Noi viviamo i tempi e non nei tempi

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Maurizio Nannucci - All art as been contemporary

Tutta l’arte è contemporanea, almeno per un certo lasso di tempo e tutto mira ad essere lo spirito dei tempi. Come un lungo torrente di immagini proposto da un qualsivoglia utente di Instagram, ogni opera può essere sovrapponibile ad un’altra, amplificando ed al contempo vanificando ogni esoticità curatoriale. L’arte contemporanea è dunque un problema epistemologico, una realtà amplificata delle cose che di fatto non propone un futuro plausibile ma analizza il presente basandosi sul passato.

Tutto ciò era ben chiaro a Pier Vittorio Tondelli che nella raccolta Un weekend postmoderno, Cronache dagli anni Ottanta scriveva “che i ragazzi italiani di oggi non abbiano nulla da dire; che siano abissalmente separati dai loro coetanei di ogni altra generazione precedente; che produrranno soltanto graffitini e decorini, sculturine”.

L’epoca dell’arte contemporanea è caratterizzata dalle grandi mostre, fitte di opere ed artisti, eventi internazionali che mettono in risalto l’estro del curatore, mentre l’artista è un elemento di contorno.

Del resto l’idea di contemporaneo come vivere, esistere o succedere, nel medesimo lasso di tempo all’interno dell’esperienza umana è un concetto ormai radicato nel pensiero popolare. Benché derivi dalla lingua latina, Il termine “contemporaneo” ha assunto la sua attuale connotazione critica a cominciare dalla fine della seconda guerra mondiale, prima come specifica e poi come contrasto al termine “moderno”.

Ne consegue che l’immediato dopoguerra ha visto il propagarsi dei termini arte contemporanea o design contemporaneo, largamente utilizzati dall’universo popolare per differenziarsi dal periodi precedenti e per acuire il senso di immediatezza e attualità. L’idea della modernità, che aveva tenuto in piedi la querelle tra antico e moderno sino al principio del ‘900, è stata quindi rimpiazzata dalla disputa tra moderno e contemporaneo.

A partire da metà degli anni ’80 il termine “postmoderno” ha largamente sostituito il concetto di contemporaneità. Per lo storico Fredric Jameson il postmoderno significa “post-contemporaneo”, anche se si potrebbe definire il postmodernismo come un concetto critico connotato dalla caratteristica di un presente condiviso su di una linea temporale che non scorre solo in avanti, bensì in tutte le direzioni compreso il passato.

Eppure anche il pensiero postmoderno è un pensiero contemporaneo e, come l’epoca del modernismo appare sorpassata. Anche quella del contemporaneo potrebbe finire da un momento all’altro, o semplicemente esistere all’infinito visto che quando parliamo di contemporaneità ed arte contemporanea non parliamo della medesima cosa.

L’arte contemporanea, all’interno della cultura di massa, è infatti un insieme di concetti istituzionali e filosofici riferito ad una creazione artistica oltre le concezioni storiche e le convenzioni che hanno regolato l’arte pregressa.

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Maurizio Nannucci – All art as been contemporary

Noi viviamo i tempi e non nei tempi, non esistiamo o viviamo al contempo, come se il tempo fosse indifferente a questo esistere assieme. Piuttosto il presente è caratterizzato da un riunirsi di differenti ma egualmente presenti temporalità. Si tratta di un unità temporale all’interno di una disgiunzione, o per meglio dire, un’unità disgiuntiva di tempi presenti. Le Biennali e le grandi kermesse sparse per il mondo sono manifestazioni di un’unità all’interno di una disgiunzione? Possibile, ma ogni personale concetto di contemporaneo implica un disconoscimento delle proprie basi future, anticipatorie o speculative, proiettando nel presente solamente un’attuale congiunzione di tempi.

Questa sconfessione della parte futuribile del presente mediante l’amplificazione del presente stesso, vale a dire il contemporaneo, essenzialmente è una negazione di ogni politica e di ogni metodologia legata all’arte ed alla curatela in una grande tradizione storica, rivitalizzata con formule di produzione innovative e pratiche espositive non convenzionali.

Ne consegue che ogni resa di costruzione contemporanea è pura finzione scenica, una narrazione. Si potrebbe senza ombra di dubbio affermare che le mostre d’arte di oggigiorno segnano un ipotetico punto di indifferenza tra la storia e la narrativa, creando una sorta di finzione operativa che regola la divisione tra il passato ed il presente dentro al presente e lo fanno non solo riconoscendo alcune forme di falsa contemporaneità ma trasformandole in una sottospecie di mete che devono essere conseguite, mete curatoriali che devono essere portate a termine in un modo o nell’altro, anche a scapito dell’opera d’arte.

Resta il fatto che la validità di tutto ciò dovrebbe essere affrontata con una solida base critica che nel nostro Stato sembra essere ben lontana dal riformarsi. Ed allora accettiamo queste manifestazioni del contemporaneo, ben consapevoli che la stagione del contemporaneo si esaurisce all’interno di sé stessa come se fosse contemporaneamente passata, forse oltrepassata da chissà quale inafferrabile senso di futuro che sembra non giungere mai.

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Micol Di Veroli (Roma, 1976) è storico dell'arte, critico e curatore indipendente. È membro dell'AICA - Associazione Internazionale dei critici d'arte. Dal 2010 è curatore della Glocal Project Consulting e collabora con diversi musei internazionali realizzando progetti volti a promuovere e a sostenere l'arte italiana all'estero.

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