Polline per Sentieri d’arte terza edizione: Berti, Caretto/Spagna e Vivacqua

immagine per Polline Sentieri d’arte

Simone Berti, Caretto/Spagna, Jonathan Vivacqua
Polline
9 ottobre – 18 dicembre 2022
Comuni di Centro e Alta Valle Intelvi (CO)

Dopo I Giardini di Artemide, inaugurata lo scorso 23 luglio sulle Dolomiti Ampezzane con interventi site-specific di Margherita Morgantin, Italo Zuffi e T-yong Chung, prosegue la terza edizione di Sentieri d’arte, rassegna curata da Fulvio Chimento e Carlotta Minarelli, con Polline, un percorso espositivo allestito lungo le Prealpi lombarde dei Comuni di Centro e Alta Valle Intelvi, al confine tra Como e il Canton Ticino.

La mostra, che aprirà al pubblico domenica 9 ottobre alle ore 11 (partenza dal parcheggio Alpe Grande), vedrà intervenire gli artisti Simone Berti, Caretto/Spagna e Jonathan Vivacqua lungo un percorso ad anello che coinvolge il sentiero basso del Monte Generoso, il sentiero botanico di ERSAF e la strada agro-silvo-pastorale del Barco dei Montoni, passando per uno dei boschi di maggiociondolo tra i più estesi delle Alpi.

Polline rientra nelle iniziative del Progetto MARKS, realizzato a valere sul Programma di Cooperazione V-A Interreg Italia-Svizzera 2014/2020, progetto a cura di Regione Lombardia e Canton Ticino; l’operazione è cofinanziata dall’Unione Europea, Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, dallo Stato Italiano, dalla Confederazione elvetica e dai Cantoni.
Polline è organizzata da Lanzo Intelvi 1868 S.r.l. e Associazione CerchioStella, in collaborazione con Comunità Montana Lario Intelvese, ERSAF, Fondazione Karl Schmid, Consorzio Forestale Lario Intelvese, Museo e Giardino Botanico Villa Carlotta, e il patrocinio dei Comuni di Centro Valle e Alta Valle Intelvi.

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Caretto Spagna, Andrea, Calcare di Moltrasio, 2022, Valle Intelvi. ph. Andrea Caretto, Raffaella Spagna
Il polline è una sostanza apparentemente informe, trasportata da vento, acqua e correnti, che assume sembianza fisica di quello “spirito vitale” che i greci rintracciavano nella potenza del mondo naturale. Il titolo della mostra si riferisce quindi al reciproco scambio che si instaura tra le opere e il contesto naturale, in un dialogo continuo tra la dimensione artistica e quella spirituale della natura.

Il senso dell’arte, come il polline, è rintracciabile in ciò che si manifesta in modo impercettibile e aereo, afferrabile solo grazie a un impulso d’ispirazione estetica: arte come forma di “fecondazione” e di guarigione, che, tramite l’esercizio della sua pratica, determina una “dipendenza” in grado di porre l’esistenza al servizio di una volontà superiore.

Simone Berti ha ideato per la mostra due interventi denominati Senza titolo.

  • Il primo coinvolge il rapporto esistente tra arte e botanica attraverso l’utilizzo di due alberi di faggio che, crescendo insieme attraverso l’innesto dei loro rami (anastomosi), formeranno un portale-ingresso che, nel corso degli anni, diverrà sempre più visibile e strutturato, aprendo la via allo sguardo al paesaggio pre-alpino della Valle Intelvi.
    La seconda installazione vede la presenza di due grandi anelli dorati allestiti in modo speculare sul tronco di due alberi collocati ai lati del sentiero: il visitatore è quindi costretto a passarvi sotto, come per ricevere una benedizione da parte del regno vegetale. La simbologia dell’anello, legata al principio di eternità e immutabilità, si lega a quella dell’ingresso in un altro mondo.

Andrea Caretto e Raffaella Spagna realizzano due interventi di tipo scultoreo-installativo.

  • Il primo, Emissari, mette in evidenza la relazione tra la forma dei blocchi di roccia e i due principali agenti che hanno modellato questo territorio: l’antico ghiacciaio e i fiumi. Come pietre preziose, che brillano incastonate tra le radici di faggi monumentali, queste rocce raccontano storie di antiche profondità marine e terrestri, metamorfosi, trasporti ed erosioni.
    L’assemblaggio di rocce che formano l’opera Mostro Generoso attiva invece la percezione di una forma organica, di un’entità minerale perturbante. Nel cuore del bosco di maggiociondoli sembra riemergere dall’antica Tetide una mitica creatura proveniente dagli abissi, che sorveglia, custodisce e governa. Affiorando in superficie questa entità scruta l’ambiente circostante in modo silenzioso e attende il tempo nel quale gli umani saranno di nuovo in grado di recepire i suoi messaggi.

Jonathan Vivacqua ricorre spesso all’utilizzo di materiale proveniente da cantieri edili, che seleziona con cura personalmente per riutilizzarlo e ricollocarlo con fine estetizzante.

