Speak for yourself #2. Federica Boràgina, Giulia Brivio e la boîte delle meraviglie

Boîte. Scatola d'arte, di studi e di altri pensier

Continua il ciclo di interviste di Speak for yourself, rubrica sull’editoria autoprodotta e indipendente che invita a proseguire la discussione su un fenomeno culturale in continua crescita, in controtendenza alla crisi generale del settore editoriale, dando la parola agli stessi addetti che (co)operano nella produzione e nella promozione dell’oggetto libro.

Dopo l’intervista a Giuliana Tammaro, è la volta di boîte, associazione non profit fondata da Federica Boràgina e Giulia Brivio, due giovani curatrici ora impegnate a promuovere Interno Domestico, progetto editoriale pubblicato da Fortino Editions.

Dal 2009, Federica e Giulia seguono la realizzazione di boîte, magazine d’arte contemporanea contrassegnato da una linea editoriale molto originale – per l’approccio storico-critico dei contenuti e per la scelta di porre le pagine della rivista all’interno di una scatola di cartone – che fa di boîte un’eccezione rispetto a molte riviste d’arte indipendenti e autoprodotte che non sempre trovano un giusto equilibrio tra forma e contenuto.

Si parla tanto di crisi, di editoria e di crisi dell’editoria. Alle fiere del libro autoprodotto e indipendente, tuttavia, le proposte editoriali aumentano e il self-arranged continua ad avere successo. Qual è la vostra opinione in merito?

Nel caso dell’editoria è stata sicuramente la crisi a dare una spinta decisiva verso una nuova fioritura. Stiamo assistendo a una crescita nella produzione editoriale, digitale e cartacea, forse paragonabile a quella degli anni Settanta, quando il messaggio artistico e culturale veniva spesso veicolato da pubblicazioni autoprodotte e printed matter. L’offerta al momento supera la richiesta, ma grazie alle fiere e ai festival dedicati alla carta stampata lentamente il divario si sta riducendo. La mancanza di finanziamenti, la stampa digitale molto economica, il ritorno nostalgico a riproduzioni con fotocopiatrici o risograph, la disponibilità alla cooperazione tra professionisti dell’editoria, artisti e scrittori, facilitano e stimolano il self-publishing. Secondo noi, non è solo una questione di nuove tecnologie, dietro alla diffusione dell’editoria, a cui sempre più artisti si dedicano, c’è una esigenza di permanenza, di trascrizione della memoria, di tangibilità e di artigianalità, anche da parte di chi come noi scrive e vuole fermare il tempo sulla carta, un po’ più a lungo di quanto lo schermo o una mostra permettano.

Parliamo di boîte. Da quel che ho potuto vedere, il vostro è un progetto editoriale che gioca su versanti opposti. Sul lato contenutistico trattate argomenti di attualità, alternando approfondimenti di storia e critica dell’arte a interventi pratici da parte di artisti contemporanei. Non vi siete fermate al solo contenuto, perché boîte presenta un packaging in cartone che lo contraddistingue e lo rende un magazine di arte contemporanea atipico. Perchè questa scelta?

La scatola è un contenitore di storie, studi e pensieri sull’arte. È costituita da fogli non rilegati e ogni numero approfondisce un tema. Ciascun argomento è interrogato da più punti di vista, ognuno corrispondente a una rubrica. Metà numero è, appunto, tematico, l’altra metà propone riflessioni su argomenti per noi interessanti: il teatro, la critica ad esempio. Evitiamo un approccio cronachistico: sia perché crediamo che esista già una cospicua offerta in questa direzione, sia perché non avrebbe senso avendo una periodicità bimestrale e una scarsa puntualità. Diciamo di essere “stagionali” ma solo perché non-ci-sono-più-le-stagioni…

Mi piacerebbe parlare a proposito dell’opera duchampiana, Boîte-en-valise, che dà nome alla vostra associazione e all’omonimo periodico. La Scatola rappresenta un museo da viaggio e conferisce valore artistico al contenitore stesso – un oggetto che contiene oggetti  – facilmente fruibile e trasportabile. In boîte, il processo è il medesimo perché il contenitore-libro riserva una preziosa scoperta, unica per ciascun numero. Un magazine d’arte contemporanea può ancora divertirci divulgando l’arte e rendendola fruibile per tutti?

In realtà la nostra “fonte di ispirazione” non è stata la boîte-en-valise, ma la boîte verte, ossia una scatola in cui Duchamp raccolse i suoi appunti relativi a Il grande vetro. Studiando Duchamp, disorientate dalla stratificazione di contenuti che le sue opere nascondono, abbiamo letto quegli appunti, fiduciose e desiderose di comprendere meglio. In realtà, nonostante le ripetute letture, abbiamo incontrato moltissime difficoltà… Quegli scritti sono difficilissimi! In quel momento, divertite dall’incomprensione e al contempo affasciante dall’enigma, abbiamo scelto di creare boîte, proprio giocando sul ruolo che la parola “critica” può assumere accanto all’opera. Il nostro tentativo è di proporre degli spunti di riflessione, coscienti della complessa natura dell’arte. Il nostro è un invito a uno sguardo, un suggerimento che speriamo coinvolga il lettore, fino a spingerlo a riempire la scatola di cartone anche con altro, non solo con i nostri fogli. Scegliamo di dare una lettura storica, di far dialogare diverse generazioni di artisti e scegliere un linguaggio attento, specifico, ma lontano da retoriche inutili o dall’odiato critichese.

