Gilda Louise Aloisi a Interzone. Ed è subito Stardust, spontaneamente.

Gilda Aloisi

C’è chi si pianta lì di traverso tra apparenze deludenti e filosofie decadenti e non si smuove neanche con le ruspe, e chi invece con la massima spontaneità gira lo sguardo intorno nel suo around me e trova polvere d’oro, baluginii del senso della vita tanto intensi od incantevoli da essere presi come risposte o contrappesi alle intemperanze del destino. La fotografa Gilda Louise Aloisi appartiene alla seconda categoria e lo dimostra in generale con la sua attività di collezionista di attimi e in particolare con la recente mostra ad Interzone, intitolata Stardust, in cui ha esposto un’ampia collezione dei suoi scatti. L’artista interpreta una visione della fotografia come spontanea cattura di momenti pregni di intima bellezza, senza alcuna programmaticità ad intellettualizzare la ricerca. Piuttosto, di base c’è una poetica pulviscolare che attinge alla sostanza del cosmo: “We are literally made of stars… È questa un po’ la mia ispirazione…”

Nata a Roma nel 1983, si è laureata a Cambridge ed ha proseguito gli studi di fotografia in Inghilterra, completando un master alla University of Arts di Londra. È però dall’adolescenza che fotografa alternando ritratti, fotografia musicale e documentaristica e finendo così con l’accumulare una gran messe di ricordi, la cui qualità iconica è sicuramente tanto alta da renderli comunicativi in senso universale. D’altronde questo suo album senza fine non raccoglie solo frammenti di una sola vita ma spigolature di ambiti, mondi, strati, esperienze, periodi, tutti catturati, trattenuti e tramandati insieme con uno straordinario senso di intimità. In queste immagini affiora in modo naturale e prorompente una bellezza che può essere legata alla natura, alla metafisica suggerita di un cielo stellato, ma anche al dolore, occasionalmente, e tutto è sempre evidentemente vissuto due volte, cioè anche attraverso le lenti, strumento di analisi, di comprensione, che consente di non mentire mentre si cerca il riflesso della natura umana nelle proprie emozioni e nelle forme affascinanti in cui esse si lasciano apprezzare. Infatti, come sempre, la qualità rivelatoria dei fantasmi della vita sgorga sempre anche dalle scelte compiute e dalle conformazioni che luce ed ombra assumono grazie alla talentuosa attitudine dell’artista a catturare la composizione che magicamente si rivela perfetta.

Lorenzo Castore, fotografo e curatore della mostra nonché ex compagno dell’artista, insiste sullo spontaneismo della Aloisi, ma lasciando chiaramente intendere come questo derivi da una consapevolezza simil-zen inconfessata che le permette di usare le sue conoscenze tecniche e la sua sensibilità senza sovrastrutture:

“Gilda fotografa a suo dire incostantemente, lo fa soprattutto quando ne ha bisogno e voglia, non lo sa fare per calcolo o per razionale professionalità. Lo fa e basta, a suo modo e da circa 15 anni. Ha il talento di chi non ci pensa. Ad un certo punto vede qualcosa che vuole tenere e prova a prenderselo. È molto ben cosciente che le cose, le persone, i momenti sono un po’ come le nuvole di De Andrè…”

Nelle 66 pagine del magnifico catalogo prodotto da Interzone e da LUCE, il testo completo di Castore riporta per intero la citazione del cantautore genovese, contribuendo a rafforzare l’impressione di passione e leggerezza che accompagna il fare artistico di Gilda Louise Aloisi, che assorbe eccitata ciò che la vita le dispiega davanti ma poi con generosa avidità se ne appropria per sempre, impedendo che certi momenti fioriti appassiscano, che si sottraggano al nostro amore o alle nostre sensazioni avvolgenti. Come anche l’odio; ma “che poi alla fine non lo odiamo mai”, quell’attimo, ci tratteniamo noi dal farlo e abbiamo trattenuto lui, ci accompagna e, alla lunga, si spiega, ci dice qualcosa.

Troviamo così nel corpus di immagini la foto di uno scorcio di montagna con una parete rocciosa su cui si nebulizza il bianco dello scroscio di una cascata, appena intuibile, e sulla sinistra un ripido declivio sempre roccioso, rosa, ai piedi del quale sono neve e ghiaccio, in un’immagine d’una bellezza inaccessibile, incorniciata da rami di conifere. Seguono poi, lungo l’arco della sua produzione, come detto, e anche nella mostra ad Interzone, diversi ritratti quasi tutti molto ben definiti sia tecnicamente che psicologicamente: si va dalla donna dai lineamenti particolari che ci guarda con sguardo malinconico dal taglio nordico dei suoi occhi, al giovane skinhead (o giù di lì, chissà) visto di profilo mentre tiene tra le labbra una sigaretta molto sottile e mostra sul lato destro della faccia, a scendere dall’orecchio, la scolatura seccata di sangue frutto di qualche colluttazione, lui che, a torso nudo, volta lo sguardo verso lo sfondo grigio in cui si va a nascondere il tatuaggio sulla spalla sinistra. Un altro tipo, dall’apparenza essenziale e radicale per i capelli cortissimi ed il maglione scuro di cui si vede solo la chiusura lampo in mezzo, è inquadrato con un tono cromatico freddo e in penombra mentre abbassa lo sguardo con rassegnazione forzata trasformata in meditazione sulle durezze spigolose della vita.

