Di ritorno dal Fronte. 15 Biennale di Architettura di Venezia – #1 Arsenale

Biennale Architettura Venezia 2016 - Arsenale - Alejandro Aravena_Ingresso Corderie - ph. Cristina Villani

Ci siamo lasciati a marzo scorso (www.artapartofculture.net/2016/03/14/venezia-2016-reporting-from-the-front-la-biennale-di-architettura-di-alejandro-aravena) dopo la conferenza stampa di presentazione di REPORTING FROM THE FRONT, 15. Biennale di Architettura di Venezia, quando il Curatore Alejandro Aravena e il Presidente Paolo Baratta hanno lanciato la loro sfida: risvegliare la domanda di Architettura.

Ora che la Biennale è ben avviata (lo conferma il dato di affluenza del Progetto Speciale a Forte Marghera, curato da Stefano Recalcati che ha contato 10.000 ingressi), chiediamo idealmente in prestito la scala a Maria Reiche e cerchiamo di leggerne dall’alto il disegno generale.

Tutti viviamo nel costruito e per uscire dalle molte situazioni tragiche o banali che rappresentano infinite occasioni mancate per l’intelligenza e l’azione della civiltà umana, come ha affermato Paolo Baratta, l’Architettura può fare la differenza. Ed ecco allora la Biennale come macchina del desiderio, desiderio del bene comune al quale rispondere con l’Architettura, che per definizione è un bene pubblico, poiché il godimento di essa da parte di uno non ne riduce il godimento da parte di altri.

L’esposizione all’Arsenale si apre con Making Of, istallazione curata da Alejandro Aravena. Impiegando cento tonnellate di detriti recuperati dalla Biennale d’Arte dello scorso anno, dichiara subito i punti cardine della mostra: non esistono scuse, non ci sono limiti che giustifichino l’incapacità di fare il nostro lavoro. L’inventiva supera qualsiasi scarsità di mezzi, la pertinenza ci permette di prenderci cura in modo intelligente delle cose senza sprechi, la progettazione crea risposte unendo desideri, necessità e possibilità.

Dark Resources di Al Borde evidenzia la disparità del valore economico, rappresentato concretamente in quantità di monetine per metro quadro, degli edifici nelle varie parti del mondo a prescindere dalla loro importanza per la collettività. Il denaro non è la risorsa più importante, la battaglia si può vincere con la volontà e la resilienza, come dimostra Rock Garden, il parco realizzato da Nek Chand con i materiali di risulta dei cantieri di Le Corbusier per la città di Chandigarh o con l’organizzazione e l’uso intelligente di tecniche e capacità locali e tradizionali, tema trattato dalla Repubblica Popolare Cinese, sia nel Padiglione Nazionale, Daily Design, Daily Tao, sia nei progetti esposti alle Corderie, dove si propone l’alternativa alla Tabula Rasa raffinando gli insegnamenti del passato per un futuro che non neghi la tradizione.

Il progetto di Anupama Kundoo in India aggiunge all’importanza dei materiali e delle tecniche del luogo, il valore educativo e formativo per l’intera comunità. Quando si lavora in contesti di scarsità, costruire edifici usando le tecniche locali è indispensabile per garantire accessibilità e successo al progetto, così che gli edifici stessi divengano fonte di conoscenza.

Il Perù (Our Amazon Frontline – Menzione Speciale) ha applicato l’inventiva all’organizzazione, oltre che alla progettazione: il Piano Selva è un programma pubblico che concede sgravi fiscali alle aziende che acquistano elementi modulari per contribuire alla ricostruzione di centinaia di scuole nella regione ai confini con l’Amazzonia, in zone impervie e prive di servizi, per diffondere la multiculturalità e la promozione delle lingue indigene. La varietà di assemblaggio dei moduli genera un’architettura estremamente adattabile alle possibilità ma anche alle esigenze, creando uno spazio d’incontro tra mondi apparentemente inconciliabili.

