriali, in prima fila il Comune molisano, opera in coordinamento costante con la Galleria Civica d’Arte Contemporanea Franco Libertucci di Casacalenda, piccola sede museale di recente arricchitasi grazie a un cospicuo numero di donazioni da parte di artisti internazionali. Il pomeriggio del 3 maggio, a tal proposito, ha ospitato la presentazione del catalogo Le Donazioni 2013, a cura di Beatrice Mastrorilli e Federica Rigillo, che analizza opere e percorsi dei trentotto artisti coinvolti nell’ampliamento delle raccolte.

L’edizione attuale di Kalenarte vede protagonisti Baldo Diodato e Nélida Mendoza, autori di due interventi che, come di consueto per la ventennale rassegna, si innestano armonicamente nel tessuto di Casacalenda, al termine di un processo di avvicinamento confidenziale al territorio, corroborato dal confronto con i cittadini in vista della scelta di una porzione urbana sulla quale operare in modalità rigorosamente site specific per riqualificare, arricchire e donare alla città un inedito nuovo punto di vista sulle strade del centro storico e sulla natura circostante.

Nel corso degli anni, dal ’90 a oggi, Kalenarte ha promosso la realizzazione di venti opere d’arte: nomi di alto profilo internazionale quali, tra gli altri, Hidethoshi Nagasawa, Carlo Lorenzetti, Adrian Tranquilli, Costas Varotsos, hanno operato nel centro di Terravecchia, la parte antica della città, nelle zone di più recente costruzione e infine in gioielli naturalistici circostanti quali il bosco di Contrada Coste, consentendo al progetto di innescare un circuito virtuoso nel quale la proposta di un valore artistico e culturale comporta il ripensamento delle memorie del territorio e dei suoi abitanti in vista dell’inserimento – oggi sempre più consistente – negli itinerari artistici del centro Italia e nella mappa dei parchi di sculture all’aperto italiani. Una realtà, quest’ultima, significativa e di innegabile valore storico-artistico: è opportuno ricordare, a tal proposito, la recentissima iniziativa promossa a Mantova da Manuela Zanelli con l’Associazione Mantova Creativa che ha segnato, a Palazzo Te (9 maggio 2014) un dibattito progettuale intorno al convegno Realtà e prospettive dei parchi di sculture all’aperto al quale ha partecipato Massimo Palumbo in rappresentanza di Kalenarte e che ha visto la presenza, tra gli altri, di Enrico Crispolti, Renato Barilli, Alberto Fiz; tra le idee discusse, in particolare, quella di un auspicabile coordinamento nazionale dei parchi di scultura.

Tornando alla vicenda Kalenarte 2013-’14, è da sottolineare come l’edizione sia stata inquadrata dalla curatrice in una prospettiva di riflessione storica sul rapporto tra arte e natura, imponendo – anche in questa sede –  una riflessione sui due termini del dialogo, centrale nei percorsi dipanatisi a partire dal secondo Novecento.

Nel 1983, nella prefazione alla raccolta di saggi The Anti-Aesthetic: Essays on Postmodern Culture(dal 1985 ripubblicato come Postmodern Culture), il critico americano Hal Foster definiva, quale sostanza e finalità dell’arte che si introduce nell’ambiente naturale, la realizzazione di “interventi collaborativi e socialmente consapevoli”. La riflessione di Foster si collocava già temporalmente al margine del dibattito nato, dal biennio 1967-’68, intorno alle prime grandi opere di Land Art, clamorosa testimonianza di sconfinamento, dilatazione del campo artistico verso il paesaggio, dunque non solamente fuori dai musei o dai luoghi usualmente deputati all’arte – in linea con quanto evidentemente promosso dalle avanguardie storiche e dalle nuove avanguardie della seconda metà del Novecento – ma verso l’ambiente, in un’intenzione alternativa di anti-monumentalità e rispetto per l’habitat naturale. Ben note sono, a tal riguardo, le operazioni condotte in ambito statunitense, con la creazione di opere oggi “leggendarie” date dalla combinazioni di elementi primigeni quali terra, sabbia, rocce, a creare un amalgama tra arte – intervento dell’uomo – e natura: basti pensare ai nomi di Walter De Maria e Robert Smithson, con percorsi che omaggiano e magnificano, in chiave americana, quella dimensione del “sublime naturale” teorizzata quasi tre secoli orsono da Edmund Burke e che sembra trovare la più evidente manifestazione nei vasti spazi del continente oltreoceano.