Altri soggetti presumibilmente “antagonisti” sono effigiati in bianco e nero, in qualche caso con effetti di luce drammatici che evidenziano le superfici riflettenti e lisce del volto fino a sovresporle, mentre gli occhi sono incavi d’ombra da cui lo sguardo emerge appena, freddamente e orgogliosamente minaccioso. L’uomo anziano a braccia conserte e in camicia bianca ha uno sguardo severo forse anche con se stesso, ma i suoi occhi hanno una sofferenza vitrea e la luce di una finestra affacciata sul verde, alle spalle, e questo mette ordine e spiritualità nella sua postura. Accanto, nel catalogo, c’è infatti la foto che mostra un sole sfavillante ma lontano che filtra nel sottobosco illuminando una rosa solitaria che spunta da quello che si intuisce essere un basso cespuglio di rovi. E ancora: l’automobile con striscia bianca trasversale sul cofano ed il riflesso sul vetro che passa o forse è in sosta su una strada americana con palma e villetta sullo sfondo il cui cielo è solcato da un vago ramage di fili elettrici e rami di qualche albero da aiuola trova un corrispettivo “inside” nell’immagine, anche questa in bianco e nero, dell’interno di un’(altra?) automobile, visto dal sedile posteriore, dove si vedono gambe e braccia di donne sbracate sui sedili senza che si vedano i volti, e la sagoma di un uomo alla guida, forse in attesa che la pausa oziosa finisca o pronto a prolungarla all’infinito a costo di svuotare il serbatoio. Il giovane sott’acqua con gli occhi socchiusi è il volto onirico di un se stesso sospeso simbolico e intento all’esplorazione di qualche sottomondo, e respirando col naso materializza un gruppo di bolle d’aria che sale passandogli davanti come gorgoglii di vita i quali affermano un’esistenza che si mette alla prova in esperimenti cheap dal valore soggettivo ozioso e inestimabile. La donna bionda che dall’amaca sospesa si volge verso la fotocamera con una lieve e perplessa ostilità è al centro di una striscia, nella composizione, che è l’amaca stessa e che attraversa linearmente il fotogramma aggiungendo la tensione morbida della “cuccia” sospesa al prato sgombro con la cinta di alberi del boschetto in alto: costruzione geometrica di apparentemente facile costruzione e sicuro effetto.

Decisamente alla Castore il magnifico scatto sull’amico dell’artista Aloisi giocosamente attaccato alle spalle – costrette a piegarsi un po’ – da un enorme, atletico cagnolone, in un cortile disadorno cui la foto contrastata in un bianco e nero intenso e misterioso, conferisce un’aura materica da filmico ghetto di periferia: bellissimo! Ricca di spirito decadente contemporaneo la foto che mostra un uomo rasato sdraiato su un letto con coperte multicolori zebrate o a righine su cui lui è riverso con la testa ed un braccio che sporgono in stato di abbandono oltre i piedi del letto stesso, e la scena è illuminata da una luce che arriva di taglio a dare un carattere da gangsta rap al disordine. In un autoritratto in primo piano il volto della fotografa appare tumefatto soprattutto ad un occhio dopo essere stata picchiata, e lo sguardo offeso diretto in camera dimostra col relativo pallore e i capelli sciolti un’attitudine alla resilienza che dà da discutere a chi osserva. Analogamente, il volto di un altro uomo a torso nudo che si prende la faccia tra le mani in segno di disperazione distorcendosi i lineamenti in modo da mostrare il bianco degli occhi e una scritta tatuata all’interno del labbro inferiore esprime un corrucciamento tanto drammatico quanto grottesco, come di chi considera qualche piega punitiva del destino e non esita ad imbruttirsi per rappresentare in modo tangibile lo stravolgimento che ne deriva. Interessante anche una robusta accoppiata proposta anch’essa nel catalogo, tra la foto che mostra un muro con un’antiestetica scritta graffitata che recita “Arma la tua anima” più altri segni meno chiari, tra rosso e nero, sul bianco sporco del muro che fa pensare all’Art Brut, e l’immagine sacrale ma disperata di un uomo che è posto davanti al muro interno presumibilmente di una chiesa e con il braccio destro alzato si appoggia ad una grande croce cristiana che prende forma in alto, a qualche spanna da lui, sovrastata a sua volta da un rilievo in marmo a forma di pergamena che riporta una inintellegibile scritta in latino ecclesiastico, immagine questa che evoca sensi di oppressione che non accettano di buon grado il confronto con la sfera chiesastica del divino eppure occasionalmente cercano con essa uno scontro che sia esorcizzante ed espiativo, un po’ come ne “Il cattivo tenente” di Abel Ferrara.

