Giovanni De Angelis: Uno sguardo duplice. Contributo di Laura Cherubini

Fino al 3 settembre 2017, il MACRO – Museo d’Arte Contemporanea Roma ospita la mostra di Giovanni De Angelis ART REWIND #1
Tutto il lavoro di Giovanni De Angelis ruota intorno al tema del doppio.
In molte sue fotografie ritrae coppie di gemelli.
Anche questa serie di ritratti di artisti è basata sul doppio, lavorando su coppie di immagini o sul doppio in qualche modo implicito nella stessa foto.

Questo mio testo sul lavoro di De Angelis parte da un’omaggio ad Annemarie Sauzeau e ad Alighiero Boetti. Annemarie Sauzeau nel maggio 1978 aveva curato con Giovan Battista Salerno un ciclo di mostre alla galleria La Salita di Roma. Le mostre presentavano artisti in coppia, Lisa Montessori e Francesco Clemente, Berty Skuber e Alighiero Boetti, Amalia Del Ponte e Sandro Chia, Jole De Freitas e Luciano Fabro. Inoltre una coppia maschile/femminile era costituita anche dal “doppio” dei curatori. Il titolo era Pas de deux, un’espressione francese usata nella danza classica per indicare un momento del balletto eseguito da una coppia maschile/ femminile. Il più famoso Pas de deux è quello cosiddetto del Cigno nero nel terzo atto de Il lago dei cigni (nella coreografia di Marius Petipa, con la variazione di Odile creata per la ballerina Pierina Legnani). Altri celebri passi a due sono nel secondo atto de Lo Schiaccianoci e nel terzo de La Bella Addormentata. In questo passo i corpi dei ballerini disegnano ritmiche figure assecondando il tempo musicale, coniugano la diversità in armonia, sono un’antitesi che raggiunge una ideale sintesi. Ma nella lingua francese (quella della curatrice) Pas des deux può avere anche un altro significato. Non c’è due. Non può mai esserci due, l’uno è irriducibile, ha un nucleo d’identità resistente, che si tratti di un’opera, di un artista, di un uomo o di una donna. Niente due.

Alighiero e Boetti, doppio anche nel nome, ha posto tutta la sua opera sotto questo segno della duplicità e dei Gemelli sin da quel giorno in cui a Corso Peschiera a Torino Alighiero prende per mano Boetti. Uguali, ma diversi, uno è Alighiero e l’altro Boetti. Annemarie aveva riferito che Alighiero stesso aveva apportato piccole modifiche alla foto (usata per farne 50 cartoline), per scalfire l’identità assoluta dei due personaggi. Gemelli, ma disidentici.

Il tema percorre tutto il lavoro di Alighiero, ma c’è un’altra opera in particolare in cui la gemellarità è messa a fuoco. Scrivono Bice Curiger e Jacqueline Burckhardt (ancora un significativo “doppio”) a proposito dell’edizione realizzata per il n. 24 della rivista “Parkett”: “Per questo lavoro Boetti si servì della rivista Newsweek che esce in due versioni, una per il mercato americano, e l’altra per quello internazionale. Su entrambe le copertine si vedono, leggermente diverse tra di loro e sopraddisegnate da due diverse persone, le immagini di due bambini, due gemelli. Le cento pagine della rivista stampata Boetti le congiunge immaginariamente tra di loro attraverso una colonna vertebrale rossa, una scanalatura di colore, che su ogni pagina, come una traccia originaria, ne proclama l’unicità” (Anno 1988 in Alighiero e Boetti 1965-1991, cit., p. 118). Il rosso era il colore di Alighiero.

Fermiamoci qui, ma vedremo che anche la traccia rossa costituirà una sorprendente analogia.

Ritratti o no?

La fotografia stessa è un doppio gemellare della realtà, ma è un doppio strabico e mai veramente speculare. Questa sembra essere la linea seguita da Giovanni de Angelis nel su percorso di lavoro, in particolare nei lavori sui gemelli e in questa serie di ritratti di artisti.

Giovanni De Angelis è nato nel 1969 a Napoli e vive a Roma dal 1992.

