Intervista al fotoreporter Valerio Bispuri

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Valerio Bispuri, PACO - copyright Valerio Bispuri

Incontriamo Valerio Bispuri – tramite CAMERA 79, una nuova e giovane galleria al Centro di Roma (vicolo del Bologna 79) che alterna workshop ed inontri con professionisti a vernissage e moste fotografiche – al termine di una sua Masterclass dove spiega il suo modo di lavorare.

Classe 1971, Bispuri è uno dei più giovani fotoreporter italiani conosciuto e premiato anche all’estero. Si dedica alla fotografia dopo la laurea in lettere presso l’Università “La Sapienza” di Roma. Fotoreporter professionista dal 2001, collabora con numerose riviste italiane e straniere.

Ha realizzato reportage in Africa, Asia e Medio Oriente, ma è in America Latina che ha soprattutto vissuto e lavorato.
Il suo primo lavoro è dedicato al mondo Rom: entra in questa complessa realtà e visita i campi di Roma, Napoli, Bologna, fino ad arrivare, accompagnato dagli stessi Rom, negli sperduti villaggi della Bosnia.

Per dieci anni si è occupato di Encerrados, un progetto fotografico che mostra le condizioni di vita dei rinchiusi nelle carceri di tutti i paesi del continente latino-americano.

Questo reportage lo ha portato a visitare ben 74 istituti penitenziari, dalle carceri di massima sicurezza alle prigioni femminili, con l’obiettivo di raccontare la difficile realtà sociale di un intero continente. Encerrados ha viaggiato molto ed è stato esposto, tra gli altri, al Visa pour l’Image di Perpignan (2011), al Palazzo delle Esposizioni di Roma, all’Università di Ginevra, al Browse Festival di Berlino, al Bronx Documentary Center (BDC) di New York. Nel 2015 Encerrados è diventato un libro edito da Contrasto.

Nel 2015 Valerio ha terminato un altro lavoro durato tredici anni con cui denuncia la diffusione e gli effetti di una nuova droga a basso costo, il Paco, che sta uccidendo una generazione di giovani nei sobborghi delle metropoli sudamericane.

Il suo reportage Paco è stato esposto nel 2014 a Istanbul dalla Croce Verde Internazionale e nel 2016 al Visa pour l’Image di Perpignan, dove è arrivato finalista al Visa d’Or, il premio più prestigioso assegnato dal festival internazionale di fotogiornalismo. Una sdi queste foto chiudeva la mostra dei 100 artisti della Leica. L’ultima esposizione di questo lavoro si è da poco terminata al Museo di Roma in Trastevere.

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Valerio Bispuri

Recentemente Valerio ha intrapreso altri due progetti a lungo termine, uno dedicato agli istituti penitenziari italiani, diventando così il primo fotografo ad avere accesso all’interno di alcune delle carceri più antiche e affollate, tra cui Poggioreale (Napoli), Regina Coeli (Roma), Ucciardone (Palermo); il secondo riguarda le donne vittime della tratta in Argentina e si prefigge di denunciare questa piaga umana e sociale.

Collabora dal 2001, data in cui è diventato professionista, con numerose riviste sia italiane che straniere; le sue pubblicazioni gli sono valsi numerosi premi, il Sony World Photography Award del 2013( 1° posto) e poi una serie di secondi posti nei Days Japan International Photojournalism 2013 ed il Poy del 2014.

Chiediamo:

Masterclass, workshop, pubblicazioni e mostre come è cambiato il lavoro di fotoreporter?

BISPURI: “Da qualche anno è cambiato proprio il modo di concepire la fotografia, ed il fotogiornalismo; non si raccontano piu storie brevi ma si va su un racconto lungo per potere andare più a fondo su una storia da cui poi scaturirà un libro , una mostra e poi infine ma non necessariamente, un servizio giornalistico”.

 Il racconto parte quindi da una sua esigenza e sensibilità più che da una “commissione” ?

“Sicuramente i lavori partono da una mia esigenza, successivamente arriva l’idea di proporre ad un editore quella storia che volevo. Il mio approccio é molto più da un punto di vista antropologico, racconto l’umanità, cerco di dare voce a chi non ne ha.

I lavori durano per quello molti anni  c’è prima un lavoro di conoscenza dell’argomento, delle persone dei fatti, una volta che divento parte integrante del posto che quasi divento invisibile alle persone allora comincio a scattare.”

La scelta di diventare fotografo è partita sperando che diventasse il suo mestiere? O era già una sua passione?

“La Fotografia era gia una mia passione , io ero giornalista (scrivevo) e poi quello del fotoreporter è diventato il mio mestiere.”

 Quali sono i suoi artisti di riferimento?

 “Aver visto i lavori ed il modo di fotografare di James Natchway mi ha sicuramente dato una spinta in più ad usare il fotogiornalismo per raccontare le mie storie.”

ENCERRADOS e PACO le hanno portato i maggiori riconoscimenti dall stampa estera .Cosa la ha portato a scegliere il Sud America come realtà da raccontare ?

 “Ho vissuto per parecchi anni in Sud America , dieci  in Buenos Aires, per cui è stata la mia patria e poi c’erano molte realtà importanti da raccontare, il lavoro sui campi nomadi è partito da Roma ed ora mi sto occupando delle carceri nostrane e della condizione dei sordi in Italia.

 La cronaca e la “bella foto” hanno esigenze diverse ? E Quali?

“La cronca è più un raccontare gli avvenimenti mentre accadono sia guerra o un fatto avvenuto, con il reportage si vuole spiegare cosa c’è dietro a quell’evento e mentre scatto so che devo cercare l’equilibrio tra cio che vedo e ciò che sento , che vivo.

Lo scatto è molto istintivo il grande lavoro è poi quello di editing, di scelta.”

Passiamo ad un punto di vista squisitamente tecnico: sappiamo che lavora principalmente con un ottica molto ampia il 24mm; come mai questa scelta e come decide se usare  il colore o il bianco e nero per i suoi racconti?

“Trovo il 24mm la miglior ottica per stare dentro alla storia ( Se le vostre foto non sono abbastanza buone, non siete abbastanza vicino, diceva Robert Capa N.d.R.), per quanto riguarda il coloro o il bianco e nero la scelta non mai a priori ma sempre in fase di editing, comunque trovo che se si vuole maggiormente racconare l’ambiente allora uso il colore al contrario se voglio raccontare le persone il bianco e nero mi da più quel senso di intimità e fa concentrare più sulla persona.”

Infine in un incontro pubblico lo scrittore Maurizio DeAngelis ha detto che il racconto nasce dall’esigenza di esorcizzare la paura…, fin dai tempi delle storie narrate intorno al fuoco per farsi coraggio…; se sì, cosa vogliono esorcizzare i suoi racconti?

“Io racconto per una mia esigenza di far sapere le realtà meno conosciute , se ci sono paure sono del tutto inconscienti.”

Durante la Masterclass ha spiegato come il suo lavoro sia riuscito ad intervenire sulla realtà, come abbia in qualche modo portato alla luce un problema ma anche proponendo delle soluzioni,…: una giustizia?

“Forse non si può parlare proprio di giustizia ma resta sempre il voler raccontare per cambiare le situazioni difficili che ci sono nel mondo (dopo il lavoro di ENCERRADOS, Amnesty Internationa intervenne su alcune realtà delle carceri sudamericane N.d.R.).”

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Cameraman professionista e fotografo, mi dedico a foto di scena, eventi, musica. Backstage e book.

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