What’s going on Istanbul. Arte mercato situazioni

Istanbul Modern

Incredibilmente mutevole ma perenne, Istanbul oggi, non è più solo una storicità persistente. E’ uno scenario contemporaneo in evoluzione, dove mainstream e underground si fondono in sostanza multiforme, conservando con consapevole tenacia intime tipicità identitarie. Esperienze artistiche localizzate o ibride, ardiscono ad una visibilità internazionale inedita per la Turchia, facendo della città una capitale della cultura. Punto di riferimento unico per l’intera nazione.

Inutile rimarcare il luogo comune secondo cui Istanbul può essere definita come controversa città di mezzo. La sua anima contraddittoria si manifesta fattualmente in un culturalismo popolaresco e religioso fortemente sentito, affiancato da una politica conservatrice. Al contempo, drasticamente orientata alla modernizzazione economica del paese. Ossia, una coesistenza di folklore e progresso. Di genuinità identitaria autarchica e vocazione alla competitività internazionale.

Volendo tentare la strutturazione di un commento al suo scenario artistico contemporaneo, la primissima sensazione che si avverte è in parte legata a questa bipolarità.

L’organismo artistico istanbuliota stesso, risulta geograficamente peculiare in tal senso. Manca un ponte di connettività tra le due aree della città. Nelle centrali zone di Tophane, Taksim – con il celebre Misir Apartment, su Istiklal Sreet, contenente sei delle più influenti gallerie private – e Nişantaşı hanno sede le entità più rinomate e market oriented. Mentre, uno scenario a sé stante e singolare, quasi di riservata autonomia, si sta formando nella parte asiatica della città. Specialmente nel quartiere di Yeldeğirmeni a Kadıköy. La street art inizia a popolarne le strette vie, dove hanno sede decine di atelier tra pittori, scultori e creativi vari nell’ambito di design, artigianato e arti plastiche.

La sua sembra essere una realtà speculare al modello europeo, fatta di istituzioni edificate su approcci espositivi e commerciali occidentali. Ne sono esempio lampante Contemporary Istanbul e Istanbul Biennial. Fiera annuale stabilita a partire dal 2006 la prima e, biennale d’arte contemporanea nata nel 1987 la seconda, che nel corso degli anni stanno acquisendo riconoscimenti e credibilità mondiali.

Parallelamente, l’attitudine diffusa si concretizza in un tentativo di valorizzazione degli artisti autoctoni. Palesando comunque, a seconda dei targets, una vocazione più o meno esterofila.

Cosi è possibile riscontrare facilmente come alcune tra le più note gallerie – ad esempio Rampa, Arter, Pilot, o Galeri Nev – annoverino tra il loro entourage quasi esclusivamente artisti turchi. A loro volta, spesso impegnati in una forte rivisitazione della propria cultura. Di conseguenza, ad essere presi di mira sono i costumi sociali. L’estetica conturbante della tradizione che si annida nei dettagli. La religiosità ostentata. L’approccio assolutistico del potere destroide. La rilettura sarcastica o tagliente del passato kemalista o della sua persistenza ideologica.

Commenta così Burçak Konukman, giovane direttore di Ipa (International Performance Association), una piattaforma internazionale dedicata alla performance art, nonché esso stesso performer:

“Istanbul è un meltingpot in via di sviluppo, una città che agevola lo scambio tra culture diverse. La nostra area geografica è molto più aperta se comparata al resto del Medio Oriente. Nonostante qui l’idea di sistema dell’arte sia qualcosa di completamente nuovo. Una pratica che ha iniziato ad essere concretamente visibile solo a partire da una decina d’anni fa, quando ancora il mercato delle gallerie e degli investimenti era praticamente inesistente. Il nostro scenario è attualmente definibile attraverso la similitudine di un bambino che sta cercando di mettersi in piedi da solo e dare sostanza a quello che ha da dire usando il linguaggio del contemporaneo. Credo che tra altri dieci anni lo scenario sarà profondamente mutato e, speriamo, maturato.”