E’ interessato ai fenomeni che riguardano la sua generazione, proprio quella degli artisti che ritrae, da quelli che hanno la sua stessa età o poco più grandi fino ai più giovani. Quando per esempio, dopo aver indagato le grandi metropoli dell’India e del Giappone, va a fotografare Tel Aviv, città che vive grandi e drammatiche contraddizioni, cerca di cogliere più momenti collettivi che i segni del conflitto. In Contemporary District   2 inizia con vedute dall’alto della città di cui coglie le pulsazioni luminose, come un invito a entrare nella città. Ma poi passa, come se allo sguardo dall’alto si sostituisse uno zoom, a fotografare “ragazzi e ragazze colti in momenti di socialità” (Claudio Libero Pisano). Coglie uno sguardo, un abbraccio, un momento di tenerezza, con la “voglia di affrontare la quotidianità con la leggerezza e la vitalità estreme, proprie della giovinezza” (Pisano). Per Fabio De Chirico le foto di De Angelis non sono mai statiche, ma tentano disperatamente di catturare il movimento. Proprio per questo “i suoi personaggi non sono mai ritratti, ma sono al centro di un continuo mutare, di un continuo accadere” (Fabio De Chirico). Anche i suoi ritratti di artisti sono ritratti e non lo sono, traccia di un’azione in perpetuo divenire.

Il ritratto vive il suo momento d’oro nel Cinquecento per poi attraversare tutta la storia della pittura. Pare che Rembrandt dicesse di dipingere solo ritratti e che allo stesso Matisse piacesse ripetere questa frase. Diceva Hegel che tutta la pittura tende al ritratto. Per Charles Baudelaire il ritrattista deve guardare quel che si vede, ma anche indovinare quel che si nasconde. Per lui sia gesti che vesti devono servire a far emergere in superficie il carattere. Il ritratto sembra cogliere contemporaneamente l’interiorità e l’esteriorità del soggetto in quanto è una rappresentazione dell’essere-nel-mondo del personaggio. In qualunque modo il ritratto sembra trovare la sua essenza nella posa che osa fermare l’attimo fuggente. In questo senso i ritratti di De Angelis contravvengono a ogni regola della ritrattistica proprio perché contraddicono l’illusione della posa. Resta la messa a fuoco del personaggio ritratto, ma attraverso il meccanismo opposto dell’azione. Inoltre, nel caso di questi ritratti di artisti, la messa a fuoco si raggiunge attraverso oggetti significanti, ma tanto l’azione, quanto l’oggetto esibito hanno a che fare con l’opera dell’artista più che con la sua psicologia, indicano e veicolano una identità più che psichica artistica.

Ritratti di cose e di luoghi

ICKU è una serie di fotografie di Giovanni De Angelis che prende il titolo dalla frase “I Can Kill You” che compara doppi ritratti di giovani abitanti della capitale della Lettonia, Riga, che in una delle due immagini impugnano una pistola che sembra mirare contro lo spettatore. Darta Lote Berzina ci punta la pistola contro, poi va tranquillamente a cucinare. Ronald Gails è tra attrezzature sportive, Sinja Niklase tra le bottiglie, Amanda Boka tra attrezzi e strumenti cinematografici. Costanza Paissan legge l’acronimo del titolo facendo corrispondere a ogni parola un concetto: I come identità; C come libertà e potere; K come violenza; U come relazione con l’altro riconoscendo proprio in quest’ultimo concetto un tratto fondamentale dell’opera di De Angelis. In questo caso anche gli oggetti sono doppi: uno diverso per ogni persona ritratta e uno, la pistola, uguale per tutti. Attraverso questo oggetto, quasi un minimo comun denominatore, può stabilirsi una comparazione. Ma soprattutto attraverso questi oggetti De Angelis può lavorare alla costruzione di comunità temporanee, unificate dal medesimo meccanismo utilizzato per ritrarre i singoli. Anche qui come a Tel Aviv, a Varsavia, a Tokyo lo sguardo etno-antropologico del fotografo è sempre rivolto alle giovani generazioni.

Santralistanbul è il titolo di un progetto che raccoglie foto della prima centrale elettrica dell’Impero Ottomano (la ex centrale che alimentava tanto la rete del Palazzo del Sultano che quella dei tram, in seguito diventata sede dell’Università, del Museo d’Arte Moderna, del Museo dell’Elettricità e della Biblioteca) poi presentate installate nel Resort di Antonello Colonna a Labico a cura di Raffaele Gavarro, che identifica in De Angelis un’idea installativa e tridimensionale della fotografia.

