Lavori da vergognarsi, ovvero Il riscatto delle opere neglette. Ipotesi di retrospettiva. Contributo di Cesare Pietroiusti

Cesare Pietroiusti e Viviana Guadagno

Il contributo che segue, firmato da Cesare Pietroiusti, è connesso alla sua mostra, segnalata da Viviana Guadagno, Lavori da vergognarsi, ovvero Il riscatto delle opere neglette Una retrospettiva di Cesare Pietroiusti a Zoo Zone Art Forum, dal 27 aprile 2015, Via del Viminale 39, Roma (contatti: zoozoneroma@gmail.com), ma funziona anche sganciato da questa iniziativa. E’ linea di principio dell’autore, riflessione, affermazione, ipotesi di riconsiderazione dell’arte e dell’opera. Ve lo proponiamo integralmente.

Ho spesso pensato alla possibilità di fare della retrospettiva l’occasione in cui si rivisitano, si rivedono, le proprie opere fatte nel passato – non una ripetizione, bensì una situazione inedita o, in altre parole, una nuova opera.

E’ acclarato il fatto che ogni nuova installazione – anche della stessa opera – rappresenta inevitabilmente una diversa lettura, una diversa attribuzione di senso e, come dice Boris Groys, finanche “…(la riproduzione) acquisisce, attraverso l’installazione, l’aura, la vivente attualità e la dimensione storica dell’originale”(*). Ma tale attribuzione di senso non è assicurata poiché richiede comunque una forma e un’idea per ogni ricontestualizzazione retrospettiva, e resta la possibilità – che invece esiste sempre, per ogni gesto di un artista – che in una determinata mostra non si crei alcuna aura, alcuna energia vitale, alcuno spessore storico. Insomma il problema della mostra è sempre là, fortunatamente, e chiama l’artista a uno sforzo – di pensiero, di lavoro materiale, di organizzazione – perché una nuova installazione, seppure di opere vecchie, raggiunga, magari non l’ “illuminazione profana” (di cui parla lo stesso Groys), ma almeno un qualche significato critico.

Io sono pigro e, probabilmente anche in virtù di spinte motivazionali inconsce, trovo in genere il modo di realizzare opere o mostre facendo il minimo sforzo (di pensiero, di lavoro etc.). Una strategia del pigro è quella di creare corto-circuiti logici, a volte definiti “paradossi”, per far sì che l’analisi di un determinato problema si blocchi di fronte ad una situazione di indecidibilità, ovvero che il senso si produca, un po’ surrettiziamente, da sé, per una supposta vertigine conseguente alla mise en abyme, allo spontaneo rimbalzo, di due termini contraddittori, e non ci sia, di conseguenza, lavoro aggiuntivo da fare.

Per questa mostra ho pensato al paradosso di fare una retrospettiva di opere mai esposte e, dopo avere ipotizzato di esporre opere mai fatte o mai finite, opere che avrei voluto fare e non ho fatto, oggetti che potrebbero essere opere (o anche no), aggiustamenti di opere contenenti qualche errore, mi sono venuti in mente alcuni lavori che, effettivamente realizzati in passato per una certa mostra, non ho mai utilizzato perché, dopo averli fatti, mi sembrarono inadeguati, brutti, fuori contesto, oppure copie pedisseque di lavori di altri artisti. Lavori, insomma, di cui mi sono vergognato e che ho nascosto, e che oggi, per vari motivi, possono aspirare ad un riscatto. Un riscatto che potrebbe essere anche di quella parte del sé dell’artista che all’epoca ha dovuto comunque subire una censura – spesso sotto la forma dello spietato giudizio di qualche altra persona, intervenuta all’ultimo momento a smascherare l’inadeguatezza o la stupidità di un’opera o la imbarazzante somiglianza con un’opera già esistente.

Lavori da vergognarsi, ovvero Il riscatto delle opere neglette, pur partendo da un assunto semplice può porre problemi a loro modo indecidibili. Si tratta di una mostra presa “sotto gamba”? Sì, visto che l’artista non fa altro che tirar fuori qualcosa dai suoi sgabuzzini. Si tratta di una forma di dimostrazione che l’inedito è una categoria che ha più valore del valido? Forse, visto che opere sbagliate, cioè già giudicate prive di valore, potrebbero acquisirlo proprio in virtù del fatto di essere state una volta scartate e accantonate. Si tratta del tentativo di dimostrare che l’opera in assoluto bella o giusta non esiste? Forse, visto che io sospetto che l’artista qui in questione (sempre io) abbia, in fondo, basato la sua ricerca artistica, ovvero trovato l’energia che la muove e la determina, in un irrisolto conflitto contro l’opera d’arte, contro la sua ingombrante e parassitaria oggettualità, contro la sua esibitapretesa di sintetizzare l’assoluto. Un astio che, probabilmente, è il frutto distorto di un desiderio inibito di presenza dell’opera. Questa mostra afferma quel vergognoso desiderio, soddisfacendolo (ma anche ingannandolo) proprio con la presentazione delle meno legittimate fra tutte le opere, i lavori da vergognarsi.

(*) Boris Groys, Art in the Age of Biopolitics: from Artwork to Documentation, dal catalogo di Documenta 11, Kassel 2002 (traduzione C. P.)

+ ARTICOLI

La cultura della contemporaneità nelle sue molteplici declinazioni

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e statistici. Cliccando su "Accetta" autorizzi tutti i cookie. Cliccando su "Rifiuta" o sulla X rifiuterai tutti i cookie eccetto quelli necessari per il corretto funzionamento del sito. Cliccando su "Personalizza" è possibile selezionare quali cookie attivare.