Il territorio nazionale italiano, d’altro canto, veniva interessato da interventi caratterizzati, già a una data precoce quale quella del 1962, da spazi e intenti concettualmente diversi, commisurati alla storia e al bagaglio di memorie del Paese. Non di operazioni sul paesaggio incontaminato, infatti, bisognava parlare, ma della promozione di prime e pionieristiche rassegne quali Sculture nella Città, curata da Giovanni Carandente a Spoleto nel corso della V edizione del Festival dei Due Mondi e rivolta all’osservazione di un’interazione – possibile e modernissima – tra contesto storico urbano, denso di stratificazioni e scultura contemporanea.

Spoleto come primo nuovo museo all’aperto, dunque, allestito con il coinvolgimento dei massimi esponenti della scultura dell’epoca e magistralmente documentato dalle fotografie di Ugo Mulas, che mostrano lo scorrere della vita cittadina e, in essa, la fucina artistica creatasi per l’occasione e trent’anni dopo raccontata da Carandente nel volume Una città piena di sculture (Electa 1992). Al termine della rassegna solo alcune opere rimasero in loco, entrando a far parte del patrimonio cittadino: ciononostante, è chiaro come l’idea di Carandente abbia iniziato a tracciare un sentiero e ad aprire a possibilità che pochi anni dopo, approdando al nuovo linguaggio della performance, portarono alla capitale esperienza di “Campo Urbano, interventi estetici nella dimensione collettiva urbana”, svoltasi a Como il 21 settembre 1969 a cura di Luciano Caramel, Ugo Mulas, Bruno Munari. Rileggendo il comunicato stampa della manifestazione, emerge come Campo Urbano, nonostante la sua natura effimera, nascesse “[…] dall’esigenza di portare l’artista a diretto contatto con la collettività di un centro urbano, con gli spazi in cui essa quotidianamente vive, con le sue abitudini, le sue necessità”, nell’ottica della “ricerca di un rapporto reale – e quindi vivo e non scontato – tra gli artisti, gli abitanti di una città e la città stessa”.

Impossibile non notare, dunque, come il progetto Kalenarte affondi le radici in esperienze di alto valore, oggi ampiamente storicizzate e dispiegatesi sul territorio italiano in consonanza con la già citata formula di Foster di “interventi collaborativi e socialmente consapevoli”. La stessa esperienza di Gibellina Nuova, pietra miliare nella recente storia sociale e artistico-critica del nostro Paese, nacque con tali intenzioni (evidenziate in special modo dalle lunghe permanenze di soggiorno e laboratorio di artisti nella cittadina siciliana), sebbene connotate dal maggiore tratto utopistico apportato dal grande sognatore Ludovico Corrao alla spinta ricostruttiva nella valle del Belìce (qui un approfondimento: http://www.artapartofculture.net/2011/08/07/ludovico-corrao-assassinato-a-gibellina-se-ne-va-cosi-un-intellettuale-di-barbara-martusciello/).

Per un’amara ironia della sorte, anche l’altrettanto piccolo territorio di Casacalenda ha dovuto fare i conti con il terremoto (Molise 2002), interrompendo in corso d’opera le rassegne di Kalenarte fino all’edizione 2009, ma da quel momento ripartendo con maggior forza e con il sostegno delle amministrazioni comunali avvicendatesi nel corso degli anni.

L’idea di partecipazione sociale è stata sviluppata, approfondita, sostanziata: oggi, parlando con Cristina Costanzo e Massimo Palumbo, emerge in prima battuta la soddisfazione espressa osservando una comunità cittadina che accoglie, si confronta con gli artisti ospiti e ne accetta l’opera come patrimonio collettivo e riconoscimento al valore di un territorio che, racchiuso tra monti e valli molisane, racconta una storia fatta di voci, colori, suoni autentici.

E’ proprio cogliendo le vibrazioni di Casacalenda, rendendosi partecipi del suono e della sostanza della vita che scorre, che si sono formate le due opere presentate lo scorso 3 maggio.

