Lo specialista del décolleté: Andrea Vaccaro

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Alterne fortune ha incontrato, presso la critica, l’opera di Andrea Vaccaro (Napoli: 8 maggio 1604 – 18 gennaio 1670), tra i maggiori esponenti della pittura napoletana barocca.

Egli fu, infatti, considerato artista di successo in vita, principalmente negli anni tra la morte di Massimo Stanzione (attivo principalmente a Napoli durante il periodo barocco e soprannominato il “Guido Reni napoletano”) e l’avvio del giovane Luca Giordano (napoletano attivo soprattutto a Napoli, Madrid, Firenze, Venezia e Roma).

Ricercato da una committenza religiosa, a cui dispensa pale d’altare dal rigoroso e severo impianto pietistico, e da una clientela laica che sapeva ben apprezzare le sue mezze figure di sante avvolte da una intrigante e palpabile sensualità.

Lodato dal De Dominici, nell’Ottocento, la sua stella si eclissa per risorgere prepotentemente alla ribalta degli studi ai principi di questo secolo, raggiungendo una quotazione sempre molto alta come si evince anche dai confortanti risultati ottenuti dai suoi dipinti migliori nelle aste internazionali.

Per la clientela laica sia napoletana che spagnola egli, in una tavolozza monotona con facili accordi di bruni e di rossicci, crea scene bibliche e mitologiche e le sue celebri mezze figure di donne nelle quali persegue un’ideale femminile di sensualità latente e dove raggiunge i suoi toni più elevati nel ritratto di Annella De Rosa, giudicato anche dall’Ortolani, che pur non aveva di lui una grande opinione, come il suo capolavoro.

Il Vaccaro diviene il pittore della «quotidianità appagante, tranquilla, a volte accattivante, in grado di soddisfare le esigenze di una classe paga della propria condizione, attenta al decoro, poco incline a lasciarsi coinvolgere in stilemi, filosofici letterari, o mode repentine, misurato nel disegno, intonato nei colori, consolante nell’illustrazione; Andrea ottenne il suo maggior indice di gradimento in quella fascia della società spagnola più austera e di consolidate opinioni e per converso in quelle napoletane di pari stato ed inclinazione» (De Vito).

Tra i suoi dipinti laici, alcuni, di elevata qualità, sembrano animati da un’agitazione barocca che raggiunge talune volte un coro da melodramma.

Le sue sante, martiri o non, in sofferenza o in estasi che siano, sono donne vive, senza odor di sacrestia, a volte perfino provocanti nel turgore delle forme, nel generoso sfoggio del décolleté e nell’espressione di attesa non solo di sposalizio mistico, «col bel girare degli occhi al cielo» (De Dominici) e con le splendide mani dalle dita affusolate a ricoprire i ridondanti seni.

Andrea Vaccaro fu, insomma, artista abile nel dipingere donne, sante che fossero, pervase da una vena di sottile erotismo, d’epidermide dorata, dai capelli bruni o biondi, di una carnalità desiderabile sulle cui forme egli indugiò spesso compiaciuto col suo pennello, a stuzzicare e lusingare il gusto dei committenti, più sensibili a piacevolezze di soggetto che a recepire il messaggio devozionale che ne era alla base (fig.: 1, 2, 3, 4, 5, 6).

Egli si ripeté spesso su due o tre modelli femminili ben scelti, di allettanti nudità, che gli servirono a fornire mezze figure di sante martiri a dovizia tutte piacevoli da guardare, percepite con un’affettuosa partecipazione terrena, velata da una punta di erotismo, con i loro capelli d’oro luccicanti, con le mani morbide e carnose ma, come detto, eleganti e affusolate nelle dita; e con le loro vesti scollate, tanto da mostrare, ad esempio, le grazie di una spalla pallida e desiderabile.

I loro volti sono sempre velati da una sottile malinconia e mostrano un languore caldo nei grandi occhi umidi e bruni, che aggiungono qualcosa di più acuto alla sensazione visiva delle carni plasmate con amore e compiacimento.

A dimostrazione di questa predilezione per il seno segnaliamo una serie di suoi dipinti in gran parte inediti, partendo con la splendida S. Agata (fig. 7) del museo Filangieri di Napoli, che ritrae la fanciulla in prigione, prima di essere sottoposta all’amputazione delle mammelle, come si evince nella spettacolare tela (fig. 8) della Galleria Sarti di Parigi.

Un’altra modella ideale è senza dubbio Cleopatra immortalata mentre si dà la morte con un’aspide che le trafigge il capezzolo, come possiamo ammirare nel dipinto ad ubicazione sconosciuta, la cui foto abbiamo reperito nell’archivio della Fondazione Zeri (fig. 9) e che possiamo confrontare con una variante (fig. 10) e con un quadro (fig. 11) di quel Giuseppe Marullo (Orta di Atella, 1610? – Napoli, 1685) allievo dello Stanzione, che ha raffiguto Lucrezia (collezione Bottoni Cercena di Bergamo).

E concludiamo con tre Maddalene di autografia border line: la prima (fig. 12) che invece del celebre sottoinsù, volge direttamente gli occhi al cielo; la seconda (fig. 13) con una sigla, in basso a destra, che potrebbe aiutarci ad identificare l’autore; e la terza (fig. 14), grassottela, ma sensuale.

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Achille Della Ragione, con una doppia laurea in Lettere e in Medicina, medico ha la passione per la ricerca storico artistica e culturale su Napoli, di cui scrive e della quale conosce ogni vicolo e tradizione e che fa visitare organizzando esplorazioni guidate a titolo gratuito, per pura passione. Pubblica libri, articoli e arricchisce il suo blog di approfondimenti su essenzialmente sulla grande Partenope e la Campania.

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