Il clima in città appare dunque fervente. Più di 100 gallerie private hanno aperto i battenti a partire dalla storica data di fondazione di Maçka Sanat Galerisi, pioniera nel 1976, con un picco esponenziale nell’ultimo decennio.

Le due maggiori case d’asta europee, Christie’s e Sotheby’s, hanno avviato anche qui le loro filiali, dimostrando interesse per un mercato dell’arte appetibile ed in concreta espansione.

Si annovera anche una prima presenza conterranea con la galleria romana Russo (2014) e un circolo di attivisti del settore come il curatore dello spazio indipendente Pasajist, Giorgio Caione.

Sulla bocca degli addetti ai lavori rimbalza costantemente la coscienza di un fenomeno in esplosione. Iniziano ad intensificarsi i tentativi relazionali con altri paesi, sia da un punto di vista di accoglienza che di disposizione strategica su territori internazionali. Per cui, sempre di più sono gli artisti stranieri che decidono di stabilirsi produttivamente in città e, audacemente, alcune delle gallerie più promettenti iniziano a clonare le loro sedi all’estero. Come hanno fatto Galeri Artist e PI Artworks, rispettivamente a Berlino (2003) e Londra (2013).

Secondo Efe Korkut Kurt, direttore e co-fondatore di Alan Istanbul:

“L’obiettivo di Alan Istanbul è quello di funzionare da operazione ibrida tra gallerie commerciali standard e grandi musei e istituzioni artistiche, per preparare i nostri artisti e guidare la loro creazione a livello internazionale. Abbiamo intenzione di dare un contributo positivo alla circolazione dell’arte in città attraverso la realizzazione di mostre di grandi e medie dimensioni oltre a mostre personali. […] Abbiamo iniziato a collaborare con istituzioni e gallerie di risalto in tutto il mondo. Noi, in particolare intendiamo sviluppare i collegamenti tra New York e Istanbul. A questo proposito, distribuiamo la nostra rivista ‘Warhola’ su entrambe le città, redatta sia in turco che in inglese. Cerchiamo di aumentare il numero di queste relazioni e svilupparle ulteriormente.”

Non mancano del resto i sentori critici verso una rivoluzione che sembra in fine galleggiare autonoma all’interno di un establishment governativo che sa massivamente controllare, senza elargire un concreto supporto di mezzi e risorse. Ne deriva un’assenza totale di istituzioni pubbliche dedicate all’arte. Mentre sullo sfondo, aleggia una sorta di esclusivismo elitario. Come una sindrome da white cube, dove prezzi e concettualismo accessibile a pochi, mirano a ricreare un’atmosfera occidentalizzante.

Racconta ancora Konukman:

“Infatti, paradossalmente non ci sono spazi pubblici dedicati all’arte e gli artisti del luogo, potendo, tendono a scegliere la diaspora. L’istruzione non è saldamente costruita e non c’è funding. La legge generale di base sembra essere stabilita dalla caratteristica della vendibilità. Dunque dalla scelta degli acquirenti, che per logiche di acquistabilità prediligono le forme più classiche della pittura e della scultura a discapito della sperimentazione. Ad Istanbul, anche se scegli di essere indipendente sei comunque legato al loro sistema o comunque al sistema underground in sé. […] Poi, non esiste una stampa artistica concreta, eccetto alcuni esempi, come “Istanbul Unlimited” e “Art full living”, tra l’altro redatte solo in turco. La qualità generale dei servizi dedicati al settore è ancora scarsa e necessita tempo. All’estero, secondo la mia personale esperienza, la situazione è differente. Gli spazi artistici sono più numerosi e concepiti in endiadi con la quotidianità del cittadino che che è abituato a spenderci il suo tempo.”

Aggiunge Korkut Kurt:

“Il mercato dell’arte contemporanea in Turchia non dispone ancora di un sistema specifico. Il meccanismo funziona con l’aiuto di ingranaggi aggiuntivi. Le figure specializzate nel mercato sono insufficienti per quanto riguarda esperienza e conoscenza. I collezionisti sono generalmente nervosi. Da un punto di vista di investimento finanziario e culturale, né il valore dell’arte contemporanea è completamente compreso, né vie è un sistema ben funzionante è stabilito. Ma le cose stanno migliorando.”