Baldo Diodato, affermato artista napoletano d’origine, vissuto lungamente negli Stati Uniti e oggi operante a Roma, legato al Molise da vincoli affettivi, nonché partecipe del progetto Kalenarte sin dai primi passi, ha donato alla città Poker di stelle, intervento nella palazzina Liberty recentemente restaurata e sita in via Roma, il corso principale. L’edificio, presentante le tre grandi finestre del piano nobile cieche, a seguito dei lavori di consolidamento strutturale, ha presto attirato l’attenzione di Diodato, che ha voluto restituire a quel prezioso brano di architettura un poetico sguardo sul cielo, con lastre in alluminio lavorate seguendo la tecnica del calco, personale evoluzione del frottage e sua riconosciuta cifra stilistica, successivamente dipinte in blu oltremare e puntellate di piccole luci al led e stelle di color oro, argento, rosso e bianco.

La procedura del calco – com’è consueto nel lavoro di Diodato, ottenuta stendendo le lastre sulla pavimentazione urbana peculiare del territorio e battendo su di esse in maniera omogenea, per trarne a sbalzo la sagoma – è stata affrontata nel corso di un laboratorio con la partecipazione degli studenti delle scuole d’arte e dell’Università del Molise: una particolare reinterpretazione del ready-made, dunque, che diventa opera collettiva, gioco inscenato per catturare l’impronta della vita quotidiana, del normale andirivieni di una città, ed echeggiarne il suono.

La dimensione sonora è stata, ancora, punto di partenza dell’opera di Nélida Mendoza, coinvolgendo quella dimensione aggregativa che alla musica popolare è profondamente connaturata: titolo dell’intervento per Casacalenda è Straculatore/Sc_trecuelétóre, nome di un antico strumento a percussione che richiama, a sua volta, forma e consistenza della tavola dentellata un tempo utilizzata per lavare i panni. In un sentito racconto per le pagine del catalogo di Kalenarte, Mendoza – paraguayana d’origine, dagli anni Novanta residente in Italia e dal ‘96 Professore Ordinario di Scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Palermo – racchiude le sensazioni del primo approdo a Casacalenda: “Un’accoglienza, calorosa, silenziosa, senza tante parole”, scrive; “Abbiamo trovato solo alcuni abitanti, pochi, magari quelli giusti che mi hanno aiutato a costruire l’identità della città. Mi hanno trasmesso la loro passione, il loro ritmo periodico di vita, quella vita che segue i tempi della terra e del paesaggio, per fortuna mai modificato, anzi persistente come il suono del Bufù [antico strumento musicale locale, n.d.a.] così come quella dei sapori”. L’attenzione dell’artista viene attirata, per sguardi e racconti, dall’antico sito di Fonte Pompa, nel centro di Terravecchia: luogo di raccolta delle donne d’un tempo intorno alla fonte, con un affaccio mozzafiato sulla vallata circostante.

Nélida Mendoza, artista raffinata e sensibile alle tematiche della memoria e del racconto personale, semplice, che se condiviso –  donato agli altri –  diviene valore universale, immagina subito di contribuire a restituire all’antico sito il valore di punto d’aggregazione sociale; alle forme dello straculatore domestico associa ben volentieri il richiamo allo strumento musicale omonimo, assecondando in tal modo la personale ricerca artistica, che molto spesso sposa alla scultura, alla dimensione materica, la ricerca sul suono e sulle voci della natura. L’opera per Casacalenda riprende infine i materiali locali – la pietra usata per la pavimentazione cittadina e intorno ad essa lascia emergere ed esalta la natura, il verde del piccolo parco circostante la scultura, che introduce la vertigine del paesaggio antistante, rimarcando quel dialogo tra città e paesaggio, tra arte e natura, che di Kalenarte continua a essere vanto e nota fondamentale.

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Storica dell’arte, curatrice e critica freelance, dopo la Laurea Magistrale in Storia dell’arte contemporanea al DAMS di Palermo si è diplomata alla Scuola di Specializzazione di Siena con Enrico Crispolti, con un lavoro monografico sull’artista Francesco Simeti. Attualmente è cultrice di materia e dottoranda all’Università della Tuscia. Dal 2008 al 2012 ha assistito Sergio Troisi alla direzione artistica dell’Ente Mostra di Pittura Contemporanea “Città di Marsala”; ha collaborato con Riso – Museo d’Arte Contemporanea della Sicilia, con la GAM di Palermo e altre realtà pubbliche e private.

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