Andreas Gursky. Visual spaces of today al MAST di Bologna

immagine per Andreas Gursky

Un tramonto arancio su un’immensa distesa d’acqua. È “Salinas”, una foto del 2021 del fotografo tedesco Andreas Gursky (Lipsia, 1955) ed è l’immagine che chiude la presentazione della nuova mostra, curata dallo stesso artista e da Urs Stahel, allestita al MAST di Bologna (fino al 7 gennaio 2024), dal titolo Visual spaces of today.

Siamo a Bologna e in questi giorni, così critici, l’immagine evoca emozioni contrastanti. Vitalità e disperazione, necessità e devastazione.

Quella che per Paesi lontani dal nostro è la regola, si pensi alle grandi inondazioni che colpiscono l’Asia, per noi è un problema che credevamo risolto con il progresso e la tecnica, nell’illusione di governare la Natura e invece è tornato a ricordarci i nostri limiti.

L’artista tedesco si dice molto colpito dalla tragedia della recente alluvione avvenuta in Emilia Romagna. E guardando la propria foto, che in realtà è stata scattata altrove, nelle saline di Ibiza, il pensiero gli torna di continuo all’acqua che ha sommerso luoghi, vite, storie e offre, come contributo personale, una serie limitata di 75 poster di una tra le foto in mostra, firmata e numerata, il cui ricavato dalla vendita andrà a sostegno della popolazione in difficoltà.

Non discutiamo sul fatto se questo sia o no un atto dovuto, altrimenti l’attenzione si sposterebbe su altro, mentre è molto più rilevante trarre da questo gesto già una prima impressione sull’artista, che dichiara di porre al centro del proprio lavoro, lo sguardo sulla Natura, sull’ambiente, sull’uomo, sempre presente anche se non è ritratto.

Ha dichiarato:

“Non mi interessa l’individuo ma la specie umana e il suo ambiente”.

E ancora:

“Sì, i problemi del nostro tempo, il cambiamento climatico, lo sfruttamento delle risorse naturali, le condizioni di lavoro, il monopolio delle reti di distribuzione, sono tutti temi presenti nel mio lavoro. Ma non ho soluzioni da proporre (…), è compito dell’osservatore trarre le proprie conclusioni”.

Andreas Gursky, che a Bologna presenta la sua prima antologica italiana, articolata in 40 immagini scelte tra tutta la sua produzione, appartiene alla famosa scuola artistica di Düsseldorf dei coniugi Becher, che ha frequentato prima come allievo poi come insegnante. Gli studi hanno consolidato l’amore per l’arte:

“Lavoro come uno scultore o un pittore, ma la mia materia prima è la fotografia. I miei riferimenti sono visivi, viviamo letteralmente in un museo costituito dalla natura, dall’architettura e il mio lavoro è teso a creare un’opera che possa essere significativa nel contesto artistico e museale.”.

E si può certamente affermare che Gursky abbia centrato l’obiettivo: alcune tra le sue foto hanno infranto i record alle aste, prima “99 Cent”, poi “Rhein II”, che ha realizzato oltre 4 milioni di dollari, superata solo da “Le Violon d’Ingres” di Man Ray nel 2022, che ha raggiunto la cifra di 12,4 milioni di dollari.

Il rigore della scuola dei Becher è uno dei marcatori dell’opera di Gursky, che però guarda e si ispira anche ad artisti più contemporanei come Jeff Wall e all’immaginario urbano, all’apparentemente reale, quando i confini tra la realtà concreta e quella fittizia si confondono.

La fotografia di Gursky è fortemente rielaborata in studio e a ciò si aggiunge l’uso del grande formato, scelta che rappresenta:  “Una dichiarazione d’intenti architettonica, visiva e contenutistica, una sfida allo spettatore”, scrive Stahel nel testo critico del catalogo che accompagna l’esposizione. “Il grande formato modifica e domina lo spazio espositivo, lo abita e va incontro all’osservatore con forza e con dolcezza, lo costringe a fermarsi di fronte, a confrontarsi, come in un dialogo diretto”.

Ci si allontana dall’opera per coglierne la globalità, poi ci si avvicina fino quasi a fondersi con questa, per scoprire il particolare, l’offerta, il dono di un significato personale e intimo.

Ma da dove nasce la suggestione che conduce all’opera? L’ispirazione parte da un avvenimento, una notizia che l’artista legge su un quotidiano e che dà l’avvio alla riflessione. E’ nel pensiero l’origine dell’opera e l’urgenza di realizzarla.

Gursky sceglie i soggetti, i luoghi e poi viaggia per incontrarli, per trovare le immagini che, racconta, a volte sono un singolo scatto con un’istantanea e tali rimangono, ma normalmente sono il risultato di mesi di lavoro. Numerose riprese da diverse angolazioni e da grande distanza, spesso in volo, che poi entrano nel particolare.