Lo sguardo sociale e antropologico

Lavorando sul tema della gemellarità, dell’identità e del rapporto con l’altro è a un certo punto logico e quasi naturale per De Angelis partire per la “terra dei gemelli” in Brasile. “Candido Godoi è una comunità contadina abitata da un’enclave di famiglie di origine tedesca e polacca nella quale si riscontra uno dei tassi più alti di parti gemellari (pari al 10 % delle nascite, di cui il 30% di omozigoti). Questa anomalia, come ha raccontato lo scrittore Jorge Camarasa, sembra risalire agli esperimenti del medico tedesco Joseph Mengele, il quale dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale effettuò nel villaggio una serie di ricerche con lo scopo di stabilire i criteri di determinazione di una razza superiore” scrive Costanza Paissan che sottolinea come invece Giovanni De Angelis si muova oltre questa dimensione per andare verso un vero e proprio “racconto di formazione” in cui si tende a sfuggire alla condizione di solitudine tipica dell’uomo. Nell’allestimento il fotografo espone anche i pedigree genetici. De Angelis guarda le coppie cercando di mettere in luce l’unicità dei singoli. “E’ infatti negli occhi delle persone ritratte che vibra l’energia di una costruzione del sé, separato, distinto e unico rispetto all’altro” (Paissan). Al di là degli orribili esperimenti di Mengele (iniziati ad Auschwitz e proseguiti in Sudamerica dal terribile “dottor Morte”), i gemelli sono oggetto di numerosi studi, perché rappresentano l’unico caso di identità genetica umana naturale e quindi il punto di discrimine tra l’influenza dell’ambiente e quella del patrimonio genetico sul comportamento dell’uomo.

In biologia i gemelli sono gli individui nati insieme dalla stessa madre, anche se non nello stesso istante. I gemelli monozigoti (quelli a cui dedica la sua attenzione Giovanni De Angelis) sono anche chiamati monovulari perché derivano da una singola cellula uovo fecondata da uno spermatozoo. Durante le prime fasi della moltiplicazione cellulare avviene la separazione dell’unica massa di cellule in due masse più piccole, le morule. I due gemelli, che in alcuni casi avranno addirittura condiviso la stessa placenta, saranno dello stesso sesso e presenteranno una forte somiglianza. Avranno infatti gli stessi caratteri somatici e anche lo stesso gruppo sanguigno. Sono individui distinti, ma condividono il DNA. Pur avendo origine da un evento casuale, possiedono il medesimo patrimonio genetico e vengono dunque supposti, e a volte anche denominati identici.

Come abbiamo visto l’operazione fotografica di Giovanni De Angelis cerca di minare l’assoluta identità dei gemelli, di mettere a fuoco i tratti distintivi di ognuno di loro. De Angelis fotografa molte altre coppie di gemelli oltre quelle di Candido Godoi, sempre evidenziando differenze più che ripetizioni, dissimiglianze più che similarità, scarti più che sovrapposizioni.

Il segno zodiacale dei gemelli incarna il mito di Castore e Polluce e indica questa verità: sotto un’identica apparenza si cela una profonda disparità. Castore è mortale e l’immortale Polluce sceglie di condividere il destino con il fratello quando quest’ultimo viene ucciso: passeranno infatti insieme sei mesi sulla terra e sei mesi nell’Ade. Tra mortalità e immortalità passa una differenza tanto grande e sostanziale che può essere superata solo dal grande amore fraterno.

Con gli artisti in atelier e/o en plein air

Per questa serie di ritratti di artisti Giovanni De Angelis non sceglie di eseguire uno scatto classico. Cerca invece di individuare nell’opera dell’artista i processi del lavoro e all’interno dello studio gli oggetti più significativi. Sono oggetti che fanno parte del paesaggio dello studio. A quel punto la fotografia si concentra su un’azione, anzi su una microazione che però riconduce sempre al lavoro. De Angelis chiede agli artisti di eseguire una piccola azione, di offrirla. Poi la dirige come un regista, in un continuo via vai tra il set e la macchina fotografica. Ogni foto è un’interpretazione del lavoro dell’artista.