Una foto eterea e potente che affronta sia l’ineffabilità del mondo sia le suggestioni che vanno oltre le apparenze sensibili è quella in bianco e nero che ci mostra dall’alto un banco di nuvole che si estende indefinitamente, increspato a suggerire un paesaggio ulteriore; questo scatto dev’essere stato realizzato ovviamente in aereo ma osservandolo si pensa ad altro e si medita sui diversi stati e strati dell’esistente. Chiuderei con un altro paio di fotografie che tramandano anch’esse un senso di metafisica, ma più vicino alla nostra esperienza di osservatori e sognatori: l’inquadratura odorosa di muschio e tremolante di soffi ventosi insinuanti che ci pone davanti agli alberi, non visti nella loro interezza, di qualche bosco isolato, con in evidenza le due note più nette di colore delle fronde, giallo-verdi e, accanto, rossicce, che invitano ad un silenzio gravido di una giusta paura o di una attesa di ore rivelatrici soffiate dalla Natura più segreta; l’altra foto, ideale complemento di questa, mostra un uomo che si pone come incrocio tra una meridiana misuratrice di equilibri ed uno spaventapasseri, caricatura consapevole dell’Esistenza Assoluta, in piedi a braccia spalancate e larghe  in un prato, con un po’ di vegetazione ai lati, ad una certa distanza, di notte, mentre l’ampio spazio lasciato al cielo apre alla promessa dell’irruzione del Meraviglioso, che invece probabilmente resterà solo un arcipelago di stelle, piccoli e lontanissimi numi tutelari della nostra sensibilità per l’incanto psichedelico sottile: il riflesso di luce che bacia infatti la testa della figura incidendola ma senza renderla riconoscibile sembra rassicurare sul fatto che la magia può lambirci e che la fotografia è lì a testimoniarlo rilanciando verso l’eterno la nostra forse non del tutto insignificante partecipazione.

Stardust, di GILDA LOUISE ALOISI

  • a cura di Lorenzo Castore
  • in mostra alla galleria Interzone di Via Avellino
  • 1.04.2016 | 29.04.2016

In occasione dell’inaugurazione della mostra è stato presentato il sesto di una serie di poster da collezione in tiratura limitata, prodotti da Interzone insieme a LUCE. Il poster è stato realizzato a partire da una delle foto di Gilda Louise Aloisi. LUCE è un collettivo che si occupa di fotografia declinandola a diversi livelli. I poster da collezione, firmati ed in tiratura limitata, fanno parte di una serie di produzioni che nascono dall’incontro tra la fotografia e altre discipline artistiche. [http://www.luce.works/]

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il7 - Marco Settembre, laureato cum laude in Sociologia ad indirizzo comunicazione con una tesi su cinema sperimentale e videoarte, accanto all'attività giornalistica da pubblicista (arte, musica, cinema) mantiene pervicacemente la sua dimensione da artistoide, come documentato negli anni dal suo impegno nella pittura (decennale), nella grafica pubblicitaria, nella videoarte, nella fotografia (fa parte delle scuderie della Galleria Gallerati). Nel 1997 è risultato tra i vincitori del concorso comunale L'Arte a Roma e perciò potè presentare una videoinstallazione post-apocalittica nei locali dell'ex mattatoio di Testaccio; da allora alcuni suoi video sono nell'archivio del MACRO di Via Reggio Emilia. Come scrittore, ha pubblicato il libro fotografico "Esterno, giorno" (Edilet, 2011), l'antologia avantpop "Elucubrazioni a buffo!" (Edilet, 2015) e "Ritorno A Locus Solus" (Le Edizioni del Collage di 'Patafisica, 2018). Dal 2017 è Di-Rettore del Decollàge romano di 'Patafisica. Ha pubblicato anche alcuni scritti "obliqui" nel Catalogo del Loverismo (I e II) intorno al 2011, sei racconti nell'antologia "Racconti di Traslochi ad Arte" (Associazione Traslochi ad Arte e Ilmiolibro.it, 2012), uno nell'antologia "Oltre il confine", sul tema delle migrazioni (Prospero Editore, 2019) ed un contributo saggistico su Alfred Jarry nel "13° Quaderno di 'Patafisica". È presente con un'anteprima del suo romanzo sperimentale Progetto NO all'interno del numero 7 della rivista italo-americana di cultura underground NIGHT Italia di Marco Fioramanti. Il fantascientifico, grottesco e cyberpunk Progetto NO, presentato da il7 già in diversi readings performativi e classificatosi 2° al concorso MArte Live sezione letteratura, nel 2010, è in corso di revisione; sarà un volume di più di 500 pagine. Collabora con la galleria Ospizio Giovani Artisti, presso cui ha partecipato a sei mostre esponendo ogni volta una sua opera fotografica a tema correlata all'episodio tratto dal suo Progetto NO che contestualmente legge nel suo rituale reading performativo delle 7 di sera, al vernissage della mostra. ll il7 ha quasi pronti altri due romanzi ed una nuova antologia. Ha fatto suo il motto gramsciano "pessimismo della ragione e ottimismo della volontà", ed ha un profilo da outsider discreto!

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