  • L’originalità del lavoro di Vivacqua risiede nella semplicità con cui assembla in modo sintetico materiali preesistenti, che possono essere considerati dei “ritrovamenti” non casuali, come nel caso degli interventi Metamorfosi e Tesoro. L’artista si misura con il paesaggio dell’Alpe Grande e del basso sentiero del Monte Generoso dando forma a due installazioni dal medesimo titolo, Scarabocchi, con sottile rimando alle funzioni presenti nei programmi di grafica, che permettono di intervenire attraverso il segno-colore su un’immagine digitale: in questo caso, ci troviamo di fronte a un “ritocco” effettuato su una “cartolina” di paesaggio.
    Il riferimento è ovviamente anche a quell’automatismo che si manifesta nello scrivere, quando la nostra mente è assorta in pensieri inconsapevoli, e disegni su carta vengono realizzati in modo quasi incosciente. Per “disegnare” il paesaggio, Vivacqua non si serve di una matita, di una penna o di un programma digitale, bensì utilizza il linguaggio a lui più consono della scultura e dell’installazione, generando un affascinante gioco metalinguistico.
Altro fattore che ha ispirato le opere di Simone Berti, Caretto Spagna, Jonathan Vivacqua, è rappresentato dall’approfondimento della poetica dell’artista svizzero Karl Schmid (1914-1998), che nel corso della sua esistenza, dedita alla produzione e all’insegnamento, ha collaborato con artisti del calibro di Jean Hans Arp, Max Bill, Oscar Kokoshka, e intellettuali come Walter Gropius e Joannes Itten, che nel 1944 gli conferì la cattedra di disegno scientifico nella Scuola di Arti Applicate di Zurigo (Kunstgewerbeschule).

La produzione di Karl Schmid, tesa a far emergere il valore spirituale dell’arte, costituisce uno spartito ideale da seguire per comprendere il senso della mostra Polline, che è costruita attraverso una serie di rimandi che prendono forma in un percorso site-specific in grado di legare in modo unico l’arte contemporanea alla storia e al contesto naturalistico della Valle Intelvi.
Proprio per valorizzare questa “contaminazione” il sentiero accoglie una scultura in ferro realizzata da Karl Schmid nel 1970. La scultura, Senza titolo, sembra essere composta da due mani in preghiera, che all’interno del proprio vuoto possono accogliere un seme, con riferimento alla forza con la quale la natura è in grado di perpetrare la propria vita.

Il territorio e il contesto storico-artistico

Polline nasce non solo con l’intento di integrarsi al paesaggio, ma anche di dialogare con le precise istanze culturali legate a questo territorio, caratterizzato da una certa vocazione al “transito”: durante il secondo conflitto mondiale, tra il 1943 e il 1945, è stato infatti attraversato da circa 20.000 persone: ebrei, partigiani, dissidenti politici, italiani che fuggivano alle persecuzioni del regime nazifascista, diretti in Svizzera. La presenza di forre e di canaloni con pendii ripidi e scoscesi, ha inoltre favorito il contrabbando nel secondo dopoguerra.

Dal punto di vista artistico, la zona è conosciuta per il proliferare già in età medievale dei “maestri comacini”, tra le più qualificate maestranze nella lavorazione dello stucco e della scagliola operanti al tempo in Italia. La Valle Intelvi ha inoltre dato i natali a Benedetto Antèlami, scultore e architetto di formazione provenzale, che costituisce una figura di riferimento nell’introduzione dell’arte gotica in Italia e anche nella scultura italiana del Duecento.

Le opere che compongono la mostra Polline sono fruibili con modalità libera lungo il sentiero per i prossimi cinque anni.

Simone Berti, Caretto Spagna, Jonathan Vivacqua
Polline

  • Per la rassegna Sentieri d’arte 2022
  • A cura di Fulvio Chimento e Carlotta Minarelli
  • 9 ottobre – 18 dicembre 2022
    Inaugurazione domenica 9 ottobre ore 11 (Parcheggio Alpe Grande)
  • Comuni di Centro Valle Intelvi e Alta Valle Intelvi
Informazioni per il pubblico

servizi@valleintelviturismo.it
valleintelviturismo.it
Tel. +39 375 7380671

Ufficio stampa

Irene Guzman irenegzm@gmail.com

Biografie artisti

Simone Berti (Adria, 1966), vive e lavora a Milano.

Dopo i seguenti studi: Accademia di Brera, Kingston University a Londra, Corso Superiore di Arti Visive alla Fondazione A. Ratti a Como con Joseph Kosuth, collabora ed espone, tra gli altri, con Schiavo Zoppelli Gallery (Milano), Galleria Massimo De Carlo (Milano), Galleria Sales (Roma), Analix Forever (Ginevra), Galleria Benedetta Spalletti – Vistamare (Pescara), Studio Geddes Franchetti (Roma).

Espone le sue opere in musei ed esposizioni internazionali: Fare Mondi / Making Worlds, 52ª Biennale Internazionale d’Arte di Venezia (2009), invitato dal direttore Daniel Birnbaum; Italics, MOCA Museum of Contemporary Art, Chicago, e Palazzo Grassi a Venezia, a cura di Francesco Bonami; Egofugal – 7ª Biennale di Istanbul, diretta da Yuko Hasegawa; Simone Berti Appunti di una generazione (2017), Museo MACRO di Roma; Viaggi da camera, Fondazione Nicola Trussardi (2020), Milano; Visioni per un Inventario (2014), Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia.