I luoghi sono i siti produttivi, i centri di movimentazione delle merci, i templi del consumo, i nodi dei trasporti, della produzione di energia, di cibo, l’industria, la finanza, la politica, il turismo, l’arte, la cultura.

Tutti i frammenti vengono poi riuniti, rielaborati, scomposti e ricomposti in forma simbolica mai completamente disvelata.

“Rhein II” del 1999, per esempio, nasce dalle suggestioni che l’artista ha mentre corre lungo l’argine della sponda del Reno. Un nastro, formato da più fasce di colori, l’erba, la strada, l’acqua e il cielo, una specie di mantra visivo che accompagna lo sforzo fisico.

Il paesaggio di questa foto nella realtà è differente, ci sono industrie e altre forme d’intervento umano. Gursky ha realizzato l’immagine finale scattando su piani diversi e separati, poi riuniti. Esistono varie versioni e nell’ultima, “Rhein III”, del 2018, il verde è virato in giallo, l’erba si è seccata, si è spento il colore, la vitalità della natura.

In “Kamiokande” ci immergiamo in una parte dell’importante sito scientifico giapponese di ricerca nucleare sui neutrini, posto a una profondità di mille metri, scavato nella roccia granitica per fermare le radiazioni.

Il grande spazio solitamente contiene acqua, che regolarmente è fatta defluire per i necessari controlli. Nell’immagine di Gursky, sfere d’oro luccicano alle pareti e sul fondo si intravedono due piccole figure in canotto, sono i tecnici che ispezionano i componenti, due piccole presenze umane nella grandiosità del sito, un elemento romantico e poetico che spezza la freddezza della tecnica.

Urs Stahel, commentando la realtà delirante di “Amazon” dà voce al disagio di noi tutti e si chiede, a ragione, se sia davvero un nostro diritto poter scegliere tra centinaia di tipi diversi di shampoo. E’ morale?

Uno dei massimi esempi di rielaborazione dell’immagine è “Bahrain I” del 2005, un’opera surreale, un impasto di realtà e suggestione. La foto è una sorta di ottovolante che cattura lo sguardo e frammenta i riferimenti, un serpente nero che si attorciglia su se stesso, nel giallo della sabbia del deserto.

E’ inutile cercare il filo logico, nel circuito automobilistico spesso stravolto dalle condizioni atmosferiche l’impronta umana si contende il ruolo di protagonista con la Natura.

E ancora, il solare, energia pulita. Eppure di fronte a “Les Mées” si prova un’angoscia infinita, infinita come il mare di pannelli solari che ricopre le colline della Provenza.

È l’impianto più grande di tutta la Francia e fornisce energia ecosostenibile, ma ha soppiantato le colture di ulivi, mandorli, salvia, orzo, lavanda. Quando, a fine vita, verrà smantellato, il terreno tornerà coltivabile, senza tracce di calcestruzzo da costruzione.  Rimarranno però migliaia di pannelli solari da smaltire o riciclare. Come?

Gursky coniuga la bellezza e la complessità del mondo, le mischia, le rimpasta e le offre ai nostri sensi, tutti.

A noi la responsabilità e la libertà di scegliere da quale parte far pendere la bilancia.

 

In occasione della mostra Andreas Gursky. Visual Spaces of Today, si celebra la doppia ricorrenza dei 10 anni della Fondazione MAST e dei 100 anni dell’Impresa G.D.

Come sintesi tra queste due realtà, la Presidente Isabella Seràgnoli ha scelto “Fare del lavoro una cultura e della cultura un lavoro”, aggiungendo “Nel concetto di questa impresa rientra il capitale umano, partecipe nei decenni, il patrimonio di conoscenza in termini di lavoro, responsabilità sociale, welfare, solidarietà”, il tutto racchiuso in un’architettura concreta e simbolica che mantiene in primo piano l’importanza della bellezza e della cura, fruite liberamente.

La mostra sarà l’undicesima proposta e farà parte dell’edizione 2023 della Biennale di FotoIndustria, promossa dal MAST, che aprirà il prossimo autunno.

Info Andreas Gursky. Visual Spaces Of Today

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Vive a Bologna, dove lavora come logopedista al Servizio di Neuropsichiatria Infantile occupandosi prevalentemente di disturbi della comunicazione, del linguaggio e dell'apprendimento, è appassionata da sempre di Arte, in qualunque forma si presenti. Da alcuni anni ha iniziato un percorso nel campo della fotografia

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Nata a Ferrara, a 5 anni realizza la sua prima casa delle bambole con spezzoni di travi in ferro; dal 1992 al 2006 vive a Venezia dove si laurea in architettura. Nel 2008 dopo un internship presso lo Studio Asymptote di New York rientra a Venezia, all' Università IUAV, dove lavora come assistente alla didattica nel corso di Architettura degli Interni. Attualmente è tornata a Ferrara dove prosegue l’attività di Architetto e Designer nel suo studio tra i tetti della città medioevale.

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