In the Ice è il titolo della foto di Angelo Bellobono con un blocco di finto ghiaccio: in questo caso il doppio consiste in un particolare. Berti di Montefeltro è l’immagine di Simone Berti che sembra entrare in un suo quadro in cui replica il ritratto raffaellesco dei duchi di Urbino, Battista Sforza e Federico di Montefeltro dotandoli di appendici che sembrano fare da corona al capo dell’artista. In un’altra foto lo stesso artista sembra sollevare l’immagine di Paolina Borghese/ Ermafrodita. Luca Bertolo si definisce “operaio dell’arte”, appare dunque in tuta da lavoro (The art worker). Il suo è un doppio lievemente sfasato, mentre tiene in mano un catalogo di Boetti. Goldschmied & Chiari sono avvolte nelle nebbie dei fumogeni che utilizzano nei loro lavori (Mr. Smoke). Gianluca Concialdi si nasconde dietro la linea d’orizzonte della sua scultura in paglia (The Art Discoverer). Alberto Di Fabio (Higgs Boson Energy) ha visto nella linea rossa una delle linee di forza che si crea nell’esplosione del bosone di Higgs e che abitano la sua opera. Nella prima immagine avverte l’energia e nella seconda si protende verso di essa. Stanislao De Giugno in My snake indossa un suo lavoro. Di Davide Dormino (uno degli artisti da cui il progetto ha preso avvio) vediamo un ritratto intenso e un atletico salto (Jumping Clara). Flavio Favelli appare all’interno della sua installazione In the Hotel S. Giorgio tra velluti, libri illuminati e pavimento decorato.La foto di Francesca Grilli è stata scattata alla Discoteca di Stato tra due grammofoni: di fronte mentre ascolta e di profilo mentre si espone all’onda sonora. Emiliano Maggi compie atti performativi in abiti da strega (Witch Philosophy). Di Sebastiano Mauri vediamo un ritratto dall’aria beffarda accostato a una fotografia che lo ritrae con la cagnetta Petra incluso in una delle campane di vetro che contengono il suo mondo fantastico. Doppio ritratto, uno diretto e uno indiretto per Ryan Mendoza: l’artista che tiene in braccio la moglie e lo stesso ambiente dello studio vuoto. Luana Perilli di solito ripercorre la sua infanzia attraverso gli oggetti di casa e porta qui una seggiolina di legno (My grandmother little chair). Jorge Peris prima si intravede di profilo dentro la sua installazione, poi si sporge. L’allusione è a piccole costruzioni sulla spiaggia e il titolo Koque, il suo soprannome da piccolo. E’ magica l’apparizione di Alessandro Piangiamore in Asso di bastoni e Coda di volpe. Donato Piccolo si trasforma repentinamente in Mangiafuoco. Giuseppe Pietroniro, di cui De Angelis coglie l’aspetto concettuale del lavoro, appare frontale e di profilo, come se facesse parte dell’opera. Di Gianni Politi, in Jumping, scattato al Pastificio Cerere, la foto sottolinea la vitale energia. Radici che volano per la foto di Maria Grazia Pontorno. Gioacchino Pontrelli, pittore, sembra quasi rientrare nella cornice di un quadro. Luigi Presicce è ritratto con la moglie e un piccolo Gesù Bambino: l’allusione è al bambino che deve nascere e che presta nome alla foto, Leon. Daniele Puppi, in azione da sempre, esegue la scalata di un proprio video. Marco Raparelli ha il volto coperto da una maschera: il doppio c’è sempre, anche quando l’immagine è latente (Who I was). Alessandro Sarra è ritratto all’aperto e in uno dei suoi travestimenti performativi (Me and Myself). Sissi si contorce nel corpo del padre e inneggia alla libertà in quello della madre: con l’azione entra nell’opera in un intreccio indistinguibile tra corpo, disegno, abito. Donatella Spaziani sogna sdraiata sul suo tavolo da lavoro come su un letto (The Art Dreamer). Giuseppe Stampone plana urlante sulla propria opera, un Gioco dell’Oca ludica mappa del sistema dell’arte (Playground). Eugenio Tibaldi legge su una sedia da barbiere, fuma sul suo balcone nel cuore dei vecchi quartieri in un viaggio da fermo nel ventre di Napoli. All’interno di un antico palazzo abbandonato Gian Maria Tosatti è ritratto con il suo doppio, l’ombra. Luca Trevisani si aggira all’interno del proprio Puzzle gigante. Bianco e Valente (uno dei doppi dell’arte) siedono a tavolino eseguendo un lavoro di mappatura. Nari Ward alza le braccia al cielo davanti a una struttura a cupola nel giardino dell’American Academy a Roma. Stefano Arienti è ripreso davanti a una parete di CD prima in una posa da santone a gambe incrociate e poi dormiente su cuscini. In studio da Liliana Moro De Angelis individua subito un carrettino con molti vestiti neri sopra (sono abiti dell’artista che con essi voleva fare un lavoro), poi la ritrae protesa in avanti come la Gradiva (colei che avanza) di Freud, come una viaggiatrice che porta il proprio interiore bagaglio. La riprende poi con una casetta di cartone come nelle antiche chiese i committenti sono ritratti con il modellino dell’edificio in mano. Mario Airò sospende una foglia in controluce, poi solleva un circuito di metallo. Davide Monaldi dialoga con una piccola statua. Alice Cattaneo è in un parco sollevata sulla balaustra che circonda un laghetto. Quello che cambia tra le due foto è la distanza a cui l’artista è ripresa. Loredana Di Lillo riflette il suo doppio in uno specchio posato su un tavolo. Doppio scatto per Ra Di Martino a volto scoperto e coperto dalle mani che lo nascondono. Marcello Maloberti ha voluto essere ritratto come un vichingo al computer. I Masbedo costituiscono un “doppio” artistico formato da Nicola Massazza e Jacopo Bedogni che sono ritratti in due diverse foto ognuno con la propria immagine doppiata in video. Luca Pozzi gioca a ping pong con se stesso. Pietro Ruffo è colto in movimento tra un’opera e l’altra. Nella foto di Andrea Sala l’indizio gemellare è costituito dalle lampade. Vedendo un’opera di un’altra coppia artistica, Vedova Mazzei (Simeone Crispino e Stella Scala), una serie di materassi di ceramica uno sull’altro, De Angelis immagina di fotografarli così, ma loro ricordano di aver già fatto una foto in quella posizione su una panchina molti anni prima per il corso di Mimmo Jodice in Accademia. Detto fatto la vecchia foto viene replicata ed entra nella nuova. Adrian Paci è ritratto davanti a un suo video dove appare una figura femminile