Mentre afferma Sine Ergün, direttrice di Mau Mau, uno spazio espositivo indipendente dedicato alle residenze d’artista:

“Quello che sta succedendo è totalmente nuovo. Ancora dobbiamo afferrarne la consistenza specifica. Credo anzitutto di poter lamentare una mancanza a livello accademico e istituzionale. Poi vedo molta ripetitività nelle esperienze artistiche.Per esempio, il modo in cui supporta l’arte la più prestigiosa Accademia di Belle Arti Mimar Sinan, è affittare i suoi grandi spazi per eventi tipicamente commerciali e standardizzati. Poi non c’è supporto governativo. Si veda l’esempio di SantralIstanbul: quello che era un efficiente centro di ricerca e produzione artistica in mano alla Bilgi Üniversitesi, ha chiuso nel 2012 – dopo soli 5 anni di vita – per mancanza di fondi, vendendo la sua imponente collezione all’asta.

Nel privato, le banche hanno un ruolo attivo, si veda il museo Salt, in mano alla Garanti, che sebbene dimostri buona propositività, mantiene il cerchio chiuso sulle sue possibilità decisionali. Insomma i loro finanziamenti non volgono al supporto di altre entità o esperienze artistiche.

Devo ammettere che lo scenario artistico risulta ancora molto ristretto. Le persone che ruotano attorno agli eventi artistici sono spesso le stesse. E’ ancora un piccolo mondo e tutti si confrontano in una sorta di scambio confidenziale.”

Sono infatti istituzioni bancarie o grandi holding ad aver dato vita ad alcune delle più prestigiose istituzioni artistiche. Si pensi ad Akbank Sanat, o Yapı Kredi Kültür Sanat per le prime. Borusan Contemporary, Sabancı Museum, Koç che supporta Arter e Istanbul Biennial – nonché in procinto di inaugurare un ambizioso progetto con The Vehbi Koç Foundation Contemporary Art Collection (2017) – Siemens Sanat e Eczacibasi Group proprietaria di Istanbul Modern, per le seconde.

Infine, in mancanza di una posizione storico-artistica effettivamente valevole a livello globale, in termini di originalità o sperimentazione d’avanguardia, è come se il paese stesse per la prima volta guardando alla possibilità di autoaffermazione, partendo da un approccio introspettivo. Conclude Konukman:

“Credo che attualmente la nostra personale avanguardia si stia compiendo attraverso lo sviluppo e la diffusione di una nostra propria ‘parola culturale’ internazionale – al di sopra della scarsa qualità di informazione di cui si nutre il cittadino medio in Turchia. La vostra avanguardia rappresenta qui il nostro contemporaneo. I primi pionieri sono apparsi solo negli anni ’80, mentre in Occidente era già in atto un secolo di esperienze avanguardiste. Solo loro hanno permesso alla mia generazione di muovere fattualmente verso il contemporaneo. La performance art ed il concettuale aprono ad un ventaglio di molteplici aspetti ed approcci. Questo è ciò che stiamo imparando ora dall’Occidente. Nuove sfaccettature dalle quali anche gli artisti turchi possono trarre ispirazione.”

Info

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Laureata in Storia dell'Arte Contemporanea (2009) presso l'Università di Roma La Sapienza, consegue nella stessa la Laurea Magistrale in Curatore d'Arte Contemporanea (2010) con una tesi incentrata sui recenti sviluppi della Bio Arte, ed un'analisi storico - critica sull'uso di materiale organico/vivente da parte degli artisti contemporanei, con relative ripercussioni etico - sociali verso la consapevolezza del fruitore. Dal 2009 approfondisce la passione per la scrittura critico - giornalistica collaborando come pubblicista per una testata campana e vari giornali on line dedicati all'arte. Dopo varie esperienze curatoriali a Roma e Milano e collaborazioni presso musei pubblici e gallerie private, gestisce la direzione artistica presso un'agenzia di spettacolo, curandone la parte grafica e comunicazionale.

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