Festa del Cinema di Roma 2016. Cicogne in missione e The Eagle Huntress

Non tutti i ritardi vengono per nuocere. Quello di domenica mattina ad esempio mi ha permesso di vedere Cicogne in missione, il nuovo film d’animazione della Warner Bros., diretto da Nicholas Stoller e Doug Sweetland.

Da qualche parte un bambino di nome Nate (Anton Starkman) – figlio di Sarah ed Henry Gardner (Jennifer Aniston e Ty Burrell) che, presissimi dalla propria carriera, pur lavorando da casa non sono mai veramente lì con lui – vuole un fratellino (requisito fondamentale: attitudini da ninja), con cui poter giocare… E chi può esaudire il suo desiderio se non le cicogne? Compila allora un modulo per le richieste trovato in un vecchio opuscolo e, speranzoso, lo invia alla Stork Mountain. Non sa purtroppo che, sotto la guida del boss Hunter (Kelsey Grammer), da molti anni le cicogne si occupano di consegne per un grande sito di vendite online: Cornerstore.com.

Di questa efficientissima e grigia azienda, Junior (Andy Samberg/Federico Russo) è la miglior cicogna e infatti sta per essere promosso. Tutt’altra storia per l’unica umana che lavora nella Stork Mountain. Tulip (Katie Crown/Alessia Marcuzzi) è una ragazza di 18 anni, rossa e riccissima di capelli, gentile e allegra, grande (più o meno) inventrice di macchine volanti e pasticciona seriale. Dopo l’ultimo guaio Junior dovrebbe licenziarla, ma preferisce spedirla nei loro polverosi e inutilizzati archivi a svolgere una mansione inesistente.

È proprio qui che per sbaglio Junior riattiva la Baby Factory che dà vita a… una bambina adorabile. E ora? L’unica soluzione sta nel motto aziendale che Junior non fa altro che ripetere e mettere in pratica, fiero, tutti i giorni: «Fai un piano. Attieniti al piano. Consegna sempre». Ma essendosi rotto un’ala nel tentativo di fermare la macchina, non può farcela da solo. Entra allora in scena Tulip con una delle sue invenzioni volanti e l’avventura può avere inizio.

L’idea di questo progetto è venuta proprio dalla vita di Stoller. Padre di due bambine, se con la prima lui e la moglie non avevano incontrato ostacoli, per la seconda, inaspettatamente, si sono dovuti rivolgere alla scienza. L’ispirazione è nata da qui, solo in seguito al regista è venuta in mente l’idea delle cicogne e del mito secondo il quale sono loro a portare i bambini alle famiglie.

Il prisma attraverso il quale guardare questo film può essere quello che qualsiasi rapporto o insieme di relazioni può essere la tua famiglia, anche se è composta da una cicogna, una ragazzina e una neonata. Man mano che la storia evolve, infatti, Junior diventa sempre meno arrogante e sempre più legato sia a Tulip sia alla piccola. Di Tulip invece scopriamo il passato e un grande velo di malinconia dietro ai tanti sorrisi. Queste due evoluzioni, favorite dall’irresistibile dolcezza della bambina, non possono che renderli una famiglia.

Intanto, anche i rapporti in casa Gardner migliorano: tutti e tre insieme modificano la loro villetta affinché la cicogna riesca a recapitare il fratellino ninja. Sarah ed Henry sanno che non ci sono più consegne da moltissimi anni, ma, anche se non arriverà nessun bambino, avranno passato del tempo di qualità tra di loro.

Amore, tenacia, speranza e tante risate sono il cuore di Cicogne in missione, dal 20 ottobre al cinema.

Simile a Tulip – perché caparbia, libera e sorridente anche se in carne ossa e per niente pasticciona (anzi) – è Aisholpan, protagonista del docu-film The Eagle Huntress (Otto Bell). Questa tredicenne mongola, che vive alle pendici dei monti Altai, nutre il sogno di diventare la prima cacciatrice con aquila donna, attività nella quale hanno eccelso sia il padre che il nonno, arrivando a competere all’annuale Golden Eagle Festival.

Aisholplan vuole dimostrare che «una ragazza può fare tutto ciò che fa un ragazzo, a condizione che sia determinata». Ed esserlo nell’inverno dei monti Altai, a meno 40 gradi, non è cosa da tutti.

Gli anziani sono scettici perché i cacciatori con aquila sono sempre stati uomini, e basta. Non si è mai sentito di donne cacciatrici: le ragazze devono stare a casa a preparare il tè, perché sono troppo fragili, non possono stare sulle montagne. Di avviso diverso sono i genitori di Aisholplan: alla madre piacerebbe che lei le somigliasse di più, ma ha il sangue del padre in circolo, non c’è niente da fare, e l’importante è che sia felice. Agalai – maestro cacciatore di aquile – sa che la figlia è forte e, felice di tramandare la tradizione di famiglia, decide di insegnarle.

Aisholplan ha quello che si potrebbe definire un talento naturale, e anche la sua aquila (femmina) è un animale eccezionale. Con la sua determinazione, e sempre con il sorriso, la ragazza dimostrerà a tutti che può essere una cacciatrice con l’aquila. Come lo è il padre. Come lo è stato il nonno. Come lo sono tutti gli uomini della sua regione. E meglio.

Definire The Eagle Huntress, già selezionato per il Sundance Film Festival, un film sul cosiddetto “girl power” è forse persino riduttivo (il pensiero “Cosa pensano le ragazze… pijate questa va”, attraversa – giocosamente – la mente”). È tanto di più: è la storia di un popolo quasi ai confini del mondo, delle loro tradizioni, del loro legame con la loro terra e le sue creature, della potenza della montagna, del freddo, della neve, di Madre Natura e delle sue figlie aquile. Rapaci imperiosi che si fanno addomesticare, da secoli, dagli uomini mongoli. E ora anche da una ragazzina di 13 anni.

A completare lo spettacolo iconografico che ci regala la regia di Otto Bell (la fotografia è costantemente mozzafiato, da brividi veri), arrivano le musiche (anche di Sia) che sferzano e cullano la pellicola come il vento dei monti Altai le ali delle aquile.

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Giornalista pubblicista dal 2012, scrive da quando, bambina, le è stato regalato il suo primo diario. Ha scritto a lungo su InStoria.it e ha aiutato manoscritti a diventare libri lavorando in una casa editrice romana, esperienza che ha definito i contorni dei suoi interessi influendo, inevitabilmente, sul suo percorso nel giornalismo. Nel 2013 ha collaborato con il mensile Leggere:tutti ma è scrivendo per art a part of cult(ure) che ha potuto trovare il suo posto fra libri, festival e arti. Essere nata nel 1989 le ha sempre dato la strana sensazione di essere “in tempo”, chissà poi per cosa...

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