È stata una bella sfida e ora siete giunte all’undicesimo numero. Quale tema avete scelto per boîte #11?

A partire dal nono numero abbiamo deciso di scegliere un tema da sviluppare in due numeri, come fossero due facce della stessa medaglia. In questo caso, il “macro-tema” è il nascondimento: nell’undicesimo numero è stato il nascondimento dell’autore, ossia le identità nascoste, l’utilizzo di pseudonimi, di nomi  collettivi… Nel dodicesimo affronteremo, invece, il nascondimento dell’opera stessa.

È appena uscito il vostro secondo prodotto editoriale, Interno domestico, pubblicato da Fortino Editions. Intanto il periodico prosegue con una linea autogestita. Quali sono le difficoltà maggiori in un progetto di self-publishing?

Interno Domestico nasce da una lunga ricerca e volevamo che venisse diffusa ampiamente, per questo ci siamo ritrovate ad avere bisogno di una casa editrice. Fortino Editions, giovane casa editrice indipendente, si è subito appassionata al progetto e abbiamo condiviso ogni scelta per ottenere il risultato migliore, è stato un lavoro di squadra entusiasmante e pieno di soddisfazioni. Nella nostra breve esperienza, ci siamo accorte che difficilmente si riesce a instaurare un simile rapporto con le grandi case editrici.
Boîte, come giustamente scrivi, è un progetto autogestito, è al 100% self-published, quindi da un lato abbiamo la massima libertà editoriale, dall’altro dobbiamo occuparci di ogni aspetto del lavoro, dalla produzione alla diffusione, dai rapporti con il tipografo all’organizzazione delle presentazioni per poter distribuire i numeri. La difficoltà può essere che a volte queste attività rubano del tempo alla ricerca e alla stesura dei testi, ma sono necessarie perché le nostre scatole assorbano e trasmettano la nostra passione per quello che facciamo.

Ho notato che anche per boîte è possibile acquistare la versione digitale. Il vostro progetto si basa su una forte componente “artigianale” che, come abbiamo già detto, corrisponde al packaging in cartone piegato a mano, il gioco in scatola. La versione in digitale è priva di questo elemento fisico e ludico. Come mai avete aggiunto questa opzione? Che vantaggi si possono trarre dal mezzo tecnologico?

Non è esattamente così: boîte è cartacea, anzi “in scatola”. L’aspetto materiale e artigianale è centrale nell’identità del nostro progetto perché non è solo una scelta estetica, ma è una metafora del nostro approccio alla cultura. Occuparsi d’arte e di cultura in senso lato a volte è molto faticoso, richiede molto tempo, cura, attenzione… La nostra scelta di essere un oggetto, più che una rivista, di essere un po’ “scomodi”, non rilegati, mediamente ingombranti è un modo per invitare i nostri lettori a dedicarci tempo, a “leggerci-con-due-mani”. La versione digitale è gratuita e si può richiedere via mail: è pensata per condividere i contenuti con chi è interessato, a prescindere dalla volontà-possibilità di acquistare o meno la versione in scatola.

Nelle già citate fiere dell’editoria indipendente si vede una diffusione di proposte rivolte alle arti visive, ma è possibile trovare progetti che sconfinano nelle diverse discipline culturali (tra design, grafica e illustrazione). Data l’offerta così ampia, come si colloca un progetto di ricerca come il vostro che si occupa dell’arte secondo un approccio critico e più approfondito?

Ci siamo, infatti, poste la stessa domanda partecipando ai vari festival e fiere dell’editoria d’arte. Spesso ci sentiamo fuori luogo perché la maggior parte delle pubblicazioni si concentrano sul design, la fotografia o l’illustrazione. A noi interessano soprattutto i contenuti, la ricerca, la stesura del testo, però ci concediamo il lusso di aver cura dell’aspetto grafico, della forma, che crediamo sia indispensabile per rendere comprensibili ai lettori le nostre emozioni e i nostri pensieri.

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Mariacarla Auteri nasce a Caltagirone (CT), ma si trasferisce subito al Nord dove si diploma al Liceo Artistico di Bologna e si laurea in Progettazione e produzione delle arti visive presso l'Università IUAV di Venezia con una tesi sulla performance In search of the miraculous di Bas Jan Ader, estrapolando da essa possibili interpretazioni sull'esperienza estetica tra uomo e "territorio magico". Collabora attivamente con riviste d'arte contemporanea online, è autrice di diversi saggi e testi critici.

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