Gino Marotta: a sei mesi dalla scomparsa, un ricordo diverso… Il mio prof.

Detesto quando i giorni diventano date, quando iniziano abituali e rassicuranti trasformandosi poi a metà strada. Questo è successo ad un semplicissimo giorno di novembre 2012; un venerdì qualunque, con tutta stanchezza della settimana, delle ore di lavoro accumulate, delle scadenze… il sollievo per l’ avvicinarsi di Thanksgiving, del Natale e del ritorno a casa per le feste. Quel semplice 16 novembre, è invece diventato crudelmente, quasi maleducatamente, il 16 novembre 2012 perché il 16 novembre 2012 è morto il mio prof… il mio caro, sempre presente, fastidiosamente acuto prof.

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Online, sei mesi fa arrivò la notizia, veloce, durissima: “ è morto Gino Marotta, gigante dell’arte del ‘900”; “Gino Marotta uno di quelli che conquista il mondo da soli”; “tra i più importanti artisti del dopoguerra”. Tutto vero, nessuna esagerazione. Il prof. era un grandissimo artista: tenace e appassionato, brillante; che ne sapeva “una più del diavolo” come si diceva spesso, ma usando il verbo al tempo presente, con sfacciata ironia tra i suoi studenti. Sì: è stato  per molti anche e soprattutto un maestro. Marotta ha infatti insegnato per tantissimi anni cambiando la spina dorsale di molti. Capitare o scegliere di studiare con lui era un’esperienza che non poteva di certo lasciare inalterati.

Io scelsi di spostarmi nella sua cattedra nell’Accademia di Roma e lo seguii per 5 anni, iniziando anche a lavorare al fianco suo e di Isa per altri anni ancora. Con lui sono cresciuta, come si cresce con un padre. Un piccolo uomo brillante e brusco, sempre con qualcosa da raccontare o affermare.

A lui devo alcuni dei miei più intensi pianti e alcune delle mie più grasse risate. Grazie a lui conosco le parole di Sinisgalli, Manganelli, Delfini. Faccio tesoro di aneddoti unici su incontri e importanti momenti culturali. Ho scoperto dall’arte fiamminga a Flaiano, ho percorso i secoli e i linguaggi.

Il mio prof. amava la quotidianità: andare al mercato a fare la spesa, comprare cose buonissime, cucinare. Mi ha fatto assaporare per la prima volta formaggi strepitosi; ricordo il piacere con cui gustava anche un minuscolo pezzettino di bitto… quella sua divertente golosità.

Non era interessato invece a viaggiare e non voleva saperne di volare: diceva sempre che i suoi viaggi se li faceva nel suo studio, seduto comodamente.

Grazie a Gino Marotta so come dedicare del tempo prezioso ai ripetitivi riti di ogni giorno e a considerare come unico valore fondamentale la vita, nel suo scorrere. Mi ha regalato un po’ della sua curiosità, un po’ del suo cinismo e anche qualche deliziosa contraddizione. Mi ha affidato un metodo di lavoro da smontare, cambiare, ripensare. Un metodo infallibile che consiste nel dare sempre il meglio di noi con responsabilità ed entusiasmo. “Non esistono alibi e non esistono scuse”, diceva spesso.

In Accademia eravamo terrorizzati e galvanizzati: dovevi diventare forte, tenerlo a bada, ridimensionarlo, seguirlo, odiarlo. Era intristito spesso dalla scarsa vitalità dei giovani, quasi demoralizzato a tratti, ma non mollava e… non era “uno che te la mandava a dire”. Poteva offendere, arrabbiarsi e diventare dispettoso oppure trasformarsi in un compagno di esperimenti, scoperte e disquisizioni. Un insegnante presente, scomodo e impossibile da dimenticare anche per chi lo ha schivato e mai accettato fino in fondo. Ad alcuni studenti ha fatto un gran bene, ad altri meno.

A volte arrivava cantando ad alta voce: “superassorbente anche bagnato è resistente” (dalla pubblicità televisiva) e tutti ci domandavo che passasse per la testa di quel buffo uomo rotondo con vestiti dai colori spesso accesissimi.

Dava soprannomi a tutti, nessuno era al sicuro. Io diventai la “Principessa de Curtis” e quando gli chiesi come mai, mi rispose “E che ti vuoi chiamare de Altis?!” (la mia altezza non arriva ad un metro e sessanta)…

Non portava quasi nulla del suo lavoro in classe, non gli interessava parlare di lui come artista, gli interessava che noi imparassimo a disegnare e dipingere, tradizionalmente, realisticamente. Ci fece addirittura dipingere una pala d’altare, in gruppo. L’artista dei quadri realizzati con fiamma ossidrica, dei metacrilati, del bosco naturale-artificiale e dei meravigliosi e innovativi costumi di Salomè insegnava ai suoi ragazzi a disegnare e dipingere, secondo mestiere. Marotta riusciva a tenerci in classe, ore e ore e erano giornate meravigliose, magiche, entusiasmanti, almeno per me.

Il mio prof. mi ha regalato le lunghe passeggiate per il centro di Roma, il privilegio di vedere attraverso i suoi occhi una città che non c’è più. Grazie a lui so tanto e so come imparare oltre; ho capito che le relazioni contano molto più dei libri e delle scuole.

Il prof. diceva sempre che era stato fortunato perché aveva incrociato persone eccezionali che lo avevano aiutato a diventare quello che era.

Io mi sento fortunatissima per aver condiviso cosi tanto con lui.

Essere lontana fa male (Beatrice Scaccia vive e lavora attualmente a New York e affianca al suo essere artista la collaborazione come assistente di Jeff Koons, n.d.R.).

Mi ero illusa fosse immortale e lo è, in fondo, grazie alle sue opere e alla sua esemplare lezione, ma mi ferisce terribilmente non saperlo a passeggio, tra via del Corso e via di Ripetta, con le braccia dietro la schiena, le folte sopracciglia arricciate e una macchia di buon caffè sul naso.

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Beatrice Scaccia è artista visiva; a Roma, oltre ad esporre in gallerie private e spazi pubblici ha curato Laboratori d'Arte e si è occupata di un'Associazione Culturale in Piazza di Spagna che ha accolto workshop sull'Arte, incontri, dibattiti e Corsi.

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