Goethe, Søren, e Ragnar Kjartansson. Palais de Tokyo, Paris. Seul celui qui connait la désir

Ragnar Kjartansson: Seul celui qui connait le désir

E’ difficile ritracciare l’origine del concetto di Sehnsucht, quello stato d’animo tra nostalgia e mancanza che ha affascinato e sfibrato gli animi umani già da Orazio… Nonostante la difficile traduzione un po’ tutta l’arte ne è rimasta stregata;  negli ultimi venticinque anni  ve ne sono tracce anche nell’irriverente e dissacrante scena inglese dei  YBAs  (Young British Artist) giù per il filone archivistico che ha determinato anche  le due ultime Biennali di Venezia, dove però a differenza di quella curata da Massimiliano Gioni, in All the world’s futures di O. Enwezor,  il lato nostalgico è stato predominante.

Sehnsucht…

Al Palais de Tokyo a Parigi è in scena una rappresentazione proprio di questo stato d’animo.

La mostra Solo colui che conosce il desiderio di Ragnar Kjartansson, artista islandese già consolidato anche in Italia (Fondazione Sandretto Re Rebaudengo) si apre sulla sinistra della scalinata con un incipit di una frase presa da Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister (1795-1796) di  Wolfgang GoetheNur wer die Sehnsucht kennt Weiss, was ich leide!

Dall’altro lato la stessa frase tradotta in inglese, che è poi la canzone di Frank Sinatra del ’49: None but the lonely heart (can know my sadness). Una differenza sostanziale:  Longing diventa Lonely.  Anelare diventa solitudine. Questo sfasamento o appunto Différance, come direbbe Derrida, sarà il filo conduttore di tutta la mostra.

Si inizia camminando in mezzo a una selva di scenografie, props, di montagne e ghiacciai dipinti, sorrette da cantinelle in legno, pittura veloce e scenografica,  il richiamo alla vertigine della rappresentazione, a ciò che deve sembrare ma non è.  Quasi un incipit storiografico del sublime .

Poi una grande ricostruzione di una casa degli anni ‘50. Due piani, la camera da letto, il balconcino e le scale che portano alla piazzetta sottostante dove c’è una fontana. Per tutta la durata della mostra, ogni giorno, due attori si muovono all’interno di questi spazi, ogni venti minuti circa la giovane donna scende le scale con dei fiori in mano, sembra voglia prendere dell’acqua dalla fontana, un uomo le si avvicina e lei con gentilezza gli dice buongiorno.  Ricominciano.  Lo spazio che si apre davanti alla piazza ricostruita è occupato da numerosi schermi dove vengono proiettati dei video di Kjartansson. Dopo l’unica battuta dell’attrice – “bonjour” – ci si alza e si cammina tra queste quinte. Sono quinte di desiderio subito negate.

In una piccola piscina di una villetta c’è una donna (l’artista americana Elisabeth Peyton) che in loop fa le sue vasche, un cane al bordo la rincorre abbaiando, è eccitato, forse la vorrebbe raggiungere, però non si getta in acqua. In diagonale su un altro schermo vediamo quasi un remake di una scena di pittura impressionista; un tempietto o un gazebo, dei bambini biondi giocano, un pick nick, sembra un rimando a Renoir. Altra immagine: un’elegante coppia afro-americana cena in un ristorante di classe. Si va a cena e poi si fa sesso , ma in un altro video non in questo, questa volta nel letto c’è una coppia bianca.

Raggelante è la dialettica comunicativa che si crea tra i diversi lavori esposti ; dietro la presunta banalità della narrazione singolarizzata c’è la sintesi del concetto estetico di Kierkegaard.  l’uomo estetico del suo tempo aderisce e rivive perfettamente nella malinconica contemporaneità di queste immagini di desiderio standard.

Ciò che è qui ed ora,  trasmesso di continuo dalle proiezioni,  rimanda a quella vertigine di angoscia calmierata da una sintesi di stati d’animo accettabili e di buon senso, il tutto in una dureé da You-tube.

Non c’è forzatura aggressiva nell’immagine, non siamo davanti alla rivendicazione di identità ipertrofiche come nei video di Ryan Trecartin, è tutto piuttosto calmo, accettabile, come nel clip con l’orologio a pendolo in un interno con cane, dove la noia domestica sembra potersi tagliare con un coltello.

Il pensiero si sposta tra la banalità del convenzionale che riguarda tutti e l’incapacità di discernere. E’ come se fossimo davanti a un Kierkegaard senza peccato e a uno Schopenhauer senza più volere. Della sehnsucht goethiana che fa da incipit, rimane solo una canzonetta per altro storpiata.

Info mostra

  • Ragnar Kjartansson: Seul celui qui connait le désir
  • mostra personale
  • a cura di Julien Fronsacq
  • Palais de Tokyo, Parigi
  • 21 ottobre 2015 – 10 gennaio 2016
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Fabio Pinelli è laureato in semiologia dell’arte contemporanea con una tesi sulla prassi archivistica nella storia dell’arte tedesca da Aby Warburg a Gerhard Richter. Dal 2001 si occupa di visite culturali nei musei e gallerie di Roma nonché della stesura di contributi critici per periodici specializzati e alcune mostre di artisti contemporanei. Tra le più recenti: “Fuoriluogo” appuntamenti fuori dall’(h)-abitato.

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