Il tema delle scuole viene affrontato anche in altre opere. Lo studio italiano C+S è impegnato nella ricerca di soluzioni innovative per trasformare l’edificio scolastico in una struttura aperta e permeabile al contesto circostante. Di altro genere è il progetto della scuola galleggiante di Kunlé Adeyemi (Leone d’Argento) per Makoko, la baraccopoli di Lagos in Nigeria, che cerca di rispondere a tre temi complessi: l’urbanizzazione, la carenza di risorse e i cambiamenti climatici.

Mentre in Thailandia, dopo il terremoto del 4 maggio 2014, proprio la ricostruzione di nove scuole è stata il fulcro attorno a cui si è riunita l’intera comunità, grazie all’intervento di Design for Disaster, che ha chiesto a un team formato da architetti, ingegneri, consulenti e insegnanti di progettare e realizzare rapidamente nove nuovi edifici antisismici.

Il potere di sintesi del lavoro dell’architetto permette di affrontare le sfide con diverse sensibilità. Quello che solitamente è un problema, l’immondizia, nel progetto di tesi di Hugon Kovalski diventa una risorsa, una nuova materia prima prodotta dall’uomo, con la quale edificare case per gli abitanti dello slum di Dharavi, a Mumbai. Analogamente la visione poetica di Alexander Brodsky trasforma materiali comuni e di recupero, in architetture di grande suggestione.

Il Padiglione del Cile propone con Against the Tide i progetti che alcuni studenti hanno realizzato per laurearsi, prendendo in considerazione non solo la fase di design ma anche quella economica, contrattuale e realizzativa. Hanno così creato, nelle aree rurali delle loro origini, piccole architetture effimere, spesso con materiali riciclati e facili da reperire sul posto, interventi puntuali che contribuiscono ad aumentare il benessere collettivo e si integrano con il contesto.

Ed è questa la reazione alla sfida lanciata dalla Biennale, la domanda di architettura si risveglia dimostrando in quanti modi la buona Architettura abbia risposto a necessità precise con un approccio olistico e migliorato la qualità della vita sia di utenti singoli che di collettività.

Troviamo anche esempi d’infrastrutture, manufatti che per definizione devono aderire a esigenze fisiche, spesso di sopravvivenza, con soluzioni tecniche specifiche; ma il progetto Warka Water in Africa o quello di Marte.Marte in Austria sono la conferma di come una visione più ampia porti come valore aggiunto la creazione di opere che diventano totem, landmark che definiscono spazi sociali, presenze civiche attorno alle quali si riuniscono e si riconoscono intere comunità.

Le infrastrutture per i servizi essenziali, per Samuel Gonçalves sono invece il punto di partenza per risolvere il problema del deficit abitativo globale, prevedendo l’evoluzione della linea di produzione dei tubi in calcestruzzo per fognature fino a creare un disegno incrementale che ridefinisce il concetto di prefabbricazione, dando una risposta più flessibile alla domanda di alloggi economici e veloci da produrre.

L’applicazione delle nuove tecnologie all’ingegneria strutturale permette a Ochsendorf, Block e DeJong di svincolarsi dall’idea dell’edificio formato da superfici piane, arrivando a progettare volte schiacciate, solai sottili e leggeri che lavorano solo a compressione, come gli archi romani, con un risparmio del 70% di materiale rispetto alle strutture tradizionali.

Molto interessante il dibattito scaturito dal tentativo di Tadao Ando di conciliare aspetti estremamente diversi come la conservazione del patrimonio culturale e la sua stessa fruizione da parte del turismo di massa. Il racconto della sua esperienza per il museo di Punta della Dogana a Venezia, dimostra che anche in presenza di un progetto architettonico efficace nella forma, possano intervenire vincoli di altra natura a impedirne la realizzazione, come è accaduto per le due colonne pensate per segnare il punto d’incontro tra la città e il museo di arte contemporanea, fortemente osteggiate dalla città stessa.

Sul fronte del turismo di massa, indaga anche Paulo David nell’isola di Madeira, dove il costante afflusso di viaggiatori alla ricerca di un paradiso naturale, rischia di annullare lo stesso. Il progetto dell’architetto portoghese ha cercato di risanare una parte del territorio distrutto da un grande incendio, operando nel paesaggio con rispetto e incisività per accogliere gli ospiti senza rovinare la bellezza dell’ambiente.