Tra il 1999 e il 2000 espone alla Whitechapel Art Gallery (Londra), al Museum of Contemporary Art (Chicago), all’Hammer Museum – UCLA (Los Angeles) nella mostra itinerante Examining Pictures, a cura di Francesco Bonami e Judith Nesbitt.
Nel 2000 è invitato a Borderline syndrome: Energies of Defense, Manifesta 3 – The European Nomadic Biennial, Ljubljana. Ha esposto il suo lavoro al MAXXI di Roma in occasione di Apocalittici Integrati. Nel 2008 alle Terme di Diocleziono a Roma prende parte a The Road to Contemporary Art / Cose mai viste, a cura di Achille Bonito Oliva.

Andrea Caretto (Torino, 1970) e Raffaella Spagna (Rivoli, 1967) sono laureti rispettivamente in scienze naturali e in architettura; collaborano stabilmente dal 2002 esponendo in istituzioni pubbliche e private.

Vivono e lavorano a Cambiano (To), esplorando il complesso intreccio di relazioni dal quale emergono le cose: le modalità di percezione dell’ambiente, i flussi e cicli della materia e la morfogenesi, le trasformazioni del paesaggio, la relazione selvatico/coltivato e i processi di domesticazione, i rapporti tra vivere/abitare/costruire.
Sono soci fondatori dell’associazione di artisti “Progetto Diogene” di Torino e della Fondazione Pianpicollo Selvatico, center for research in the arts and the sciences, Levice (Cn); collaborano con il Centro di Ricerca Interuniversitario IRIS (Istituto di Ricerche Interdisciplinari sulla Sostenibilità) delle Università di Torino, Brescia, Aosta e la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Torino; consulenti artistici per Munlab, Ecomuseo dell’argilla di Cambiano (TO).

Tra le istituzioni con cui hanno collaborato si ricordano: Assab One, Milano (2021); GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino (2012, 2018); Fondazione Spinola Banna per l’Arte, Poirino (2018); Bozar, Bruxelles, Belgio (2018); Fondazione Zegna, Trivero (2017, 2018); Cittadellarte – Fondazione Pistoletto, Biella (2015-2022); Treignac Project, Dumergue Vieux Pont, Francia (2018); ArtOxygen, Mumbai, India (2016); ICIA – The Arts Trust, Mumbai, India (2016); MAGA, Gallarate (2015); AIR Krems, Krems, Austria (2015); Fondazione Merz, Torino (2014); Domaine de Chamarande, Francia (2014); Museo Riso, Palermo (2014).

E ancora: Khoj International Artists, New Delhi, India (2012); CAP-Centre d’Art Plastiques, Saint-Fons, Francia (2011); art3, Valence, Francia (2011); Mudam Luxembourg Musée d’Art Moderne Grand-Duc Jean (2010); Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea (2005, 2009); Museo Marino Marini, Firenze (2006); MART, Rovereto (2008); Strozzina – Centro di Cultura Contemporanea Palazzo Strozzi, Firenze (2009); PAV – Parco d’Arte Vivente, Torino (2018, 2014, 2013, 2009, 2008, 2007, 2006); Museo d’Arte Contemporanea Villa Croce, Genova (2004); Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino (2002, 2003).

Jonathan Vivacqua (Erba, 1986), vive e lavora a Milano.

L’artista ha dimestichezza con differenti tecniche e materiali, e tra i linguaggi da lui maggiormente praticati si segnalano principalmente la scultura e l’installazione. Nella realizzazione dei suoi lavori ricorre spesso all’utilizzo di materiale di scarto proveniente da cantieri edili, che viene riutilizzato e contestualizzato con un fine estetizzante e ironico.

Il tema del lavoro nelle sue sfaccettature plurime, insieme a quello della “produttività” artistica, sono alcuni dei temi che maggiormente caratterizzano il suo operare, come esplicato nella sua recente mostra intitolata Lavoro Inutile alla White Noise Gallery di Roma (2021).

Tra le sue mostre personali si segnalano: Solo show (2020), White Noise Gallery, Roma; Ocean (2018), The Flat – Massimo Carasi Gallery, Milano; Guest #1 (2016), Ultrastudio, Pescara; Remigante (2014), Torre Medioevale di Corbetta, Milano; CR549 (2013), Museo di Casso, Pinerolo (TO); Il mio mezzo spazio (2013), Carrozzeria Margot, Milano.
Tra le mostre collettive più importanti ricordiamo: Waking dreams, 308 nulla è perduto (2019), a cura di Maria Abramenko, Milano; Toccati da un angelo (2018), The Flat – Massimo Carasi, Milano; The second night of calm (2017), curata da Christian Caliandro al Festival Veronetta, Verona; Matter Matters (2016), a cura di Claudia Contu, The Flat – Massimo Carasi, Milano.

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