Impressionisti Segreti – Cosa c’è ancora da scoprire sugli Impressionisti?

Impressione, levar del sole è un dipinto di Monet esposto nel 1874 a quella collettiva che è l’atto di nascita dell’Impressionismo. Impressionismo, termine concepito spregiativamente dal critico Louis Leroy che, inorridito alla vista del suddetto olio su tela e servendosi del suo titolo, intendeva sottolineare l’incapacità di questi artisti di andare oltre una mera impressione pittorica, di completare quelli che ai suoi occhi non erano che bozze grossolane.

Contro il rigore formale che dominava i gusti del Salon ufficiale, che si teneva all’Académie des Beaux-arts con cadenza biennale o annuale sin dal 1667; contro la tradizione, la narratività e l’ordine gerarchico dei generi pittorici; contro la levigatezza delle ammiccanti veneri gonfie di Cabanel e i romani della decadenza di Couture, Monet, Renoir, Sisley, Pissarro, Degas, Cézanne, Morisot e pochi altri si affrancano dall’intransigenza dei gusti ufficiali ed espongono insieme per ben otto volte, la prima presso lo studio del fotografo Nadar al 35 di Boulevard des Capucines.

Preludiati da Manet e dal realismo della scuola di Barbizon, questi giovani artisti si interessano allo studio della scomposizione dell’immagine per effetto dei cambiamenti luminosi e atmosferici, dipingendo en plein air.

Antesignani degli urban sketchers, sono “pittori della vita moderna”, secondo una fortunata definizione baudelairiana, testimoni del caleidoscopio che era la Ville Lumière durante la Belle Époque.

Per coglierne la molteplicità transeunte, il turbinio e la spensieratezza dell’ultimo terzo di secolo prima dell’ecatombe della Grande Guerra, la soggettività dello sguardo sostituisce la prospettiva rinascimentale ferma e oggettiva, la predilezione per scene del tempo libero di comuni cittadini soppianta la classificazione valoriale dei generi pittorici che vedevano sul podio il soggetto storico il mito e il ritratto ufficiale e garantisce la trasposizione dell’impermanenza delle impressioni che colpiscono in un fascio inarrestabile l’occhio dell’osservatore.

L’enorme successo popolare delle grandi Ninfee di Monet dispiegate a simbolo dell’infinito nella sale dell’Orangerie; del Ballo al Moulin de La Galette di Renoir sulla cui copia “l’uomo di vetro” Raymond Dufayel ne Il favoloso mondo di Amélie ritorna ossessivamente, ritoccando e dipingendo in eterno – forse citando l’esperienza seriale di Monet con la cattedrale di Rouen e di Cezanne con la montagna di Sainte-Victorie? –, e delle sgraziate ballerine col doppio mento viste dallo sguardo misogino e aristocratico di Degas, dura ormai da più di mezzo secolo e sembra inarrestabile.

Segnalibri, poster, agende, penne, matite, cartoline, foulard, ciondoli, paraventi, album da colorare, una bibliografia infinita ripropongono i più celebri e apprezzati quadri di questi otto, nove pittori che cambiarono il corso dell’arte e la sensibilità di critici, acquirenti e fruitori. Il pregio degli Impressionisti, uno dei motivi che regge questo assoluto trionfo di pubblico post-mortem – come è la vera gloria – è rintracciabile nell’essere un non-gruppo, artisti inconfondibili ma tra loro diversissimi: distinguere un Monet da un Pissarro, con un po’ di volontà, è cosa alla portata di tutti.

Negli anni ’80 i percorsi di ricerca estetica e formale di ciascuno dei componenti di questo sparuto gruppo erano ormai talmente diversificati da rendere impossibile delineare precisamente un canone che li accomuni. Questa eterogeneità investe anche gli aspetti biografici di ciascuno di questi individui, che realizzarono in grado differente un insieme condiviso di obiettivi interrelati. L’inadeguatezza a rientrare in un’etichetta rigidamente connotata caratterizzata definita fa sì che Impressionismo divenga un termine tanto vago da poter essere applicato in ambito letterario, musicale e persino scientifico.

Nel 1886 l’Impressionismo è già finito, ma pronti a raccoglierne l’originalità e a perpetuarne il profondo spirito d’innovazione vi è uno stuolo di artisti, con risultati multiformi e spesso lontanissimi,: cloissonisme, puntinismo, divisionismo, Nabis, si sviluppano a cavallo tra XIX e XX secolo. Ma queste sono cose risapute. Precursori dell’astrattismo e del cubismo – senza bagnanti di Cézanne non ci sarebbero state le Demoiselles d’Avignon – e citazionisti del classico, ogni grande museo possiede almeno un quadro di uno o due dei pittori ascrivibili al movimento.

Impressionisti Segreti sembrerebbe essere solo un’altra salsa in cui rimestarli? Perché visitare l’ennesima rassegna di grandi autori? Perché ci sono anche i grandi minori: Berthe Morisot, l’omonimo di Delacroix che anglicizzò il proprio pesante cognome in Cross, i puntinisti come Théo van Rysselberghe,  la straordinaria allieva di Manet, Eva Gonzalès, morta  così prematuramente; perchè ci sono Seurat e Signac, Perché le opere in mostra hanno il fascino della novità esclusiva: provenienti da collezioni private e finora blindate nei salotti di illustrissimi amatori che preferiscono restare ignoti, mai esposte prima, verosimilmente non lo saranno mai più.

È vincente e accattivante il connubio con il restaurato e finalmente aperto al pubblico Palazzo Bonaparte, dimora della madre di Napoleone, Maria Letizia Ramolino dal 1818 al 1836, scrigno perfetto per questa straordinaria selezione: due inaccessibili segreti in uno.

Tra camini di finissimo marmo scolpito da Canova, unici dettagli del palazzo a emergere dai pannelli lilla che compongono un allestimento mirato a far focalizzare il visitatore sulle tele e non sugli splendidi interni affrescati, la sinfonia di verdi pallidi de L’isola delle ortiche di Monet si fa quasi fosforescente sotto l’illuminazione – nota di merito – mai invadente che consente di apprezzare le pennellate materiche senza fastidiosi riflessi.

Impressionisti Segreti non è una mostra sull’Impressionismo, né sulla sua evoluzione, tant’è che l’organizzazione tematica del percorso in cinque sale può risultare poco chiara, si salta da Barbizon al post-impressionismo, troviamo accostati l’ultimo Monet e le fatiche giovanili di Caillebotte. Le circa cinquanta opere sono la testimonianza su tela del percorso di quel che ha dato all’Impressionismo il peso teorico enorme che ancora esercita sull’arte, sulla storia dell’arte, sulla letteratura, sulla moda, sulla cultura in generale: il mecenatismo.

Non è un caso che, insieme a Marianne Mathieu, direttrice del Musée Marmottan Monet di Parigi, della cura dell’evento si sia occupata Claire Durand-Ruel, discendente di Paul Durand-Ruel, colui che ridefinì il ruolo del mercante d’arte e primo sostenitore degli Impressionisti.

Info mostra

  • Dal 6 ottobre 2019  all’8 marzo 2020 – Visto il grande successo di pubblico, proroga fino al 3 maggio.
  • Palazzo Bonaparte – spazio Generali Valore Cultura
  • Piazza Venezia, 5, Roma
  • Info e prenotazioni T. +39 06 8715111
  • prodotta e organizzata dal Gruppo Arthemisia
  • Patrocini: Ambasciata di Francia in Italia; Regione Lazio
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