Denominatore comune dei resoconti dei vari fronti è che progettare e costruire implicano il prendersi cura delle risorse, della natura e delle persone, definire spazi e dare la giusta forma alle cose, affinché esse poi ci formino nell’esperirle. La città, l’ambiente, sono il pascolo raccontato nella Repubblica di Platone, luogo di crescita che ci condiziona nel nostro sviluppo. Indispensabile quindi che l’agire dell’architetto non si fermi all’essere-in-sè ma tenda continuamente all’essere-per-gli-altri, uscendo da una condizione autoreferenziale e monolitica che impedisce di apprendere da mondi e discipline anche lontani.

Esempio perfetto di questo modo di agire è il lavoro di Niall McLaughlin e Yeorya Manolopoulou, rappresentato con la suggestiva istallazione Losing Myself nel Padiglione Irlandese, che racconta il continuo spaesamento dei malati di Alzheimer, incapaci di costruirsi una mappa mentale dell’ambiente circostante, a causa del deficit di memoria e quanto i progettisti abbiano imparato, occupandosi della realizzazione di centri adeguati alle esigenze delle persone affette da questa patologia.

Al Padiglione Italia, infine, incontriamo TAKING CARE – Progettare per il bene comune, curato da Massimo Lepore, Raul Pantaleo e Simone Sfriso dello studio TAMassociati di Venezia. L’esposizione, allestita utilizzando pannelli in legno recuperati dal Padiglione Irlanda dell’Expo 2015 e parte dell’apparato illuminotecnico della precedente Biennale d’Arte, si articola nei tre momenti che portano dalla domanda alla realizzazione di un’opera. Pensare alle necessità: raccoglie le riflessioni sul valore aggiunto del bene comune, da utilizzare nella progettazione come elemento generativo di altri beni, materiali e immateriali. Incontrare le persone: 20 progetti di studi italiani che dimostrano come l’architettura non si limiti a creare edifici, ma promuova conoscenza, consapevolezza, identità e appartenenza, dando vita a processi virtuosi di democrazia e convivenza. Agire negli spazi: 5+5=5 è un progetto finanziato da un crowdfounding civico (proprio in questi giorni stata raggiunta la cifra di 100.000 euro) che ha individuato 5 giovani professionisti per realizzare 5 dispositivi mobili assegnati ad altrettante associazioni italiane impegnate nelle aree di disagio sociale del nostro Paese (Emergency per la sanità, Associazione Italiana Biblioteche per la cultura, Legambiente per l’ecologia, Libera per la legalità, Unione Italiana Sport per Tutti per lo sport sociale). Le cinque piccole unità mobili, concretizzano l’impegno alla continuità delle buone pratiche anche oltre la durata della Biennale, quando saranno consegnate alle associazioni e andranno ad operare direttamente sul campo, esercitando le funzioni per le quali sono state pensate.

Info

  • Sedi, date e orari di apertura: Venezia, Giardini – Arsenale, 28 maggio – 27 novembre 2016
    Orario: 10.00 – 18.00 Chiuso il lunedì (escluso 31 ottobre e 21 novembre 2016)
  • Catalogo: Marsilio Editori
  • Sito web: www.labiennale.org
  • Informazioni: promozione@labiennale.org
  • Tel. +39 041 5218 828
    (lun>ven 10-13 e 14-17.30; sab 10-13)
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Nata a Ferrara, a 5 anni realizza la sua prima casa delle bambole con spezzoni di travi in ferro; dal 1992 al 2006 vive a Venezia dove si laurea in architettura. Nel 2008 dopo un internship presso lo Studio Asymptote di New York rientra a Venezia, all' Università IUAV, dove lavora come assistente alla didattica nel corso di Architettura degli Interni. Attualmente è tornata a Ferrara dove prosegue l’attività di Architetto e Designer nel suo studio tra i tetti della città medioevale.

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