In genere le immagini sono duplici, montate su doppia pagina o comunque contengono in sé l’idea del doppio o hanno un doppio mancante, momentaneamente assente, ma sono comunque pensate per la doppia pagina. Tutte queste immagini sono incorniciate, accarezzate, interrotte, chiuse e aperte contemporaneamente da una linea rossa che sottolinea, rafforza, accompagna e contraddice l’immagine. Con il suo acceso colore contrasta il bianco e nero della fotografia. Ricordate quella dorsale rossa che appariva tra i gemelli raddoppiati di Boetti? Per Alighiero faceva da cerniera tra le doppie coppie. Fino a quando non gli ho mostrato l’immagine Giovanni De Angelis non ne era assolutamente a conoscenza, ma per una incredibile e imprevista coincidenza una linea rossa delimitava i ritratti degli artisti che in questo caso hanno preso il posto dei gemelli. Una linea che non si chiude mai sui quattro lati però. E’ l’idea di un varco, una linea di passaggio. Alla fine è lo stesso fotografo a mostrarsi in un ritratto di Eleonora Chiari, mentre la linea rossa al centro lo divide in due.

Questa linea è un elemento importante per De Angelis, ha un senso in relazione alla fotografia, si sposta, è un punto di arrivo e di partenza, un confine in perpetua tensione, ma marca un accesso. “Una linea di demarcazione, di attraversamento verso un’altra dimensione, nascosta, intima, segreta, irraggiungibile…” dice De Angelis. Una linea che lega e separa, che scavalca la dimensione aurea del doppio per additare quella solitaria e irriducibile di un io di volta in volta diverso che stenta a tradursi in noi, ma non rinuncia a questo tentativo impossibile. Una linea rossa che continuamente crea e rompe la dualità. Perché non c’è due.

La mostra è prodotta da Tecnè Arte Contemporanea, realizzata in collaborazione con Ines Musumeci Greco, e promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, con il contributo di American Express.

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